2019-10-15
Di Maio esulta per il finto embargo ai turchi
Ue fantasma sulla crisi in Siria. Il consiglio dei ministri degli Esteri non va oltre la «condanna» dell'attacco di Ankara contro i curdi. Mentre sullo stop alle armi ognuno fa come vuole: i giallorossi si accoderanno a Francia e Germania, anche se non servirà a nulla.Sale la tensione in Siria. E Bruxelles rischia di restare in mezzo al guado. Le truppe turche hanno lanciato ieri un'offensiva su Manbij, mentre si stanno preparando ad assediare la città di Kobane. Le forze di Damasco sono invece avanzate nel Nordest sino ad Ayn Issa, dopo che i curdi hanno annunciato di aver trovato un accordo con il presidente siriano, Bashar Al Assad, in funzione antiturca. Crescono intanto gli allarmi di emergenza umanitaria: secondo l'Oms, un milione e mezzo di persone ha necessità di assistenza sanitaria.L'Unione europea si è frattanto espressa sulla questione. Il consiglio Affari esteri in Lussemburgo ha condannato ieri l'invasione militare di Ankara, impegnandosi al contempo «a rafforzare le posizioni nazionali in merito alla politica di esportazione» di armi verso la Turchia. L'Europa, insomma, si schiera definitivamente contro Recep Erdogan, sebbene la linea adottata non sembri mostrarsi particolarmente dura. Soprattutto a causa dell'opposizione di Ungheria e Bulgaria, non è stata infatti raggiunta una posizione comune sulla proposta dell'embargo di armi alla Turchia: una questione che, almeno per ora, sarà lasciata alle decisioni dei singoli Stati. Segno di come non si registri una visione unitaria tra i vari Paesi membri. L'unica misura potenzialmente concreta presa dal consiglio riguarda semmai la volontà di istituire un regime quadro di sanzioni che vadano a colpire le trivellazioni turche al largo di Cipro: bisognerà tuttavia capire se si riuscirà ad andare avanti in questa direzione. In tale spinosissimo contesto, la Farnesina ha annunciato che l'Italia bloccherà le esportazioni di armi verso la Turchia, seguendo l'esempio di Germania, Francia e Olanda. A renderlo noto, è stato ieri lo stesso ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Si tratta di una misura che parte tuttavia azzoppata, visto che il blocco riguarderà paradossalmente soltanto i contratti futuri (e non quelli già in essere). Il ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, ha invece definito inopportuno giocare a Istanbul la prossima finale di Champions league.Alla luce di tutto ciò, vale forse la pena di chiedersi se la reazione di questi Paesi europei possa realmente definirsi adeguata. L'anno scorso, l'Italia ha venduto 360 milioni di euro in materiale bellico alla Turchia, a fronte dei 243 milioni della Germania. Inoltre, nonostante le cifre siano minori, anche Parigi esporta considerevoli quantitativi di armi in Turchia. Il punto è che Erdogan sa esattamente come reagire a questi blocchi europei. Non solo Ankara ha negli ultimi anni aumentato la produzione interna nel settore della Difesa, riducendo la propria dipendenza dall'estero. Ma non bisogna neppure dimenticare che, a partire dal 2016, la Turchia si sia progressivamente avvicinata alla Russia: quella stessa Russia da cui potrebbe adesso incrementare i propri rifornimenti.D'altronde, Vladimir Putin ha - almeno finora - mostrato un forte interesse a tollerare l'invasione turca del Nordest siriano. Con questa mossa, il Cremlino è già riuscito a ottenere che i curdi passassero sotto l'egida di Assad. Senza considerare che - in cambio di questa accondiscendenza - lo Zar spera probabilmente che Erdogan ritiri il proprio sostegno militare ai ribelli presenti nella regione di Idlib. Come dimostrato dal suo viaggio di ieri in Arabia saudita, Putin mira a rafforzare la propria influenza sul Medio Oriente e a spingere gli americani definitivamente fuori dallo scacchiere siriano, rinsaldando al contempo i propri legami con Ankara. Una sirena, quella russa, verso cui Erdogan si è mostrato non poco affascinato negli ultimi anni, come anche dimostrato dalle sue recenti critiche agli alleati della Nato. «Ho parlato con la cancelliera tedesca, Angela Merkel, e il giorno prima con il premier britannico, Boris Johnson. Nei nostri colloqui ho capito che c'è una seria disinformazione. Starete dalla parte del vostro alleato Nato o dalla parte dei terroristi?», ha dichiarato.Per queste ragioni, gli embarghi europei sulle armi rischiano di rivelarsi un mero boomerang per chi li ha decretati. Perché il vero punto debole di Erdogan risulta semmai oggi quello dell'immigrazione. Gli oltre tre milioni di profughi siriani, attualmente presenti sul territorio turco, rappresentano una bomba a orologeria per il Sultano in termini di politica interna. Non a caso, l'operazione Fonte di pace mira non solo a ricompattare gli elettori turchi contro l'atavico nemico curdo, ma anche (e forse soprattutto) a reinsediare in Siria quegli stessi profughi. Insomma, se Bruxelles avesse voluto far male al Sultano, avrebbe dovuto innanzitutto tagliare i cospicui finanziamenti che versa ad Ankara per bloccare flussi migratori che altrimenti si riverserebbero in Europa occidentale. È tuttavia chiaro che, per agire risolutamente su questo fronte, l'Unione europea necessiterebbe di una politica migratoria comune, in grado di garantire - oltre all'integrazione - anche una salda difesa dei propri confini. Senza poi dimenticare l'esigenza di una politica estera organica, che impedisca agli Stati membri di muoversi in ordine sparso e in preda agli egoismi nazionali. Purtroppo, su entrambi i fronti, Bruxelles risulta desolatamente impreparata. Il timore del Sultano è quindi maggiormente rivolto alle «grandi sanzioni», minacciate ieri da Donald Trump: un Trump che ha tuttavia di nuovo escluso un intervento militare americano.