Senza la droga di governo persi 76.000 posti

Ecco i numeri dell'Inps. Dopo il ministero del lavoro e l'Istat, ieri è stata la volta dell'Istituto guidato da Tito Boeri a ridisegnato l'andamento del mercato del lavoro nei primi sette mesi del 2016 con una perdita secca di 76mila posti sui contratti fissi e sulle assunzioni nel settore privato.

Il rallentamento di queste ultime ha coinvolto principalmente i contratti a tempo indeterminato (–379mila, –33,7% su anno) e va considerato in relazione al forte incremento delle assunzioni a tempo indeterminato registrato nel 2015, secondo l'istituto, quando potevano beneficiare dell'abbattimento integrale dei contributi a carico del datore di lavoro per tre anni. In calo anche le trasformazioni a tempo indeterminato (-36,2%). Per i contratti a tempo determinato, in sette mesi, le assunzioni sono state 2.143.000, in linea con il 2015 (+0,9%).

La scorsa settimana anche il dicastero del Lavoro aveva puntato il dito sui licenziamenti avvenuti nell'ultimo trimestre registrando un'impennata del 7,4%. Mentre poche settimane prima il 90% dei giornali italiani aveva celebrato i dati positivi dell'Istat. In questo turbinio di numeri promossi e spinti dallo storytelling ormai imperante è praticamente impossibile orientarsi e capire quale sia effettivamente lo stato della malattia italiana. Ciò che è certo è che terminata la droga degli incentivi voluti lo scorso anno dalla legge di Stabilità 2016 la curva è tornata verso il basso. E i dati sulla produttività fanno pensare che non ci sarà alcuna inversione di rotta.

Un concetto tutto sommato semplice. Solo che ci vorrebbe un'operazione trasparenza e non una sistematica attività di sovrapposizione di numeri e percentuali che può avere solo due cause. O una gestione della statistica assai discutibile, oppure una volontà mirata a spostare l'attenzione continuamente su altri temi. Il problema è che prima o poi i nodi arriveranno al pettine.

Nel frattempo la prima operazione trasparenza dovrebbe essere quella sul progetto Garanzia giovani. Di per sé un flop, come più volte ha dimostrato Adapt, la fondazione voluta da Marco Biagi, salvo il fatto che dentro le pieghe dei posti di lavoro stimolati si nascondono altre droghe, ovvero altri incentivi. Ad esempio, a carico delle Regioni ci sono circa 70mila persone che hanno trovato un ripiego lavorativo. Quando l'incentivo non ci sarà più che cosa dovremo aspettarci? Sarebbe il caso di dirselo prima che la realtà si imponga sulle chiacchiere. Magari proprio adesso, nel momento in cui ci si prepara a mettere in tavola la prossima legge di Stabilità e la prossima manovra.

«Dobbiamo fare politiche di sviluppo permanente. Il jobs act, ad esempio, è una misura che ridisegna il mercato del lavoro», ha detto Claudio De Vincenti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. «La prossima legge di bilancio - ha aggiunto De Vincenti - sarà un rafforzamento di queste misure per la crescita e, di conseguenza, la capacità industriale del Paese. E l'impresa oggi ha un ruolo centrale».

Peccato che non sia proprio così. Dimentichiamo infatti che il Pil veleggia praticamente verso lo zero e se in questi ultimi 18 mesi non ci fosse stato il bazooka di Mario Draghi, numero uno della Bce, la nostra crescita economica sarebbe sotto zero. Il Quantitative easing ha regalato all'Italia infatti un punto secco di Pil. Al momento non abbiamo sfruttato la leva. Anzi il governo continua ad alzare polveroni in Europa per fare altro deficit. La legge di Stabilità in lavorazione in questi giorni dovrebbe oscillare fra i 23 e i 26 miliardi di euro, di cui però ben oltre la metà dovrà essere utilizzata per sterilizzare le clausole di salvaguardia che gravano sull'anno prossimo e che minacciano di far salire le aliquote Iva dal 10 al 12% e dal 22 al 24%. Il taglio dell'Irpef è stato spostato al 2018, ma già da subito andranno indicate le coperture.

