2022-01-13
Il risveglio fantozziano dei talebani del siero
Paolo Villaggio in «Fantozzi» (Barbara Rombi Serra/Mondadori via Getty Images)
Dopo aver insultato per mesi chi criticava il governo, molti analisti scoprono solo ora che la cieca ubbidienza non salva. Alcuni, come Matteo Bassetti, si pentono in ritardo e non vengono più ascoltati. Altri, alla Giovanni Toti, chiedono di aprire dopo aver preteso le chiusure.E fu così che il talebanismo vaccinale giunse al suo «momento Folagra». Nel senso del compagno Folagra, il collega politicizzato che fa scoprire al ragionier Ugo Fantozzi la sua coscienza di classe, stuzzicandolo fino all’esplosione liberatoria: «Dopo tre mesi di letture maledette, Fantozzi vide la verità, e si turbò leggermente. O meglio, si incazzò come una bestia: “Ma allora mi hanno sempre preso per il culo!”». Assistiamo, in questi giorni, al dispiegarsi di un analogo risveglio in vari settori della società italiana. Non suscitato, stavolta, da letture matte e disperatissime di testi marxisti, bensì dall’impatto spaccaossa con la realtà. Sono in tanti, fantozzianamente, a venire colti da un «atroce sospetto». Si sono vaccinati, rivaccinati, trivaccinati. Hanno accettato di farsi chiudere in casa, di rinunciare al bar, al ristorante e alla discoteca. Si sono messi ordinatamente in fila fuori dai negozi. Si sono sottoposti a tutti i riti previsti dal culto medicale. Ma la Cattedrale Sanitaria non ha mantenuto la promessa: non ha provveduto a garantire la salvezza.Il bravo cittadino, che ha diligentemente obbedito piegandosi fino alla sudditanza, si accorge che può venire contagiato ed esser costretto a restare a casa dal lavoro. Oppure nota, come avviene a molti esercenti e a troppi ristoratori, una cospicua perdita di fatturato verificatasi proprio a seguito dell’introduzione del green pass. O, ancora, il malcapitato assiste impotente alla reclusione dei suoi figli, i quali finiscono in dad anche se non hanno un sintomo. Si rende conto, il tapino, che gli hanno fatto annusare la libertà ma gli hanno consegnato un pugno di mosche, un bel po’ di file per il tampone fuori dalle farmacie e un lockdown di fatto non troppo dissimile dall’incubo vissuto un paio d’anni fa.Di fronte a tutto ciò, la reazione fantozziana è la più sana: scoramento e rabbia una volta che la presa per i fondelli si è palesata in tutta la sua ruvidezza. Eppure, come sempre avviene con Fantozzi, siamo nell’ambito della tragedia, non della farsa. Come il povero ragioniere, chi ha «fatto il proprio dovere» al massimo può lasciarsi andare a un gesto scomposto, ma ecco che subito arriva il megadirettore generale a ricondurlo all’ordine. Il dott. ing. lup. man. Duca Conte Dragabam lo prende per mano e lo riposiziona nei ranghi, perché ormai il meccanismo è stabilito, indietro non si torna, «siamo i migliori del mondo» e non c’è nulla da cambiare. Resta, al singolo, la lacerante consapevolezza dell’ingiustizia subita, e la disperante mancanza di prospettive: come potrebbe andare diversamente?Se per Fantozzi non si può non provare tenerezza - anche perché, in fondo, rappresenta noi tutti - s’avverte invece un filo d’irritazione al cospetto dei numerosi Calboni che affollano la scena. Quelli cioè che, in tutti questi mesi, si sono spellati le mani gridando: «È un bel direttore!» e adesso hanno il fegato di avanzare recriminazioni. Ne spuntano un po’ ovunque, da qualche settimana a questa parte. Lo scorso autunno erano in prima fila a tirare pietre e sputi ai perfidi no vax, s’affannavano ad accusare di disfattismo e negazionismo chiunque osasse avanzare critiche. Invocavano censure, mordacchie, punizioni esemplari. E adesso? Adesso frignano perché non vogliono altre chiusure. «Abbiamo obbedito», sibilano, «abbiamo scelto la servitù volontaria: dov’è la nostra retribuzione?». Ora s’accorgono che il green pass non garantisce protezione e non è uno strumento di libertà. S’avvedono - perché lo dicono Ema e Oms - che il solo vaccino non basta a cavarci dagli impicci e anzi non si può andare avanti a richiami. S’infuriano perché la Dad, nonostante la grottesca reiterazione dei giuramenti ministeriali, non è affatto scongiurata. Si strappano i capelli perché negli ospedali manca personale, dato che gli investimenti necessari non sono stati fatti e in più i contagi costringono a casa una marea di professionisti.Tra i Calboni tocca inserire la gran parte dei commentatori che hanno dominato gli schermi televisivi in questi due anni. Ma pure numerosi politici, quelli che giorno dopo giorno hanno accettato, pavidi, misure sempre più restrittive e ora si scoprono impantanati. Adesso vogliono farla finita con i tamponi o rimandare al lavoro i positivi asintomatici. Sono nei guai, ma non hanno il fegato di smetterla con il battimani, dunque non perdono occasione per inveire nuovamente contro i no vax, o per invocare chiusure mirate nella surreale convinzione di cavarsela senza smantellare il delirante sistema che loro stessi hanno volonterosamente costruito. Se la sono goduta, per un po’: schierandosi sul fronte più comodo hanno scroccato un raggio di luce del riflettore. Si sono sentiti statisti, approdando al bar di Cortina si sono messi a salutare tutti, hanno ordinato «il solito» al cameriere che non sapeva chi fossero. Hanno approfittato della luce riflessa, adesso devono accontentarsi del loro riflesso, e non è un bel vedere.Ovviamente bisogna tenere conto delle sfumature. Ci sono, dicevamo, i Calboni un po’ untuosi, ma non possono mancare i Filini. Ovvero coloro che passano attraverso ogni fase con incrollabile entusiasmo misto a sempiterna ammirazione per il potere assoluto. Non fa una piega, tra gli altri, Giovanni Toti. Era baldanzosamente sulle barricate, prima di Natale, a pretendere obblighi, sanzioni, purghe e punizioni solenni. E lì è rimasto, ma adesso chiede scuole aperte, negozi aperti, ristoranti aperti. Che volete farci, il talebanismo vaccinale è come il pesce ratto: può piacere o non piacere, e al governatore ligure evidentemente piace. Solo che adesso lo deve anche degustare, e non sembra un’operazione semplice.Completano la terrificante sfilata le immancabili signorine Silvani. Sono andate a braccetto con l’uno e con l’altro, cioè con quello che al momento conveniva. Si son divertite a farsi desiderare, ad ancheggiare maliarde nei vestiti nuovi. Si sono fatte rimirare, senza curarsi d’aver cambiato sponda mille volte. Han danzato con Calboni, non potendo avere il mega direttore. Poi son tornate al punto di partenza, a chiedere - sull’esempio del professor Matteo Bassetti - di smetterla con i tamponi, col terrorismo e con i bollettini quotidiani. Il potere, però, sembra non ascoltarle più, le lascia sole. Forse, a ben vedere, i Filini, i Calboni e le Silvani sono molto più tristi di Fantozzi: loro non hanno nemmeno una signora Pina disposta a stimarli tantissimo.