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2019-02-13
Il business delle prostitute è anticiclico. La Lega vuole tassarlo, ma non sa come
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Paese che vai, prostituzione che trovi. Nel Vecchio Continente e, più in generale, a livello globale, ci sono sostanzialmente tre approcci all'esercizio del più antico lavoro del mondo. In Italia, ad esempio c'è l'abolizionismo: la prostituzione è lecita, ma le attività organizzate come favoreggiamento e sfruttamento sono illegali. Ci sono poi Paesi in cui è completamente legale e regolamentata e quelli in cui è considerata un crimine e come tale punisce chi ne fa uso.
I primi Paesi a fare scuola sono stati quelli del Nord Europa. L'idea era quella di punire il cliente e non la prostituta. Nel 1999 la Svezia divenne la prima nazione a introdurre delle pene per chi usufruisce di prestazioni sessuali a pagamento, senza però prevedere sanzioni per chi si prostituisce. Leggermente diverso l'atteggiamento in Slovenia dove la prostituzione di strada è illegale ma l'esercizio di case chiuse è stata depenalizzato nel 2003.
Il cosiddetto modello nordico è stato poi adottato da Norvegia, Islanda, Irlanda, Croazia, Francia (dal primo febbraio 2019), Inghilterra, Spagna e Portogallo.
In Italia la fonte legislativa principale è la legge Merlin, che nel 1958 ha vietato le case di tolleranza. La prostituzione su strada non viene proibita, mentre viene punito lo sfruttamento o il favoreggiamento.
In Germania la prostituzione è invece perfettamente legale ed esistono anche apposite app per trovare le prostitute più vicine della zona, confrontare i prezzi e scegliere la migliore lavoratrice sessuale. Nel 2002 il governo ha modificato la legge sull'esercizio della prostituzione, nel tentativo di migliorare la situazione giuridica delle prostitute.
La situazione tedesca, forse però meno pubblicizzata, è simile a quella olandese. Ad Amsterdam e dintorni, la prostituzione non è mai stata perseguibile penalmente. Nel 2000 è stato fatto un ulteriore passo avanti e sono stati legalizzate anche le case chiuse, dichiarate fuori legge nel 1911 per evitare lo sfruttamento o la coercizione delle lavoratrici.
Un altro Paese dove l'industria del sesso è florida e regolamentata è l'Ungheria. La prostituzione in questa nazione è stata legalizzata e regolamentata a partire dal 1999. Secondo la legge ungherese, le prostitute sono fondamentalmente professioniste che s'impegnano in attività sessuali in cambio di denaro; il governo permette quest'attività fintanto che si pagano le tasse e vengono mantenuti aggiornati i documenti.
In pratica la maggior parte dei Paesi europei mira a punire i clienti e non chi esercita la prostituzione, una professione che di fatto è ritenuta illecita e non regolamentata. In due parole: si "chiude un occhio", ma non si fa nulla di concreto per dare regole certe.
Così mentre Paesi come Germania, Ungheria e Olanda (ma anche la Svizzera, ad esempio) sfruttano e allo stesso tempo proteggono le prostitute, altri, come l'Italia, fanno poco o nulla e lascia che l'illegalità (evasione fiscale in primis) la faccia da padrone.
Gianluca Baldini
Nel periodo della crisi economica (2007-2014) il fatturato della prostituzione è cresciuto del 25,8%
Secondo la commissione Affari sociali della Camera, le 70.000 prostitute italiane, con i loro nove milioni di clienti, muoverebbero affari per 5 miliardi di euro. Un fatturato che, secondo la sentenza 22413 emessa dalla Cassazione nel 2016, va dichiarato e su cui pertanto vanno pagate le tasse. Quanto? Difficile dirlo. Ma, se si stimasse una tassazione tra il 15 e il 20% il gettito stimato, potrebbe superare il miliardo di euro.
Del resto è un tema vecchio come il mondo. Si può essere d'accordo o meno con chi decide di vendere il proprio corpo per soldi, ma resta un fatto che in Italia (e all'estero) l'esercizio della prostituzione rappresenti ormai una vera e propria industria. Un mondo costituito da numeri importanti che non possono essere ignorati.
