Ci voleva il terremoto per fargli togliere dall'occhiello della giacca il solito garofano rosso e sostituirlo con un nastrino nero in segno di lutto. Il senatore Lucio Barani è infatti l'ultimo dei craxiani e mantiene quel garofano fresco di giornata malgrado i cambi di casacca dal Psi in tutte le sue forme fino all'Ala di Verdini passando da Forza Italia e Gal.
Medico di professione e politico navigato con le sue esternazioni e i suoi gesti plateali grazie all'iconico fiore che prese il posto del sol dell'avvenire del partito socialista, si è creato un'immagine dentro e fuori il Parlamento un po' naïf.
Proprio il garofano rosso è stato il suo distintivo sulla maglietta nera con la scritta «Je suis Craxi» esibito provocatoriamente in Aula all'indomani dell'attentato al giornale satirico parigino Charlie Hebdo quando per solidarietà tutti erano «Je suis Charlie».
Poco male per uno che si definisce «pretoriano del governo Craxi» in confronto all'uscita a gamba tesa che fece sul caso dello studente cresciuto a Fiumicello ritrovato martoriato, al Cairo: «La tortura è un depistaggio. Il cadavere di Regeni è stato buttato in mezzo ai rapporti fra Italia ed Egitto». È sempre stato convinto di un complotto ai danni del governo egiziano ordito dai «servizi segreti deviati» del Cairo e organizzato da qualche potenza straniera (vedi Francia e Turchia) il cui scopo era boicottare le relazioni tra Italia ed Egitto. Riprendendo un articolo del lobbista Luigi Bisignani, Barani è andato addirittura in Egitto e, accreditandosi come esponente di un «gruppo determinante per la maggioranza di governo che rappresenta il 10 per cento del Senato», ha rilasciato un'intervista alla tv Sala El-Balad, facendo suo un articolo del lobbista Luigi Bisignani sul complotto anti Renzi ed Eni, e difendendo il presidente egiziano: «Al-Sisi non ha niente a che vedere con il delitto Regeni». Insomma, prima della verità su quel delitto, pensiamo ai rapporti economici del nostro Paese. E se il prudente ministro degli Esteri Gentiloni ha preso subito le distanze da un'esternazione «a titolo personale», Denis Verdini ha preso in mano il pallottoliere per verificare il conteggio degli esponenti della sua Alleanza liberalpopolare-autonomie. Grandi titoli sui media filogovernativi egiziani per le parole di Barani, mentre i siti dell'opposizione hanno definito l'intervista una «messinscena» a favore di imprenditori egiziani ed italiani e il senatore «un impostore» perché «non è capogruppo della maggioranza e conta davvero poco nel governo italiano».
Peso specifico non quantificato, ma esperienza consolidata avendo cominciato la carriera politica nel lontano 1990, quando venne eletto per la prima volta sindaco (lo è stato per tre mandati) di Aulla, sua città natale. Nel 2006 entrò a Montecitorio con il Psi, rieletto nel 2008 e ancora nel 2013, quando fu candidato in due collegi, Napoli compreso, sponsorizzato da due socialisti storici, Cicchitto e Caldoro.
Ma «il premio Nobel del socialismo craxiano», come lui stesso si definisce, lo scorso ottobre, mentre in Senato si discuteva di riforma costituzionale si voltò verso la collega grillina, Barbara Lezzi, allargò la bocca, mosse la sua mano chiusa in qualche modo. Secondo tutti mimò un rapporto orale. Lui si giustificò: «Stavo facendo il gesto del microfono». E così il Barani sessista, già relatore della legge Pd contro le discriminazioni sessuali, si beccò cinque giorni di sospensione. Anche da sindaco venne sospeso per il suo pallino del leader socialista. Fu il prefetto di Massa Carrara a sospenderlo per aver concesso, nel 1999, la cittadinanza onoraria all'ex segretario Psi, perché uomo ricercato dalla giustizia italiana. Quattro anni dopo altra richiesta di sospensione, non avvenuta però, per vilipendio alla Costituzione secondo una settantina di parlamentari diesse. Barani, infatti aveva fatto erigere nel centro di Aulla, in piazza Craxi due monumenti: una statua commemorativa dello «statista, esule e martire» Craxi (che i sindaci successivi avrebbero voluto vendere senza riuscirci) e vicino un piccolo obelisco ai «Martiri di Tangentopoli» con incise parole di Craxi, Moroni e dello stesso Barani.
Anche da sindaco di Villafranca ha intitolato una via (cancellata dal suo successore) al presidente della Tunisia Ben Ali per aver ospitato ad Hammamet e protetto dall'estradizione, ovviamente, sempre Craxi. E se al funerale nella cattedrale di Tunisi dell'ex premier socialista Barani fu l'unico sindaco d'Italia con la fascia tricolore e tra quelli che calarono la bara nella tomba, si mise anche in testa di trafugare il corpo per seppellirlo in Italia, cosa che gli stessi familiari rifiutarono per rispettare le volontà di Craxi che non voleva rientrare né da vivo né da morto se non fosse stato riabilitato completamente.
Ma per Barani monumenti e giustizia sono due capisaldi visto che ne fece fare uno a forma di meridiana dedicato a Marco Pantani perché «vittima della giustizia sportiva», così come fu capace, nel 1997, di far installare all'ingresso di Aulla cartelli di benvenuto con citazioni di Socrate e Platone, che descrivevano il comune come «dedipietrizzato», in riferimento polemico ad Antonio Di Pietro considerato il persecutore di Craxi e dei socialisti.
Anche lui è finito sotto processo per peculato e truffa con l'accusa di aver intascato doppi rimborsi quando era sindaco e deputato, ma si difese dicendo che la colpa era del «pm comunista». È finito indagato anche per abuso d'ufficio in un maxiprocesso contro la municipalizzata di Massa Carrara che si occupa del trattamento dei rifiuti. Nel mirino un'assunzione: «Avevo bisogno di personale urgentemente», si difese Barani.
Amministratore estroso ed eccentrico fu Lucio Barani a lanciare l'idea, nel lontano 1994, di far eleggere un bambino come «sindaco dei ragazzi», mentre qualche anno dopo aprì «l'ufficio comunale contro il malocchio», e infine, al contrario della Raggi, propose Aulla come sede dei giochi olimpici.
Come dire, non è soltanto quel garofano rosso a rendere Lucio Barani un politico un po' naïf.