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Fare i conti in tasca a Cgil, Cisl e Uil è un'impresa. Bocche chiuse in quella che un tempo veniva definita la Triplice. Sì, un «bilancino» non lo negano a nessuno ma in quelle poche paginette ci sono solo spiccioli: infatti, i bilanci consolidati dei sindacati confederali non sono pubblici. Eppure, le loro casse sono strapiene e, attenzione, non solo dei contributi dei tesserati ovvero delle trattenute dei loro associati sulle buste paga o sulle pensioni. Il tesoro dei confederali viene soprattutto dai Caf che, nella vulgata del settore, sono definiti come i bracci armati dei sindacati. Ma il tesoretto confederale viene anche dai patronati che, come i Caf, sono spalmati in tutte le città italiane e che sono un vero e proprio business costruito per colmare la colpevole impossibilità dello Stato a fornire un servizio ai cittadini. Risultato? Nei Caf passa il 95 per cento della compilazione dei modelli 730, delle dichiarazioni fiscali, dei modelli Red, dei modelli Isee e dei modelli Iseu oltreché della trasmissione telematica dei modelli compilati o precompilati dai contribuenti. Per gli amanti della statistica significa che 26 milioni di cittadini si affidano ai Caf con relative pratiche che declinate in numeri fa più o meno 200 e passa milioni di euro che lo Stato compensa per le pratiche compilate e che i sindacati si spartiscono, anche con altre organizzazioni e associazioni d'imprese. Tutto regolare, sia chiaro: anche se spesso le cronache locali riportano di truffe messe a punto da qualche Caf ai danni dell'Inps, come avvenuto lo scorso luglio da parte dei Caf Cgil a Bari, dove la Finanza ha scoperto irregolarità gestionali; o i controlli della Corte dei conti sui beneficiari del 5 per mille scelti dai Caf per nome e per conto dei contribuenti.

E' bene ricordare che ogni cittadino per la gestione della propria pratica versa ai Caf decine e decine di euro: ad esempio, per una dichiarazione dei redditi c'è da sborsare una cifra che va dai 23 ai 60 euro. Così, in aggiunta a quanto incassato dall'Inps, i Caf mettono in cassa altri 150 milioni di euro. E quindi, se la matematica non è un'opinione, vuol dire che il mercato dei Caf fa girare nientepopodimeno che 350-370 milioni di euro ogni dodici mesi.

Giro d'affari di tutto rispetto per i sindacati. Giro d'affari ancora più imponente conteggiando i patronati che sono un'altra miniera d'oro visto che dallo Stato ricevono quasi 400 milioni di euro e che, concretamente, assistono i cittadini nella richiesta di pensioni e invalidità: pratica, quest'ultima, che al patronato garantisce poco più di 300 euro. Ovvero l'Inps per l'assistenza riconosce al patronato confederale un punteggio che nel caso dell'invalidità è di sei punti ognuno valutato 52 euro ognuno. Naturalmente il cittadino che si rivolge ai patronati è costretto comunque ad aprire il portafoglio e versare una somma che, mediamente, è intorno ai 100 euro. Insomma, Caf e patronati sono un bancomat . C'è poi una «mandrakata» che spesso passa inosservata e che mettono in atto strutture dove l'onestà non regna proprio sovrana: quando ci si rivolge ai patronati per chiedere assistenza o compilare un semplice modulo, in ufficio fanno firmare un riquadro precompilato in cui si acconsente alla delega delle relative quote sindacali. Il caso più classico è quello della domanda di pensione. Il modello da presentare all'Inps riporta, quindi, un piccolo spazio riservato alla trattenuta della quota sindacale sulla futura pensione. Dettaglio che al pensionato spesso non viene spiegato ma dalla sua pensione gli verranno trattenute delle piccole quote mensili, dai 3 agli 8 euro. E questo varrà per tutta la sua vita da pensionato. Come dire: un pizzo confederale occulto.

E come al supermercato Caf e patronati, offrono ai loro assistiti la possibilità di uno sconto se la richiesta di consulenza riguarda altri servizi. Si va dai bonus luce al bonus gas, alla disoccupazione (Aspi – mini Aspi – mobilità), fino a indennità di maternità, domanda di invalidità e accompagnamento, domanda di pensione E ancora: riscatto laurea, permesso di soggiorno e carta soggiorno, iscrizione al test d'italiano, richiesta cittadinanza italiana, ricongiungimento familiare, richiesta visto turistico, stampa del modello Cud, domanda casa popolare e domanda contributo affitto e, in aggiunta isee e iseu. Praticamente tutte le prestazioni ad esclusione dell'assistenza su tasse di successione, contratti di locazione e assunzione colf e badanti. Sconto di poche decine di euro rispetto al costo al pubblico se l'assistito si iscrive al sindacato. E pure su questi spiccioli milionari, ovviamente, Cgil Cisl and Uil tacciono.