Secondo una ricerca del Codacons, nel periodo della crisi economica (2007-2014) il fatturato della prostituzione è cresciuto del 25,8% mentre il numero di soggetti dediti al meretricio è aumentato del 28,5%. Negli ultimi anni si è assistito ad una progressiva riduzione del numero di prostitute che operano in strada, la cui percentuale rappresenta tuttavia ancora la fetta più consistente, pari al 60% del totale. Da contraltare si registra una forte crescita nel numero di lucciole che decidono di lavorare in casa o altre strutture non all'aperto (40%). Della totalità delle prostitute operanti nel nostro paese, il 10% è minorenne, mentre il 55% è costituito da ragazze straniere, provenienti principalmente dai paesi dell'Europa dell'Est (Romania, Bulgaria, Ucraina) e dall'Africa (Nigeria in testa).
Tutte persone che, una volta regolarizzate, garantirebbero un maggior gettito fiscale e avrebbero più vantaggi a livello sanitario, oltre a poter dedurre fiscalmente i costi della professione: preservativi, pubblicità online e il canone d'affitto di una stanza in cui operare. Senza considerare che, così facendo potrebbero accedere a contributi previdenziali e avrebbero la possibilità di depositare liberamente i loro introiti sul conto corrente per acquistare una casa dove vivere o per pagare gli studi ai figli senza rischiare pesanti controlli e conseguenti sanzioni.
Secondo il Codacons, il giro d'affari è importante: mediamente la spesa dei clienti abituali è pari a 110 euro al mese. Va tuttavia sottolineato che i costi delle prestazioni sono assai diversificati a seconda del servizio: per una accompagnatrice (escort, in inglese), ad esempio, si arriva a pagare anche 500 euro per poche ore di prestazione, poiché il servizio è più ampio e include anche la possibilità di dover far presenza a feste, eventi o cene al ristorante. Costi che scendono a 30 euro in caso di prestazioni rapide consumate in strada.
Ma il vero e proprio boom riguarda la prostituzione via web: l'offerta si è spostata cioè sempre più dalle strade agli schermi dei pc, attraverso siti privati, pagine web, portali con annunci specializzati, ecc., dove escort e prostitute pubblicizzano i propri servizi raggiungendo un bacino di utenza sempre più esteso.
C'è poi il fenomeno delle cam girl, ragazze, generalmente di età inferiore ai 40 anni, che pur non praticando la prostituzione attraverso il contatto fisico con i clienti, mostrano il proprio corpo nudo attraverso una web cam. In questo caso non si tratta di prostituzione, ma di qualcosa più simile a spogliarelliste via web: il Codacons ha contato circa 18.000 operatrici. Alcune di queste, non tutte, sbarcano il lunario ricorrendo anche al più antico lavoro del mondo. Insomma, un altro gruppo di persone che non paga le tasse come dovrebbe.
Ad ogni modo non è così semplice regolarizzare la prostituzione. Sono in molti a ritenere che, anche con una legge ad hoc come quella che da tempo vorrebbe la Lega, il livello di evasione rimarrebbe comunque elevato perché molti continuerebbero a evadere, esattamente come avviene per lavori già oggi considerati leciti. Basti vedere l'esempio di tutti i liberi professionisti, spesso coloro che dichiarano meno del dovuto. Se non altro, però, il degrado di certe strade della prostituzione verrebbe meno e questo sarebbe di certo un miglioramento.
Gianluca Baldini
«La prostituzione non è come il lavoro autonomo»
Negli anni Novanta una richiesta di riforma della legge Merlin arrivò persino dalla Democrazia cristiana, ma non è mai cambiato nulla. Così la politica italiana continua da anni a dibattere sull'opportunità o meno di riaprire le case chiuse o in ogni caso regolamentare la prostituzione. Nelle ultime settimane è tornata a farne un suo cavallo di battaglia la Lega del vicepremier Matteo Salvini. Sono stati presentati due disegni di legge a Montecitorio e a palazzo Madama. Al Senato tra i firmatati c'è anche il fondatore Umberto Bossi che già nel 2001 tentò di far approvare una riforma della legge Merlin con l'ex leader di Alleanza Nazionale Gianfranco Fini. Altri tempi. Eppure il tema della depenalizzazione della prostituzione ritorna sempre, senza però trovare uno spiraglio. Anche perché l'Italia è divisa, tra chi vorrebbe adottare il modello del nord europa, dove viene colpita la domanda, mentre c'è chi vorrebbe legalizzare l'offerta. Soprattutto c'è chi vorrebbe tassare il lavoro più antico del mondo, ma il disegno di legge leghista presenta ancora lacune sull'argomento.
