2022-06-22
Dopo centomila morti scoprono il negoziato
Persino Repubblica, dopo aver sposato per mesi la narrazione sulla guerra a tutti i costi fino alla sconfitta definitiva di Vladimir Putin, ora invita a trattare e bacchetta Joe Biden. Quando lo dicevamo noi, prima di tragedie e devastazioni, ci davano dei venduti al Cremlino.Chissà come avranno reagito ieri i guerrafondai di casa nostra, quelli che ritengono che l’Ucraina debba essere aiutata senza se e senza ma fino alla definitiva sconfitta di Vladimir Putin. Chissà come saranno rimasti sgomenti quelli che non vedono l’ora di rifornire di armi sempre più sofisticate l’esercito di Kiev, affinché faccia per noi il lavoro sporco che noi non vogliamo fare, ovvero combattere e ammazzare il maggior numero di russi. Sì, saranno davvero stati sorpresi nel leggere un editoriale di Charles A. Kupchan sulla prima pagina di Repubblica, titolato «Il negoziato come soluzione». Ma non bisognava sostenere Zelensky fino alla vittoria? Non bisognava prepararsi a riprendersi il Donbass e pure la Crimea occupata nel 2014, ripristinando l’integrità territoriale dell’Ucraina? Fino a ieri le pagine del quotidiano di casa Agnelli ridondavano di articoli a sostegno della necessità di proseguire il conflitto, senza alcuna esitazione sull’obbligo, morale e politico, di donare a Kiev cannoni e carrarmati. Dunque, che è successo all’improvviso per pubblicare un editoriale in cui si spiega che «Washington deve avviare una discussione esplicita su come mettere fine alla guerra, insieme agli alleati, a Kiev e anche a Mosca»? Innanzitutto, va spiegato chi è Kupchan. Non si tratta della versione americana di Alessandro Orsini, da liquidarsi come filoputiniano, ma di un professore che oltre ad aver lavorato per alcune delle più importanti università degli Stati Uniti (l’ultima è la Georgetown University di Washington), ha servito le amministrazioni democratiche con Clinton e Obama e ricoperto l’incarico di direttore del dipartimento degli affari europei nel consiglio della sicurezza nazionale. I suoi libri sono tradotti anche in Italia e i suoi articoli sono pubblicati regolarmente su Foreign Affairs, New York Times e Washington Post. Insomma, oltre a non essere un fan di Putin, non lo è di certo neppure di Trump.Ciò detto, torniamo all’editoriale comparso sulla prima pagina di Repubblica, ovvero del quotidiano che fino all’altroieri pubblicava sul conflitto opinioni con titoli sobri tipo «Lotta contro l’Apocalisse», «Salviamo l’Europa dalla distruzione», «Su quel fronte è in gioco la nostra libertà», «Il nostro debito morale», «Adesso la Ue è una forza politica», «Il morso velenoso del serpente russo», «Perché non basta dire pace» e così via. Kupchan scrive che «l’Ucraina probabilmente non dispone della forza militare per cacciare la Russia dall’integralità del suo territorio e l’inerzia della guerra, sul campo, ora sembra andare in favore della Russia. Più a lungo proseguirà questo conflitto, più morti e distruzioni ci saranno e più grandi saranno gli sconvolgimenti per l’economia mondiale e l’approvvigionamento di cibo». Il professore avverte che di questo passo i rischi di un’escalation, cioè di una guerra a tutti gli effetti fra Russia e Nato, sono molti alti. «Tuttavia, se Biden vuole veramente facilitare i negoziati dovrà impegnarsi di più per crearne le basi politiche e plasmare una narrazione che metta una soluzione diplomatica al primo posto. Si sente ancora troppa retorica oltranzista a Washington». In pratica, basta dire che con le forniture d’armi l’Ucraina tornerà padrona dei territori che la Russia le ha sottratto, smettiamola di sostenere che l’obiettivo è indebolire Mosca al punto che non sia più in grado di fare le cose che ha fatto. «Invece di fornire armi senza condizioni (lasciando di fatto che siano gli ucraini a decidere la strategia, scrive Kupchan), Washington deve avviare una discussione esplicita su come mettere fine alla guerra», «smettendo di fare dichiarazioni che rischiano di legarle le mani al tavolo negoziale». L’ex direttore degli Affari europei del Consiglio nazionale di sicurezza spazza via le tesi di cui America e Ue, insieme con i giornaloni, si sono nutrite fino a oggi: Biden «dovrebbe evitare di infilarsi in un angolo con le sue mani, pronosticando una catastrofe se la Russia dovesse conservare il controllo di una parte dell’Ucraina nel momento in cui cesseranno i combattimenti, perché previsioni come queste rendono più difficile giungere a un compromesso e rischiano di ingigantire l’impatto geopolitico di qualsiasi guadagno territoriale che la Russia dovesse assicurarsi. La tesi che Vladimir Putin smetterà di creare problemi soltanto se subirà una sconfitta decisiva in Ucraina, è un’altra argomentazione infondata che distorce il dibattito e ostacola la strada della diplomazia». Cacciare Putin per Kupchan non è un’analisi strategica ragionata, ma un pio desiderio: «Putin è destinato a rimanere al potere per il prossimo futuro e continuerà a creare problemi comunque dovesse finire questa guerra». Anzi, umiliarlo potrebbe essere pericoloso: «Se fosse con le spalle al muro, potrebbe agire in modo molto più sconsiderato di come agirebbe se potesse rivendicare una vittoria prendendosi un altro pezzo dell’Ucraina».La lettura dell’editoriale dell’ex consigliere di Clinton e Obama è un sano bagno di realismo, che arriva dopo quello di altri osservatori non certo filo putiniani come Kissinger e Sachs. In America, il dibattito su come uscire da una guerra che rischia di fare parecchi danni ormai si sviluppa con una certa vivacità su molti giornali e in parecchi think tank. Solo da noi chi si azzarda a sollecitare una trattativa che ponga fine al conflitto è bollato con accuse di essere al soldo del Cremlino o, nel migliore dei casi, di avere un comportamento immorale che non tiene conto dei temi etici in gioco. Le stesse tesi di Kupchan le abbiamo ribadite più volte sulle pagine della Verità, ossia 100.000 morti fa e prima che 10 milioni di ucraini fuggissero dalle bombe, lasciandosi alle spalle intere città rase al suolo. Ora perfino a Repubblica si svegliano e mettono in prima pagina un commento in cui si dice che Stati Uniti, Europa, Russia e resto del mondo hanno bisogno di porre fine al conflitto e per questo Biden dovrebbe capire che è arrivato il momento di mettere in piedi un tavolo negoziale. Ecco, noi l’avevamo capito prima dei 100.000 morti, prima dei 10 milioni di sfollati, ma allora parlare di negoziato voleva dire resa. Ora, con un’Ucraina devastata, che cos’è?
Dario Franceschini (Imagoeconomica)
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