Sono convinto che qualcuno si sarà lamentato dell'impatto dell'uomo sull'ambiente appena il primo carro ha solcato un prato con le prime ruote. O al primo albero abbattuto per riscaldarsi e costruire qualcosa. Di certo è da secoli e secoli che si borbotta contro il cosiddetto «progresso umano». Sembrerebbe che l'individuo non possa sussistere senza modificare considerevolmente l'ambiente circostante, e in effetti è proprio così.
Tutto sta nel non eccedere, e dunque nel rispettare due condizioni principali: una popolazione mondiale contenuta e uno stile di vita sostenibile. È evidente che entrambi sono stati ampiamente disattesi da tempo. Il primo a sostenerlo a gran voce, dimostrandolo con dovizia di argomenti, è stato un americano illuminato, a metà Ottocento: George Perkins Marsh, a tutti gli effetti uno dei padri dell'ecologia moderna. Nato il 15 marzo 1801 a Woodstock, nel Vermont, da un'agiata famiglia dell'aristocrazia del New England, si laureò nel 1816 alla Phillips Academy e nel 1820 al Dartmouth College, con il massimo dei voti. Dopo l'iniziale professione forense, si dedicò alla vita politica, ai viaggi e soprattutto allo studio. Si sposò nel 1828 ed ebbe due bambini, ma nel 1833 la moglie e il figlio maggiore morirono a pochi giorni di distanza l'uno dall'altra. [...]
Eletto al Congresso degli Stati Uniti nel 1840 come membro del partito Whig, diede impulso alla fondazione dello Smithsonian institution e alla riorganizzazione della Biblioteca del Congresso. Nel 1849, il presidente Zachary Taylor lo invia come ambasciatore in Turchia per quattro anni. Visita Egitto, Palestina ed Europa sud-orientale. Nel 1852 lo assegnano in Grecia. [...]
Nel 1861, il presidente Abraham Lincoln lo invia nel neonato Regno d'Italia, dove abiterà in tutte e tre le capitali: Torino, Firenze, Roma. Amerà la penisola fino alla sua morte, il 23 luglio 1882. A lui è da ricondurre una petizione del 1873 che portò alla costituzione della Commissione nazionale per le foreste e alla formazione nel 1891 di un Sistema federale di riserve forestali, come a ulteriori provvedimenti di protezione adottati nel 1902 e nel 1911; a lui rende omaggio il Parco storico nazionale Marsh-Billings Rockefeller, istituito nel 1998 intorno alla sua casa natale di Woodstock: 224 ettari, la più antica foresta gestita in modo sostenibile del Paese; ma l'episodio più noto è l'istituzione nel 1872 del primo parco nazionale a Yellowstone, il più antico al mondo, durante la presidenza di Ulysses S. Grant. [...]
George Perkins Marsh aveva una visione olistica e un approccio multidisciplinare: passava dalla botanica alla religione, a storia, astronomia, sociologia, geologia, paleontologia, archeologia, antropologia e letteratura, non trascurando da amante della natura il mondo sottile delle energie invisibili. Parlava correntemente mezza dozzina di lingue europee, tra cui lo scandinavo. [...]
Ma l'opera che rappresenta il suo testamento spirituale è Man and nature, or physical geography as modified by human action (1864). In verità, ancora più esplicito era il titolo proposto dall'autore, che non sarà accolto dall'editore newyorkese: Man, the disturber of nature's harmonies. Illustrando in 600 pagine le trasformazioni operate dall'uomo sull'ambiente naturale, segue le orme della scuola di Mileto, di Plinio il Vecchio, Humboldt e Goethe [...].