Non solo. Il tema non è tra i punti del programma di governo, per questo motivo la Lega farebbe fatica a trovare i voti tra i 5 Stelle. Il disegno di legge della Lega, punta soprattutto a colpire lo sfruttamento, perché «l'espansione del fenomeno della prostituzione ha di fronte, accanto a donne che si prostituiscono per libera scelta, una grande maggioranza di giovani donne e addirittura in certi casi di bambine, per lo più provenienti da Paesi africani o comunque da Paesi meno sviluppati economicamente, quali la vicina Albania, Paesi dell'Est Europa e la Russia, legate a organizzazioni criminali che le sfruttano». Scrivono i senatori leghisti, «Si tratta di ragazze, introdotte molto spesso clandestinamente nel nostro Paese con l'illusione di un lavoro, per ritrovarsi, poi, a essere sottoposte a uno status di vera e propria schiavitù e costrette all'esercizio della prostituzione con gravi violazioni dei loro diritti e forti limitazioni della loro libertà personale. Sono quindi le condizioni di indigenza che spesso consentono il perpetrarsi di situazioni di evidente illegalità, prive di qualsiasi forma di regolamentazione».
Per questo motivo il Carroccio salviniano ritiene opportuno regolamentare l'esercizio della prostituzione per avere un controllo da parte dello Stato. In pratica la Lega vuole togliere dalle strade le prostitute e trovare un modo per organizzare case chiuse controllate dalla prefettura e che non possano danneggiare altri appartamenti privati intorno. «È inoltre necessario approssimare interventi di carattere sanitario e preventivo in funzione di tutela della salute pubblica». Si legge ancora. «Al contempo è necessario combattere alcuni aspetti preoccupanti del fenomeno, che sono legati all'ostentazione oscena lungo le nostre strade e che portano alle proteste della società civile, sempre più esasperata dal degrado ambientale ed esposta ai pericoli derivanti dallo sfruttamento della prostituzione da parte della criminalità organizzata. Conseguentemente gli interventi della legge dovrebbero essere «finalizzati soprattutto alla tutela della sicurezza pubblica, della salute pubblica e alla salvaguardia della moralità pubblica».
In pratica il progetto della Lega è vietare l'esercizio della prostituzione in luoghi pubblici e introdurre in l'esercizio in nuove case chiuse in comuni con popolazione superiore ai 10.000 abitanti. Altre disposizioni? Multe per reati commessi da cittadini extra Unione Europea, con revoca del permesso di soggiorno. Infine la parte fiscale. «Per quanto concerne la disposizione fiscale di cui all'articolo 11, la formulazione proposta, nonostante si comprenda la difficoltà di sottoporre a tassazione l'esercizio della prostituzione che, per quanto regolamentato, non è così facilmente assimilabile a una qualunque attività di lavoro autonomo, pare essere la più rispondente tanto alla salvaguardia della privacy quanto al rispetto di criteri di equità sociale che non possono essere ignorati». Insomma una soluzione sul rientro del nero ancora non esiste.
Alessandro Da Rold
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In Italia la fonte legislativa principale è la legge Merlin, che nel 1958 ha vietato le case di tolleranza. I primi Paesi a fare scuola sono stati quelli del Nord Europa. L'idea era quella di punire solo il cliente.Il boom riguarda il Web attraverso siti privati, portali con annunci specializzati, dove le escort pubblicizzano i propri servizi raggiungendo un bacino di utenza sempre più esteso. Dal 2008 al 2018, in piena crisi economica, il fatturato è cresciuto del 25%.Il Carroccio vuole togliere l'attività dalle strade e trovare un modo per organizzare case chiuse controllate dalla prefettura con controlli sanitari e pene severe. Ma le lavoratrici non sarebbero considerate autonome...Lo speciale contiene tre articoliPaese che vai, prostituzione che trovi. Nel Vecchio Continente e, più in generale, a livello globale, ci sono sostanzialmente tre approcci all'esercizio del più antico lavoro del mondo. In Italia, ad esempio c'è l'abolizionismo: la prostituzione è lecita, ma le attività organizzate come favoreggiamento e sfruttamento sono illegali. Ci sono poi Paesi in cui è completamente legale e regolamentata e quelli in cui è considerata un crimine e come tale punisce chi ne fa uso.I primi Paesi a fare scuola sono stati quelli del Nord Europa. L'idea era quella di punire il cliente e non la prostituta. Nel 1999 la Svezia divenne la prima nazione a introdurre delle pene per chi usufruisce