E qui cascherà l'asino. Se poi si vorrà insistere sulle politiche dei bonus senza fare accurate valutazioni d'impatto (al momento sembrano del tutto assenti) si rischierà di trovarsi di fronte a due strade. O a nuove tasse o di nuovo a maggiore deficit o debito. Nel primo caso scordiamoci ripresa e investimenti. Nel secondo, quando finirà la politica dei tassi sotto zero, rischieremo di finire di nuovo sulla lista degli appestati della finanza internazionale. Una bella scelta.

«Forza Italia non fa favori a Mediolanum»
Massimo Doris (Imagoeconomica)
Secondo la sinistra, Tajani sarebbe contrario alla tassa sulle banche perché Fininvest detiene il 30% del capitale della società. Ma Doris attacca: «Le critiche? Ridicole». Intanto l’utile netto cresce dell’8% nei primi nove mesi, si va verso un 2025 da record.


Nessun cortocircuito tra Forza Italia e Banca Mediolanum a proposito della tassa sugli extraprofitti. Massimo Doris, amministratore delegato del gruppo, coglie l’occasione dei conti al 30 settembre per fare chiarezza. «Le critiche sono ridicole», dice, parlando più ai mercati che alla politica. Seguendo l’esempio del padre Ennio si tiene lontano dal teatrino romano. Spiega: «L’anno scorso abbiamo pagato circa 740 milioni di dividendi complessivi, e Fininvest ha portato a casa quasi 240 milioni. Forza Italia terrebbe in piedi la polemica solo per evitare che la famiglia Berlusconi incassi qualche milione in meno? Ho qualche dubbio».

«Oggi nell’Ue non ci sono le condizioni per togliere l’unanimità in Consiglio»
Giovanni Pitruzzella (Ansa)
Il giudice della Consulta Giovanni Pitruzzella: «Non c’è un popolo europeo: la politica democratica resta ancorata alla dimensione nazionale. L’Unione deve prendere sul serio i problemi urgenti, anche quando urtano il pensiero dominante».


Due anni fa il professor Giovanni Pitruzzella, già presidente dell’Autorià garante della concorrenza e del mercato e membro della Corte di giustizia dell’Unione europea, è stato designato giudice della Corte costituzionale dal presidente della Repubblica. Ha accettato questo lungo colloquio con La Verità a margine di una lezione tenuta al convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, dal titolo «Il problema della democrazia europea».

La sinistra si batte per dare gli appartamenti popolari agli stranieri senza lavoro
Ansa
Maurizio Marrone, assessore alla casa della Regione Piemonte in quota Fdi, ricorda che esiste una legge a tutela degli italiani nei bandi. Ma Avs la vuole disapplicare.


In Italia non è possibile dare più case agli italiani. Non appena qualcuno prova a farlo, subito si scatena una opposizione feroce, politici, avvocati, attivisti e media si mobilitano gridando alla discriminazione. Decisamente emblematico quello che sta avvenendo in Piemonte in queste ore. Una donna algerina sposata con un italiano si è vista negare una casa popolare perché non ha un lavoro regolare. Supportata dall’Asgi, associazione di avvocati di area sorosiana sempre in prima fila nelle battaglie pro immigrazione, la donna si è rivolta al tribunale di Torino che la ha dato ragione disapplicando la legge e ridandole la casa. Ora la palla passa alla Corte costituzionale, che dovrà decidere sulla legittimità delle norme abitative piemontesi.

Henry Winkler racconta le follie del passato in «Una storia pericolosa»
Henry Winkler (Getty Images)
In onda dal 9 novembre su History Channel, la serie condotta da Henry Winkler riscopre con ironia le stranezze e gli errori del passato: giochi pericolosi, pubblicità assurde e invenzioni folli che mostrano quanto poco, in fondo, l’uomo sia cambiato.

Il tono è lontano da quello accademico che, di norma, definisce il documentario. Non perché manchi una parte di divulgazione o il tentativo di informare chi stia seduto a guardare, ma perché Una storia pericolosa (in onda dalle 21.30 di domenica 9 novembre su History Channel, ai canali 118 e 409 di Sky) riesce a trovare una sua leggerezza: un'ironia sottile, che permetta di guardare al passato senza eccessivo spirito critico, solo con lo sguardo e il disincanto di chi, oggi, abbia consapevolezze che all'epoca non potevano esistere.

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