2020-07-22
Dove la polizia batte in ritirata esplodono le violenze contro i neri
Spencer Platt / Getty Images
Le proteste del Black lives matter hanno prodotto un drastico calo delle operazioni di sicurezza. Il risultato, da New York a Chicago, è l'impennata di disordini, con le vittime di sparatorie anche raddoppiate in un anno. Una delle più grandi truffe ideologiche degli ultimi decenni consiste in quelle che vengono chiamate «politiche dell'identità». Il pensiero progressista attualmente prevalente punta a distruggere le identità e le comunità nazionali, al fine di creare immaginari «cittadini del mondo». La realtà, però, si può nascondere ma non sopprimere. Il bisogno di identità, fondamentale per ogni essere umano, rispunta fuori in altre forme, specialmente attraverso le identità particolari, cioè le minoranze. L'orgoglio di essere italiani o americani è considerato riprovevole, in compenso si viene guardati con benevolenza se si è fieri di essere omosessuali, trans, neri, asiatici (tutto fuorché bianchi e conservatori). Ogni minoranza rivendica diritti - veri e presunti - e se ottiene che qualche sua istanza venga esaudita si ritiene soddisfatta, contenta di avere vinto una battaglia.Solo che, nella gran parte dei casi, gli interessi dei piccoli gruppi confliggono con quelli delle grandi comunità: le minoranze sono spesso accontentate a discapito della maggioranza. Ed ecco il guaio: tutti gli individui appartengono sia a una minoranza che a una grande comunità. Quindi - poiché la coperta è corta - se da un lato possono vincere, dall'altro perdono, ma non se ne accorgono. Un esempio piuttosto eloquente è fornito da ciò che sta accadendo negli Stati Uniti da qualche mese a questa parte, per la precisione da quando George Floyd, il 25 maggio scorso, è stato ucciso a Minneapolis da un gruppo di poliziotti. Il pandemonio seguito alla sua morte è universalmente noto: manifestazioni in tutto il mondo, scontri di piazza, statue abbattute, campagne contro il «razzismo sistemico» e contro la polizia. Meno note sono le conseguenze di tutto ciò. A metterle in fila ci hanno pensato in questi giorni il New York Times e la National Review. Il quotidiano di New York ha notato che, nelle ultime settimane, in città si è registrato un notevole aumento delle sparatorie (e degli omicidi che ne derivano). «Il recente picco, inclusa l'uccisione di un bimbo colpito da un proiettile vagante durante un barbecue», ha scritto il giornale, «ha stimolato recriminazioni crescenti e insolitamente dure tra alcuni funzionari e la direzione del Dipartimento di polizia, che sta affrontando una delle sue più grandi crisi degli ultimi anni». Secondo il New Yprk Times, a New York «il numero degli arresti è precipitato mentre le sparatorie sono aumentate, e alcuni […] sostengono che gli ufficiali di polizia stiano rallentando il lavoro in risposta alle proteste contro la brutalità degli agenti e il razzismo sistemico scoppiate dopo la morte di George Floyd a Minneapolis. Ma i comandanti di polizia affermano che la loro incapacità di frenare le sparatorie derivi dalla necessità di spostare le risorse della polizia sul contenimento delle proteste, nonché da un clima politico ostile che ha reso gli agenti riluttanti a effettuare arresti a causa di quello che considerano un controllo ingiusto della loro condotta». L'articolo ricostruisce i fatti da una prospettiva progressista, ma ciò che sta accadendo è piuttosto chiaro. Da quando la polizia è sotto attacco - accusata di violenza e razzismo - i delitti aumentano. Il fenomeno è divenuto chiaramente visibile a pochi giorni di distanza dalla morte di Floyd. Dice la National Review che «la città di New York ha registrato 250 vittime di sparatorie dal primo al 28 giugno, in crescita del 157% rispetto allo stesso periodo del 2019. La città non ha visto così tante vittime di sparatorie dal 1996, quando ne sono state registrate 236. La violenza è continuata fino a luglio, con 63 vittime di altre 44 sparatorie». Situazione analoga a Chicago, dove dall'inizio del 2020 si sono contati più di 330 omicidi, molti dei quali durante conflitti a fuoco. Nel solo mese di giugno, le vittime di sparatorie sono state 424, il 75% in più rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Secondo l'Atlanta Journal-Constitution, «93 persone sono state uccise ad Atlanta nel corso di quattro settimane dal 31 maggio al 27 giugno, un drastico aumento rispetto alle 46 dello stesso periodo dell'anno scorso, mentre 14 persone sono morte per omicidio nello stesso arco di tempo, contro le 6 dello stesso periodo del 2019». A Minneapolis, dopo la morte di Floyd, il numero di sparatorie segnalate è quasi raddoppiato rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Secondo Russell Covey, professore di diritto penale alla Georgia State University, sentito dalla National Review, si sta verificando una sorta di «ritiro» della polizia, e perché ciò avvenga è piuttosto chiaro: i rappresentanti delle forze dell'ordine spiegano che gli agenti «hanno timore di fare il proprio lavoro». Da quando Black lives matter e movimenti simili hanno dato il via a proteste massicce, gli agenti diminuiscono gli arresti, tendono a intervenire meno per il timore di essere tacciati di violenza e razzismo. A New York è stata addirittura sciolta una unità speciale che in passato era stata accusata di avere la mano troppo pesante. Il risultato è che le sparatorie aumentano. Ma il dato più interessante è che questo aumento si verifica nei quartieri più poveri e più disagiati. Che spesso sono - appunto - quelli in cui vivono i neri. Riassumendo: le proteste antirazziste senza controllo (appoggiate anche dai bianchi ricchi e radical) stanno, nei fatti, danneggiando le stesse comunità che dicono di voler proteggere. Il (presunto) interesse di un piccolo gruppo si rivela un danno per una grande comunità. E le diseguaglianze, invece di diminuire, crescono grazie a un manipolo di invasati che ottiene pubblicità su tutti i media globali. Forse le vite dei neri contano solo se consentono di attaccare Donald Trump e i bianchi razzisti.
Donald trump e Viktor Orbán (Ansa)
Bivacco di immigrati in Francia. Nel riquadro, Jean Eudes Gannat (Getty Images)
Giancarlo Giorgetti (Ansa)