di prestazioni sessuali a pagamento, senza però prevedere sanzioni per chi si prostituisce. Leggermente diverso l'atteggiamento in Slovenia dove la prostituzione di strada è illegale ma l'esercizio di case chiuse è stata depenalizzato nel 2003.Il cosiddetto modello nordico è stato poi adottato da Norvegia, Islanda, Irlanda, Croazia, Francia (dal primo febbraio 2019), Inghilterra, Spagna e Portogallo. In Italia la fonte legislativa principale è la legge Merlin, che nel 1958 ha vietato le case di tolleranza. La prostituzione su strada non viene proibita, mentre viene punito lo sfruttamento o il favoreggiamento.In Germania la prostituzione è invece perfettamente legale ed esistono anche apposite app per trovare le prostitute più vicine della zona, confrontare i prezzi e scegliere la migliore lavoratrice sessuale. Nel 2002 il governo ha modificato la legge sull'esercizio della prostituzione, nel tentativo di migliorare la situazione giuridica delle prostitute.La situazione tedesca, forse però meno pubblicizzata, è simile a quella olandese. Ad Amsterdam e dintorni, la prostituzione non è mai stata perseguibile penalmente. Nel 2000 è stato fatto un ulteriore passo avanti e sono stati legalizzate anche le case chiuse, dichiarate fuori legge nel 1911 per evitare lo sfruttamento o la coercizione delle lavoratrici. Un altro Paese dove l'industria del sesso è florida e regolamentata è l'Ungheria. La prostituzione in questa nazione è stata legalizzata e regolamentata a partire dal 1999. Secondo la legge ungherese, le prostitute sono fondamentalmente professioniste che s'impegnano in attività sessuali in cambio di denaro; il governo permette quest'attività fintanto che si pagano le tasse e vengono mantenuti aggiornati i documenti. In pratica la maggior parte dei Paesi europei mira a punire i clienti e non chi esercita la prostituzione, una professione che di fatto è ritenuta illecita e non regolamentata. In due parole: si "chiude un occhio", ma non si fa nulla di concreto per dare regole certe. Così mentre Paesi come Germania, Ungheria e Olanda (ma anche la Svizzera, ad esempio) sfruttano e allo stesso tempo proteggono le prostitute, altri, come l'Italia, fanno poco o nulla e lascia che l'illegalità (evasione fiscale in primis) la faccia da padrone. Gianluca Baldini<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/tassare-la-prostituzione-gettito-da-piu-di-un-miliardo-di-euro-ma-la-proposta-della-lega-resta-vaga-2628777191.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="nel-periodo-della-crisi-economica-2007-2014-il-fatturato-della-prostituzione-e-cresciuto-del-258" data-post-id="2628777191" data-published-at="1765615546" data-use-pagination="False"> Nel periodo della crisi economica (2007-2014) il fatturato della prostituzione è cresciuto del 25,8% Secondo la commissione Affari sociali della Camera, le 70.000 prostitute italiane, con i loro nove milioni di clienti, muoverebbero affari per 5 miliardi di euro. Un fatturato che, secondo la sentenza 22413 emessa dalla Cassazione nel 2016, va dichiarato e su cui pertanto vanno pagate le tasse. Quanto? Difficile dirlo. Ma, se si stimasse una tassazione tra il 15 e il 20% il gettito stimato, potrebbe superare il miliardo di euro.Del resto è un tema vecchio come il mondo. Si può essere d'accordo o meno con chi decide di vendere il proprio corpo per soldi, ma resta un fatto che in Italia (e all'estero) l'esercizio della prostituzione rappresenti ormai una vera e propria industria. Un mondo costituito da numeri importanti che non possono essere ignorati. Secondo una ricerca del Codacons, nel periodo della crisi economica (2007-2014) il fatturato della prostituzione è cresciuto del 25,8% mentre il numero di soggetti dediti al meretricio è aumentato del 28,5%. Negli ultimi anni si è assistito ad una progressiva riduzione del numero di prostitute che operano in strada, la cui percentuale rappresenta tuttavia ancora la fetta più consistente, pari al 60% del totale. Da contraltare si registra una forte crescita nel numero di lucciole che decidono di lavorare in casa o altre strutture non all'aperto (40%). Della totalità delle prostitute operanti nel nostro paese, il 10% è minorenne, mentre il 55% è costituito da ragazze straniere, provenienti principalmente dai paesi dell'Europa dell'Est (Romania, Bulgaria, Ucraina) e dall'Africa (Nigeria in testa).Tutte persone che, una volta regolarizzate, garantirebbero un maggior gettito fiscale e avrebbero più vantaggi a livello sanitario, oltre a poter