Marsh voleva far comprendere a tutti i lettori che stiamo rischiando di mettere a repentaglio la sopravvivenza su questo pianeta: «L'uomo ha troppo dimenticato che la terra gli è stata concessa soltanto perché egli ne tragga frutto ma non la esaurisca», scrive. E il bello è che all'epoca la popolazione mondiale ammontava a circa 1,5 miliardi di abitanti, contro i 7,8 attuali. Pensiamo solo che la maggior parte dell'Europa senza di noi sarebbe un bosco unico, mentre oggi purtroppo non esistono foreste perfettamente vergini, [...]. È vero che in generale stanno avanzando in tutta Europa, ma anche la sabbia avanza da Sud, preceduta dall'erosione e dalla desertificazione. Buona parte dei suoi pensieri Marsh li maturò in Italia, di cui fa spesso menzione nel suo testo: osserva l'arco alpino, in Toscana ammira la natura, la cultura e rimane affascinato dalle opere realizzate, dai terrazzamenti alle varie forme di bonifica, fra cui le colmate, che precedettero in alcune aree (Val di Chiana e Maremma) le bonifiche idrauliche con l'ausilio delle macchine idrovore di fine '800. Appoggiò la causa dell'unità italiana, fu ammiratore di Garibaldi e si adoperò perché gli fosse affidato il comando delle truppe federali durante la guerra di secessione americana. L'Italia gli fornisce numerosi esempi dei processi di degrado, in quel tempo legati all'estensione delle attività agricole anche nelle aree montane e collinari più difficili, per far fronte all'aumento della popolazione. Dalla costruzione delle linee ferroviarie al disboscamento di Alpi e Appennini che genera frane e trasporto solido nei fiumi con protrazione dei loro delta. Nei due capitoli de L'uomo e la natura che affrontano il tema delle foreste e delle acque, Marsh riporta le considerazioni dell'ingegnere idraulico Elia Lombardini sull'arginamento del Po come processo in atto da secoli; inoltre, partecipa a istituzioni come la Società geografica italiana, l'Accademia della Valle Tiberina toscana e l'Accademia dei Lincei. Il luogo stesso della sua morte, Vallombrosa (Firenze), sottolinea le relazioni con gli ambienti scientifici e naturalistici italiani più innovatori. L'area, infatti, è un'amena collina affacciata sulla valle dell'Arno, sede dell'omonima abbazia benedettina dell'XI secolo. Era stata luogo di sperimentazione di varie tecniche di silvicoltura da parte dei monaci e aveva attirato vari artisti tra i quali John Milton, che nel XVII secolo fu ospitato nell'eremo del complesso. L'abbazia e la foresta divennero di proprietà dello Stato, con la soppressione degli ordini religiosi, al momento dell'Unità d'Italia. Oggi l'area è ancora utilizzata dalla facoltà di Scienze forestali dell'Università di Firenze come palestra per verificare gli effetti concreti degli interventi silviculturali. Marsh, sepolto nel cimitero protestante di Roma, ne sarà senz'altro fiero.
Ha riscosso grande successo la serie televisiva Das Boot, andata in onda a gennaio scorso sul canale Sky Atlantic e diretta dall'austriaco Andreas Prochaska, tanto che ci sarà la seconda stagione. Lo sceneggiato si ispira allo spettacolare film omonimo del 1981, di Wolfgang Petersen, e narra le vicende del sommergibile tedesco U-612, basato al porto di La Rochelle. Tuttavia, ci piacerebbe vedere, un giorno, anche una serie tv che glorifichi i sommergibilisti italiani, i quali operarono fianco a fianco di quelli teutonici per i sette mari, con mezzi meno manovrieri e dai tempi d'immersione rapida quattro volte superiori. La nostra base atlantica era a Bordeaux ed era denominata Betasom (Beta per «B», Som per «sommergibile»). Da lì partivano i temibili delfini d'acciaio, a caccia di naviglio angloamericano. Quegli uomini, marinai, siluristi, elettricisti, armieri, sottufficiali, ufficiali, comandanti, vivevano per settimane, mesi, in condizioni inimmaginabili. Quando andava bene. Quando invece andava male, sacrificavano la loro vita sotto bombe di profondità, cannonate, siluri, mitragliate, incendi o affogavano tra le lamiere. Come accadde al secondo capo silurista Pietro Venuti, Medaglia d'oro al valor militare alla memoria, 28 anni, friulano.
Il 24 giugno 1940, nel corso di una missione di guerra nelle acque del Mar Arabico, in Oceano Indiano, il suo sommergibile Galvani fu improvvisamente attaccato da unità nemiche di superficie e colpito nella zona poppiera da un proiettile, la cui esplosione provocò una pericolosa via d'acqua nel locale a lui affidato. Consapevole di votarsi a morte certa, anziché cercare la propria salvezza, vi si chiuse all'interno, bloccando la porta stagna: con il suo cosciente sacrificio, rese possibile la salvezza dell'unità e del suo equipaggio. La quotidianità delle missioni di questi combattenti era fatta di noia alternata ad adrenalina se non terrore, esalazioni dei gas di scarico dei motori diesel, di olio, della latrina (una sola, per decine di uomini), sudore di chi non si lava da settimane, caldo e umidità che costringevano spesso a stare a torso nudo, scarsità d'ossigeno, buio, insetti, spazi ristrettissimi dove tutti sanno tutto di tutti e si vive gomito a gomito, indumenti quasi sempre umidi di acqua marina. Il cibo fresco finiva subito, nei primi giorni di missione, poi si viveva di alimenti a lunga conservazione: scatolame, salumi, montagne di gallette così dure e insapori che prima di mangiarle spesso venivano inzuppate in acqua di mare. Il tempo scorre lento, i turni sono 4-4, ossia quattro ore di guardia e quattro di riposo, il sonno è perenne, le brande sono poche e il marinaio smontante si infila direttamente nel tepore, e fetore, del montante: la cosiddetta «branda calda». Il sole lo vede eventualmente chi sta in torretta di vedetta. Le missioni, che duravano anche tre mesi, raggiungevano le coste nord e sudamericane, quelle africane, i poli. A bordo la forma era quasi abolita, contavano la sostanza e il valore personale.