Possiamo garantire che quando Matteo Renzi terminerà la lettura di questo articolo farà una telefonata a Beppe Sala. Certezza che il premier chiamerà il sindaco di Milano. Motivo? Ringraziare l'ex numero uno di Expo per il sostanziale contributo dato alle politiche per il lavoro ovvero per l'avere fattivamente tolto giovani e meno giovani dalla palude della disoccupazione. Non ci credete? Be', siete in errore. Eppure sarebbe sufficiente accedere alle determine dirigenziali del Comune di Milano per scoprire l'impegno messo da Sala per dare una scrivania, un computer e, soprattutto, uno stipendio a decine e decine di giovani che, altrimenti, erano a spasso.

Sì, Sala meriterebbe un applauso se non ci fosse di mezzo un dettaglio non da poco. Il comune denominatore di questi neo-dipendenti di Palazzo Marino, sede e simbolo dell'amministrazione comunale ambrosiana: tutti (o quasi) hanno speso il loro tempo per la campagna elettorale di Sala. Già, per mesi hanno supportato la sua candidatura a sindaco: basta scorrere i loro profili personali su Facebook per avere la certezza non solo di quale è stato il loro voto alle elezioni comunali ma anche di come hanno speso il loro tempo per contribuire alla vittoria di Sala e scoprire in molti casi la loro appartenenza o vicinanza al Pd.

Sia chiaro, non sono in discussione né le qualità professionali né i titoli di studio di questi fortunati che al 27 di ogni mese vedono lievitare il loro conto corrente: i curricula – che non sono allegati alle determine dirigenziali – offrono la certezza sulle qualità della squadra che Sala ha messo in piedi per sé e per i suoi assessori, anche se probabilmente all'interno dell'amministrazione comunale, tra i 15.000 e passa dipendenti, c'erano professionalità adeguate o quantomeno simili alle decine e decine di neo-collaboratori di Sala. E neppure c'è stato poi alcun trucco di natura giuridica per assumerli ma solo il riferimento all'art. 90 del testo unico enti locali (Legge 267/2000) che prevede la possibilità, per gli enti che non presentino bilanci dissestati, di nominare agli uffici di sindaco e assessori dei dipendenti dell'ente o dei collaboratori esterni scelti al di fuori delle normali procedure concorsuali per coadiuvare le funzioni di indirizzo e controllo. Come dire: tutto regolare se non per la circostanza che quest'infornata pagata con i soldi dei milanesi è frutto di una scelta politica per premiare gli amici degli amici, quelli con un santo in paradiso e quelli che, nelle piazze di Milano, hanno sventolato in campagna elettorale i leit motiv cari a Sala.

Un lungo elenco di nomi e cognomi per i quali il sindaco impegna 798.576 euro - Davide Agazzi, Martina Caiati, Giulia Freschelli, Luca Gibillini, Matteo Mangili, Olimpia Vaccari e Francesca Zacchello - poco meno di 800.000 euro spalmati su due anni, dopo averne impegnati altri 315.000 per ulteriori 14 consulenti sino al 31 dicembre 2016: Anna Gallo, Valeria Massarelli, Silvia Mascheroni, Laura La Pietra, Camilla Girola, Paola D'Antuono, Maria Emanuela Adinolfi, Luigina Venturelli, Fabrizio Vangelista, Giulia Cusumano, Giuseppe Vespa, Vincenzo Mauro Rocco, Laura Matteucci e Gabriella Polifroni.

Elenco che si completa con altre new entry tolte dalle liste d'attesa degli uffici di collocamento come Silvia Davide che insieme a Faiza Ben Abdelje e Laura Sandri – 141.153 euro, queste ultime due, da dividersi sino al 31 dicembre 2018 per un impegno di 25 ore settimanali - operano nell'assessorato di Carmela Rozza; Alessandra De Bernardis e Tommaso Goisis (263.110 euro per entrambi) in quello di Gabriele Rabaiotti; Salvatore Caschetto, Fabio La Rocca e Fiorella Imprenti (248.414 euro) in quello di Cristina Tajani. E, ancora, Andrea Carobene e Luca Simi (187.000 euro da suddividersi) negli uffici dell'assessore Marco Granelli, mentre in quelli di Pierfrancesco Maran c'è Laura Basile (116.988 euro) e in quelli di Anna Scavuzzo operano Martina Magnani e Giulio Tosoni – con 18 e 22 ore alla settimana – per 170.595 euro. Cinquantamila in meno di quanto si portano a casa Andrea Minetto e Silvia Taralli – con 30 e 25 ore settimanali in ufficio – all'assessorato di Filippo Del Corno. Niente male come stipendi anche per i neo assunti di PierfrancescoMajorino: Manuele Brienza e Alessandro Cesqui incassano 116.988 euro.

Alzi la mano quindi chi non sottoscriverebbe un incarico come questi così ben remunerati. Purtroppo, l'occasione per rimpinguare i propri conti correnti è già stata soffiata. L'offerta da prendere al volo però potrebbe ancora arrivare e, allora, gettiamo un'occhiata ai profili Fb dei fortunati sopra citati, giusto per comprendere quale sarebbe il passo giusto per farsi assumere in Comune qualora ci fosse un'opportunità.