dedurre fiscalmente i costi della professione: preservativi, pubblicità online e il canone d'affitto di una stanza in cui operare. Senza considerare che, così facendo potrebbero accedere a contributi previdenziali e avrebbero la possibilità di depositare liberamente i loro introiti sul conto corrente per acquistare una casa dove vivere o per pagare gli studi ai figli senza rischiare pesanti controlli e conseguenti sanzioni.Secondo il Codacons, il giro d'affari è importante: mediamente la spesa dei clienti abituali è pari a 110 euro al mese. Va tuttavia sottolineato che i costi delle prestazioni sono assai diversificati a seconda del servizio: per una accompagnatrice (escort, in inglese), ad esempio, si arriva a pagare anche 500 euro per poche ore di prestazione, poiché il servizio è più ampio e include anche la possibilità di dover far presenza a feste, eventi o cene al ristorante. Costi che scendono a 30 euro in caso di prestazioni rapide consumate in strada. Ma il vero e proprio boom riguarda la prostituzione via web: l'offerta si è spostata cioè sempre più dalle strade agli schermi dei pc, attraverso siti privati, pagine web, portali con annunci specializzati, ecc., dove escort e prostitute pubblicizzano i propri servizi raggiungendo un bacino di utenza sempre più esteso.C'è poi il fenomeno delle cam girl, ragazze, generalmente di età inferiore ai 40 anni, che pur non praticando la prostituzione attraverso il contatto fisico con i clienti, mostrano il proprio corpo nudo attraverso una web cam. In questo caso non si tratta di prostituzione, ma di qualcosa più simile a spogliarelliste via web: il Codacons ha contato circa 18.000 operatrici. Alcune di queste, non tutte, sbarcano il lunario ricorrendo anche al più antico lavoro del mondo. Insomma, un altro gruppo di persone che non paga le tasse come dovrebbe. Ad ogni modo non è così semplice regolarizzare la prostituzione. Sono in molti a ritenere che, anche con una legge ad hoc come quella che da tempo vorrebbe la Lega, il livello di evasione rimarrebbe comunque elevato perché molti continuerebbero a evadere, esattamente come avviene per lavori già oggi considerati leciti. Basti vedere l'esempio di tutti i liberi professionisti, spesso coloro che dichiarano meno del dovuto. Se non altro, però, il degrado di certe strade della prostituzione verrebbe meno e questo sarebbe di certo un miglioramento. Gianluca Baldini <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/tassare-la-prostituzione-gettito-da-piu-di-un-miliardo-di-euro-ma-la-proposta-della-lega-resta-vaga-2628777191.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="la-prostituzione-non-e-come-il-lavoro-autonomo" data-post-id="2628777191" data-published-at="1765615546" data-use-pagination="False"> «La prostituzione non è come il lavoro autonomo» Negli anni Novanta una richiesta di riforma della legge Merlin arrivò persino dalla Democrazia cristiana, ma non è mai cambiato nulla. Così la politica italiana continua da anni a dibattere sull'opportunità o meno di riaprire le case chiuse o in ogni caso regolamentare la prostituzione. Nelle ultime settimane è tornata a farne un suo cavallo di battaglia la Lega del vicepremier Matteo Salvini. Sono stati presentati due disegni di legge a Montecitorio e a palazzo Madama. Al Senato tra i firmatati c'è anche il fondatore Umberto Bossi che già nel 2001 tentò di far approvare una riforma della legge Merlin con l'ex leader di Alleanza Nazionale Gianfranco Fini. Altri tempi. Eppure il tema della depenalizzazione della prostituzione ritorna sempre, senza però trovare uno spiraglio. Anche perché l'Italia è divisa, tra chi vorrebbe adottare il modello del nord europa, dove viene colpita la domanda, mentre c'è chi vorrebbe legalizzare l'offerta. Soprattutto c'è chi vorrebbe tassare il lavoro più antico del mondo, ma il disegno di legge leghista presenta ancora lacune sull'argomento. Non solo. Il tema non è tra i punti del programma di governo, per questo motivo la Lega farebbe fatica a trovare i voti tra i 5 Stelle. Il disegno di legge della Lega, punta soprattutto a colpire lo sfruttamento, perché «l'espansione del fenomeno della prostituzione ha di fronte, accanto a donne che si prostituiscono per libera scelta, una grande maggioranza di giovani donne e addirittura in certi casi di bambine, per lo più provenienti da Paesi africani o comunque da Paesi meno sviluppati economicamente, quali la vicina Albania, Paesi dell'Est Europa e la Russia, legate a organizzazioni criminali che le