In quei frangenti si distinsero ufficiali come Carlo Fecia di Cossato, comandante del Tazzoli, che si sparerà a Napoli il 27 agosto 1944, prostrato dall'ignominioso tradimento dell'8 settembre 1943. Luigi Longanesi Cattani, le cui imprese navali gli sono valse quattro Medaglie d'argento al Valor militare, due di bronzo, due Croci al merito di guerra, una Croce di guerra al Valor militare e due Croci di ferro. Salvatore Todaro venne definito «Don Chisciotte del mare» dall'ammiraglio tedesco Karl Dönitz: dopo aver affondato col cannone del suo sommergibile il piroscafo belga Karbalo, si era fermato a raccogliere i naufraghi, li aveva rimorchiati su una zattera per quattro giorni e, quando il cavo del rimorchio si spezzò, li aveva ospitati a bordo prima di sbarcarli. Continuò a salvare naufraghi delle navi da lui affondate. Entrò nella Decima Flottiglia Mas, da cui uscì per essere assegnato a un peschereccio armato. Morì mitragliato da un caccia inglese Spitfire. Gianfranco Gazzana Priaroggia, comandante del Da Vinci, Medaglia d'oro al Valor militare alla memoria e Croce di cavaliere, era stato secondo ufficiale di Fecia di Cossato sul Tazzoli. Colò a picco 12 navi per complessive 67.972 tonnellate, venendo a sua volta affondato con tutto il suo equipaggio il 23 maggio 1943 a circa 300 miglia a ponente di Vigo (Spagna) dall'azione combinata del cacciatorpediniere Active e della fregata Ness. A Mario Rossetto, invece, il 22 gennaio 1943, giorno del suo ventottesimo compleanno, venne affidato a Betasom il comando del Finzi: il più giovane comandante italiano in Atlantico. E poi Enzo Grossi, comandante di Betasom e dei sommergibili Medusa e Barbarigo. L'elenco potrebbe continuare a lungo. Quando si parla di sommergibili, non si può tuttavia non citarne due geniali interpreti italiani, che pur non vi hanno mai combattuto: Angelo Belloni e Pietro Vassena. Inventori entrambi, il primo fu ufficiale di Marina e autore dell'unico furto di sommergibile della storia, a Muggiano (La Spezia), il 3 ottobre 1914, azione interventista per scuotere la neutralità nazionale, finite in un nulla di fatto.
Già allora Belloni era sicuro che questa fosse l'arma dell'imminente guerra, e che l'Italia dovesse approntare subito una flotta di 300 sommergibili che agissero come «branchi mobili di mine vaganti». Anticipava quindi di 30 anni le tattiche dei «branchi di lupi» degli U-Boot tedeschi. Il secondo, con la terza elementare, tra le sue decine di creazioni annovera il sommergibile tascabile C.3, da lui ideato e costruito, che nel 1948 stabilì il record mondiale di immersione: 412 metri nel lago di Como, davanti ad Argegno. Jacques Piccard, prima di mettere a punto il batiscafo Trieste con cui scese nella Fossa delle Marianne a 11.003 metri nel 1960 con Dan Walsh, si era fermato a lungo da Vassena, per studiare il mezzo e i suoi oblò. Ma anche Leonardo da Vinci ne aveva progettato uno, non sappiamo con quali esiti. Italici, una stirpe dunque di pionieri, finita in sangue e gloria: nella Seconda guerra mondiale schieriamo 184 battelli (i tedeschi, invece, 1.157), di cui però all'8 settembre 1943 soltanto 34 sono in grado di muovere. In totale, 1.750 missioni svolte, lanciando 427 siluri in 173 attacchi, affondando 132 navi mercantili (665.317 tonnellate) e 18 militari (28.950 tonnellate), perdendo 88 battelli nel Mar Mediterraneo, 40 in altri settori.




