2018-04-25
Alfie, il piccolo che non vuole morire ha dato una lezione a giudici e medici
Questa è la storia del bambino che non voleva morire. Un bambino inglese di nome Alfie, che un giudice di sua maestà ha condannato, decidendo che la sua vita non poteva essere considerata tale, perché il suo respiro affannoso era appeso a una macchina. Così, contro il parere dei genitori, il magistrato ha ordinato di staccargli la spina, come si fa con gli elettrodomestici che non funzionano bene. Basta, questo frullatore va buttato. E anche Alfie Evans, due anni ancora da compiere, va buttato, perché il suo cervello è affetto da una patologia sconosciuta, che non si può riparare. I genitori non hanno perso la speranza e più di ogni cosa non vogliono perdere lui. Ma i medici dicono che no, è inutile sperare. Soprattutto è inutile spendere altri soldi per tenere il bambino attaccato a una macchina. Perché alla fine il tema di cui si discute sta tutto lì, nei soldi. È giusto spendere quattrini dei contribuenti per tenere in vita un bambino che secondo i dottori non ha alcuna speranza di vita? Per l'ospedale no. E neppure per il giudice: infatti ha emesso una sentenza che è una condanna a morte. I medici possono fare clic. Ma una vita non si spegne come una macchina, schiacciando un interruttore. Un bambino non muore perché lo ha ordinato il tribunale. La vita è misteriosa e meravigliosa, perché non rispetta le decisioni dei contabili e neppure quelle dei magistrati. Così il piccolo Alfie, anche senza la macchina, rimane appeso alla vita. Nonostante l'abbia deciso la Corte, quel bambino di due anni che secondo la medicina è affetto da una patologia cerebrale che gli impedirebbe di vivere, si rifiuta di morire. Di obbedire al clic. La madre e il padre, due ragazzi di vent'anni che vogliono sperare fino all'ultimo, come fino all'ultimo spererebbe qualsiasi genitore di un figlio condannato, si oppongono e non cedono, rimanendo attaccati al letto del loro bambino anche quando i medici hanno tolto tutto. Via il respiratore, via le cannule per idratare Alfie. Ma anche senza l'ossigeno e l'acqua Alfie vive. Dicono che per tutta la notte papà e mamma si siano alternati facendogli la respirazione bocca a bocca. Nove ore. Forse undici. Fino a che i dottori non hanno deciso di restituire ad Alfie l'ossigeno e l'acqua. Il bambino che non voleva morire ha disobbedito alla Corte, ritenendo ingiusta la decisione. La vita si è ribellata alla sentenza di morte emessa dal tribunale inglese. Il piccolo Evans forse non diventerà mai grande, perché è condannato da una malattia oscura che i medici non sanno neppure diagnosticare. Tuttavia, il bambino che non voleva morire ha già vinto, perché ha sconfitto le regole di chi pretende di stabilire per legge quando si debba vivere e quando si debba morire. E con lui, con Alfie, hanno vinto i suoi genitori, due ragazzi di vent'anni, che non hanno una particolare cultura e nemmeno hanno tanti soldi, ma hanno una grande forza e soprattutto un grande amore per il proprio figlio. La storia di Alfie ci insegna alcune cose. Prima di tutto che quando nella sanità si pretende di stabilire che cosa sia giusto curare e che cosa sia giusto non curare, si rischia sempre di finire per stabilire chi sia giusto curare e chi no. In Gran Bretagna, tempo fa, qualcuno si interrogò sulle cure da somministrare agli anziani, facendo previsioni sulla convenienza dell'intervento medico. Probabilmente c'è chi ritiene che la vita debba essere valutata con un algoritmo, lasciando al computer la scelta se continuare con le medicine oppure sospendere. La seconda cosa che ci insegna la vicenda del piccolo Evans è che è giusto affidarsi alle mani dei medici, lasciando che i dottori decidano la cura per salvare una vita. Ma la scelta di ricoverarsi in un ospedale non può essere senza appello. Qualsiasi malato - che sia un adulto o un bimbo di pochi mesi - deve avere la possibilità di decidere dove farsi curare e, se non è contento dell'équipe o solo vuole provarne un'altra inseguendo la speranza, deve essere libero di farlo. Un paziente non è un detenuto e men che meno un condannato. Per Alfie era pronto un volo che lo portasse in Italia e anche un posto letto al Bambino Gesù. Che male può fare un trasferimento? Perché tenere in ostaggio un bambino contro il parere dei genitori? Perché impuntarsi nello stabilire che per un bimbo malato vale la legge inglese? E qui siamo all'ultimo insegnamento. Allo Stato non tocca decidere della vita o della morte di un bambino. Semmai spetta tutelare la vita. Che a stabilire sia un suo rappresentante, con indosso una toga, mette paura. Alfie, infatti, potrebbe essere chiunque di noi, e una volta accettato il principio di una vita appesa a una sentenza, un funzionario potrebbe pretendere di premere l'interruttore. È un motivo per tenere separate le ragioni della vita dalle ragioni dello Stato. Perché la contabilità non può mai essere la giustificazione con cui si spegne la luce di un'esistenza.
«The Iris Affair» (Sky Atlantic)
La nuova serie The Iris Affair, in onda su Sky Atlantic, intreccia azione e riflessione sul potere dell’Intelligenza Artificiale. Niamh Algar interpreta Iris Nixon, una programmatrice in fuga dopo aver scoperto i pericoli nascosti del suo stesso lavoro.