sfruttano». Scrivono i senatori leghisti, «Si tratta di ragazze, introdotte molto spesso clandestinamente nel nostro Paese con l'illusione di un lavoro, per ritrovarsi, poi, a essere sottoposte a uno status di vera e propria schiavitù e costrette all'esercizio della prostituzione con gravi violazioni dei loro diritti e forti limitazioni della loro libertà personale. Sono quindi le condizioni di indigenza che spesso consentono il perpetrarsi di situazioni di evidente illegalità, prive di qualsiasi forma di regolamentazione». Per questo motivo il Carroccio salviniano ritiene opportuno regolamentare l'esercizio della prostituzione per avere un controllo da parte dello Stato. In pratica la Lega vuole togliere dalle strade le prostitute e trovare un modo per organizzare case chiuse controllate dalla prefettura e che non possano danneggiare altri appartamenti privati intorno. «È inoltre necessario approssimare interventi di carattere sanitario e preventivo in funzione di tutela della salute pubblica». Si legge ancora. «Al contempo è necessario combattere alcuni aspetti preoccupanti del fenomeno, che sono legati all'ostentazione oscena lungo le nostre strade e che portano alle proteste della società civile, sempre più esasperata dal degrado ambientale ed esposta ai pericoli derivanti dallo sfruttamento della prostituzione da parte della criminalità organizzata. Conseguentemente gli interventi della legge dovrebbero essere «finalizzati soprattutto alla tutela della sicurezza pubblica, della salute pubblica e alla salvaguardia della moralità pubblica». In pratica il progetto della Lega è vietare l'esercizio della prostituzione in luoghi pubblici e introdurre in l'esercizio in nuove case chiuse in comuni con popolazione superiore ai 10.000 abitanti. Altre disposizioni? Multe per reati commessi da cittadini extra Unione Europea, con revoca del permesso di soggiorno. Infine la parte fiscale. «Per quanto concerne la disposizione fiscale di cui all'articolo 11, la formulazione proposta, nonostante si comprenda la difficoltà di sottoporre a tassazione l'esercizio della prostituzione che, per quanto regolamentato, non è così facilmente assimilabile a una qualunque attività di lavoro autonomo, pare essere la più rispondente tanto alla salvaguardia della privacy quanto al rispetto di criteri di equità sociale che non possono essere ignorati». Insomma una soluzione sul rientro del nero ancora non esiste. Alessandro Da Rold
Il grande direttore d'orchestra rilancia l'appello alla politica affinché trovi una via diplomatica per convincere la Francia a far tornare nella sua città natale il compositore fiorentino, che ora riposa al cimitero di Père-Lachaise. Il sogno? Dirigere il Requiem del genio toscano nella Basilica di Santa Croce, dove è già pronto il suo cenotafio.
Maurizio Landini (Ansa)
Nessun sindacalista lo ammetterà mai, ma c’è un dato che più di ogni altro fa da spartiacque tra uno sciopero riuscito e un flop. Una percentuale minima al di sotto della quale è davvero difficile cantare vittoria: l’adesione almeno degli iscritti. Insomma, se sostieni, come fa ripetutamente Maurizio Landini di essere il portavoce di un sedicente malcontento montante che sarebbe addirittura maggioranza nel Paese e ti intesti una battaglia in solitaria lasciando alle spalle Cisl e Uil e poi non ti seguono neanche i tuoi, c’è un problema.
E il problema, numeri alla mano, esiste. Ed è pure grosso. Basta vedere le percentuali dei lavoratori che hanno deciso di spalleggiare l’ennesima rivolta politica e tutta improntata ad attaccare il governo Meloni del leader della Cgil. Innanzitutto nel pubblico impiego. Tra gli statali (scuola, sanità, dipendenti di ministeri, enti locali ecc.) ci sono circa 2,7 milioni di dipendenti contrattualizzati. E tra questi il 12% ha in tasca la tessera della Cgil. Bene, a fine giornata i dati ufficiali parlavano di circa il 4,4% complessivo di adesione all’ennesimo logoro show di Landini. Messa in soldoni: ormai anche la Cgil si è stancata del suo segretario che combatte una battaglia personale e quasi sempre sulle spalle dei lavoratori.
Che in corso d’Italia monti il malcontento, La Verità lo evidenzia da un po’ di tempo, ma il dato degli impiegati dello Stato è particolarmente significativo. Perché è intorno agli statali che l’ex leader della Fiom ha combattuto e poi perso la sua battaglia più significativa. Per mesi e mesi, infatti, spalleggiato dalla Uil e dall’ex alleato Pierpaolo Bombardieri, Landini ha bloccato il rinnovo dei contratti della Pa.