Un esempio da seguire è quello di Davide Agazzi che si occupa di innovazione, imprenditoria e processi di sviluppo e che forte di questa esperienza sul campo ha scritto qualche articolo on line pro Sala, collaborato alla realizzazione del programma elettorale del sindaco e anche su Facebook mostrato di non aver dubbi sul voto pro Sala anche perché, scrive in un post, «chi oggi ha tra i 25 e i 35 anni cambierà molto probabilmente lavoro ogni 3/5 anni e anche per questo toccherà riflettere su come le città in cui viviamo possono rendere un po' più facili questi passaggi». Che è un must anche per Fabrizio Vangelista, detto «Bicio», ex vicesindaco di Cormano e tesoriere Pd. Su Facebook Vangelista fa il pieno di commenti quando si commuove pensando a «Luca, 22 anni, un lavoro precario e pericoloso a 4,5 euro l'ora. Direi che ne ho abbastanza di questa e di altre storie simili». Ne scrive un articolo, alle primarie sostiene Majorino, il competitor di Sala, e chiede scusa per un episodio occorsogli da vicesindaco, quando insieme a dirigenti comunali, definì un cassintegrato «sfigato, fallito di merda» e via di questo passo, mentre non fa un passo indietro per aver intonato Bella ciao in una trasmissione televisiva quale «risposta alle provocazioni degli spettatori di destra». Ingredienti che conditi da foto con Sala, da appelli e impegni al voto, hanno anche contribuito al suo ingresso nella squadra del sindaco.

Percorso un po' differente da quello di Camilla Girola che su Facebook si spende per Paolo Limonta e Anita Pirovano, ovvero SinistraXMilano, e si «rammarica di non poter scrivere sulla scheda elettorale Luca Gibillini» ma precisa che «se votassi la lista del Pd scriverei Pierfrancesco Maran e Anna Scavuzzo». Grande esempio, diciamo così, di equidistanza dopo aver messo nero su bianco che «a breve spirerò» ovvero che sarebbero finiti i suoi 5 anni da consulente con la giunta Pisapia. Ma a rincuorarla ci pensa pero' un'altra della squadra (prima con Pisapia poi con Sala), «io credo nella resurrezione dell'anima e degli addetti stampa» commenta Gabriella Polifroni che sul curriculum si segnala come insegnante di scuola media, evidenzia incarichi da addetta stampa in Comune dal 2001 ossia anche con le giunte Albertini, Moratti e Pisapia, e su Fb parla di migranti, papa Bergoglio e solidarietà. Risultato? Entrambe confermate.

E mischiare inclusione sociale, innovazione e il Papa è una miscela che Tommaso Goisis, laureato con la tesi Lo sport giusto per crescere e migliorare in azienda , utilizza sul suo curriculum dove però non rivela la sua avventura sponsorizzata dal Corriere della Sera, da Londra in Mongolia per un Charity Rally. Dettaglio da dimenticare perché fa troppo radical chic. Dimenticanza come quello dell'architetto Martina Magnani che non rivela di essere stata consigliere comunale Pd a Pavia mentre Giulia Tosoni nel suo curriculum mette in evidenza l'incarico di segreteria tecnica del sottosegretario Marco Rossi Doria, di aver coordinato il dipartimento scuola Pd e di essere stata portavoce degli Studenti della Rete. Come dire: mettere tutto in chiaro, segnalare tutti i punti di forza qualora Sala non lo sapesse.

Quello che non fa l'architetto Luca Simi con alle spalle 26 anni da consigliere di zona e una rissa con altri consiglieri di sinistra e neppure Giuseppe Vespo, ex capoufficio stampa Pd che evita di rendere noto questo passato professional-politico. Nulla di grave, s'intende. Tutto legittimo come Silvia Mascheroni, passata dall'ufficio stampa di Filippo Penati a quello di Sala attraverso Emanuele Fiano e il marito funzionario Pd in Regione , oppure di Laura Matteucci, ex Unità (come l'assunta Luigina Venturelli) che tace della parentela con Paolo, ex capogruppo Pd in Provincia e oggi schierato con Sel. Motivi di opportunità come quelli di Matteo Mangili che sul curriculum parla di «collaborazione presso partito politico» senza però scrivere di essere stato segretario organizzativo del Pd metropolitano e coordinatore dell'assemblea Sinistra Dem di Milano. E altri esempi di dimenticanze non mancano, come nel caso di Maria Emanuela Adinolfi che è stata nell'ufficio stampa della campagna elettorale di Sala e che ha tentato inutilmente di farsi eleggere alla Camera con il Pd o Alessandro Cesqui che nel curriculum vanta esperienza da discografico, producer e altro, ma tace la candidatura nella lista MilanoXPisapia.

Dimenticanze che si ritrovano anche nel profilo di Silvia Davite, collaboratrice dell'assessore Rozza, che ha saputo coniugare il sindacato Sunia (l'ex segretaria era proprio l'assessore Rozza) con il professor Ichino, la Lega di Giancarlo Giorgetti e di Davide Boni con Corrado Passera e ora con il Pd del vice segretario Lorenzo Guerini.