Circa 20 miliardi, già stanziati dal governo, fermi. E aumenti tra i 150 e i 170 euro lordi al mese, con istituti di favore come la settimana cortissima e il ticket anche in smart working, preclusi ai lavoratori per l’opposizione a prescindere del compagno Maurizio. Certo, lui l’ha spiegata come una lotta di giustizia sociale che aveva l’obiettivo di recuperare tutta l’inflazione del periodo (2022-2024). Ma si trattava di un bluff. Perché la Cgil con governi di un colore diverso ha rinnovato contratti decisamente meno convenienti e che comunque non coprivano il carovita.
Insomma, quella sugli accordi della pubblica amministrazione è diventata l’ultima frontiera dell’opposizione a prescindere. E su quella battaglia Landini si è schiantato. Prima nel merito, perché alla fine la Uil l’ha mollato e i contratti sono stati firmati. E poi sul campo: perché se almeno la metà degli iscritti diserta sciopero (e siamo benevoli), vuol dire che i tuoi stanno bocciando una linea che porta nelle piazza, sulle barricate e sui giornali, ma lascia i lavoratori con le tasche sempre più vuote.
«Il dato», spiega alla Verità il ministro della Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo, «certifica l’ennesimo flop degli scioperi generali, un fallimento che finisce tutto sulle spalle della Cgil che nel pubblico impiego può contare su circa 300.000 iscritti. Pur ammettendo che tutti gli aderenti siano tesserati di Landini e che le proiezioni del pomeriggio vengano confermate, la bocciatura interna per la linea del segretario sarebbe evidente. E, del resto, questo disagio era palese anche sul tavolo delle trattative per il rinnovo del contratto. È arrivato il momento che anche all’interno del sindacato si apra una riflessione sincera».
E se tra gli statali la sconfitta è stata cocente, non meglio è andata nel privato. Dove, però, i dati sono più frammentati. Secondo le rilevazioni degli altri sindacati, ci sono alcune situazioni clamorose e altri meno, ma sempre di batoste si tratta.
Appartengono al primo caso le adesioni ferme a quota 1% nei cantieri delle grandi opere: dal Brennero fino al Terzo valico e alla Tav. Si risale al 5% negli stabilimenti di produzione e lavorazione di cemento, legno e laterizi, ma in generale la partecipazione nell’edilizia è stata bassissima.
Come nell’agroalimentare, dove, se si fa eccezioni per la rossa Emilia-Romagna (ai reparti produttivi della Granarolo si è arrivati a sfiorare il 50%), i risultati nelle piccole e medie imprese sono quasi tutti sotto il 5%. La media tra le aziende elettriche è del 5%, nelle Poste siamo fermi al 2,5% e nelle banche si sfiora l’1%. Leggermente meglio nel terziario e nel commercio (dove viene toccato il 10%), così come si contano sulle punte delle dita i siti delle realtà industriali in doppia cifra (Ex Ilva a Novi, Marcegaglia di Dusino San Michele in Piemonte e alcuni siti di Leonardo).
Insomma, al balletto delle cifre nelle manifestazioni siamo abituati e che ci siano delle enormi differenze numeriche tra promotori dello sciopero e controparte sta nelle regole del gioco, eppure si fa davvero fatica a capire da dove il sindacato rosso abbia tirato fuori il dato del 68% delle adesioni. Se 7 lavoratori su 10 si fermano, l’Italia si blocca. Non solo i trasporti, ma tutto il sistema finisce in una sorta di pericoloso stand by collettivo. Nulla a che vedere con quello che è successo sul territorio che ieri ha subito qualche prevedibile disagio da effetto-annuncio, ma poco più. Ma, del resto, nel Paese immaginario che sta raccontando Landini può succedere questo e altro.
Landini straparla di regime e agita lo sciopero infinito
«Fanno bene ad avere qualche timore, avere qualche paura, perché non ci fermano. Non so come dirlo, non ci fermano e, siccome siamo convinti di rappresentare la maggioranza del Paese, andremo avanti fino a quando questa battaglia l’abbiamo vinta». È stato questo il grido di battaglia, ieri, del segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, a Firenze dove ha partecipato al corteo nel giorno dello sciopero generale contro la legge di bilancio, salari bassi, precarietà e caro-vita.
Una protesta «per cambiare la manovra 2026, considerata del tutto inadeguata a risolvere i problemi del Paese, malgrado le modifiche appena approvate, per sostenere investimenti in sanità, istruzione, servizi pubblici e politiche industriali, per fermare l’innalzamento dell’età pensionabile, per contrastare la precarietà». Insomma, i temi sul tavolo di ogni governo degli ultimi 30 anni, basti pensare alla sanità da sempre gestita dalla sinistra da Rosy Bondi in poi, ma che, per Landini e sinistra, sembrano esplosi con l’arrivo del governo Meloni. E, ignorando totalmente i dati dell’occupazione che cresce in maniera costante, arriva a sostenere che «La precarietà non è un problema dei giovani: se vogliamo combattere e contrastare la precarietà, sono quelli che non sono precari che, innanzitutto, si devono battere e scioperare per cancellare la precarietà. Questa è la solidarietà, questo è il sindacato».
«Quando ho lavorato», ha ricordato Landini, «io la precarietà non l’ho conosciuta. E vorrei che fosse chiaro, non è merito mio, eh, io non avevo fatto niente, ero andato semplicemente a lavorare. Ma mi sono trovato dei diritti, perché quelli prima di me, che quei diritti lì non ce ne avevano, si erano battuti per ottenerli. Non per loro, ma per tutti. Tre mesi dopo che ero assunto come apprendista, ho potuto operare e partecipare a una manifestazione senza essere licenziato. Non m’hanno fatto prove del carrello», ha detto riferendosi ai tre lavoratori della catena Pam allontanati dopo un controllo a sorpresa che ha simulato un furto. «Dobbiamo far parlare il Paese reale, perché dobbiamo raccontare quel che succede: qui siamo, ormai, a un regime, ci raccontano un Paese che non c’è, ci raccontano una quantità di balle, che tutto va bene, tutto sta funzionando. Non è così».
Il leader della Cgil ha, poi, sottolineato che oggi c’è «un obiettivo esplicito della politica e del governo: mettere in discussione l’esistenza stessa del sindacato confederale come soggetto che ha diritto di negoziare alla pari col governo». Al segretario che un anno fa voleva «rivoltare il Paese come un guanto», lo sciopero politico di ieri gli è comunque costato la mancata unità sindacale con Cisl, Uil e Ugl ormai fuori sintonia. Landini ha chiarito che «il diritto di sciopero è un diritto costituzionale e non accetteremo alcun tentativo di metterlo in discussione o di limitarlo. Oggi siamo in piazza non contro altri lavoratori o altri sindacati, ma per estendere questi diritti a tutti. Quando un governo prova a delegittimare chi protesta o a ridurre gli spazi di partecipazione democratica, significa che non vuole ascoltare il disagio reale che attraversa il Paese. Lo sciopero è per cambiare politiche sbagliate. E la grande partecipazione che vediamo oggi dimostra che c’è un Paese che chiede un cambio di rotta».
«Il Paese non è più disponibile a un’altra legge di bilancio di austerità e di tagli», ha affermato il leader di Avs, Nicola Fratoianni, presente alla manifestazione con Angelo Bonelli. Sul palco in piazza del Carmine ha trovato posto anche la protesta dei giornalisti de La Stampa e Repubblica, in sciopero dopo l’annuncio di Exor della cessione del gruppo editoriale Gedi al magnate greco Theodore Kyriakou. Mai così in prima fila nella solidarietà ad altre crisi di giornali meno «amici», Landini ha spiegato il perché: «Pensiamo che quello che sta succedendo sia un tentativo esplicito di mettere in discussione la libertà di stampa e la possibilità concreta di proseguire e di fare serie politiche industriali. Mi sembra evidente quello che sta succedendo: abbiamo imprese e imprenditori che, dopo aver fatto i profitti, chiudono le imprese, se ne vogliono andare dal nostro Paese per usare i soldi e quella ricchezza che è stata prodotta da chi lavora, da altre parti. Ecco, quelli che fanno i patrioti dove sono? Stanno difendendo chi? Difendono quelli che pagano le tasse che tengono in piedi questo Paese o difendono quelli che chiudono le aziende che investono da un’altra parte?». C’è voluta la vendita di Repubblica perché Landini attaccasse Elkann visto che dalla nascita di Stellantis, nel gennaio 2021, l’azienda ha licenziato solo in Italia attraverso esodi incentivati 7.500 lavoratori. Del restom lo ha detto chiaramente Carlo Calenda di Azione: «Da quando la Repubblica è stata comprata da Elkann, Fiom e Cgil hanno smesso di dare battaglia che prima facevano con Sergio Marchionne quando la produzione aumentava, adesso che è crollata non li senti più dire nulla».
Intanto ieri Landini non ha nascosto la sua soddisfazione per la risposta allo sciopero, «le piazze si sono riempite e le fabbriche svuotate», rinfocolando la polemica a distanza con il ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, che aveva definito «irresponsabile» bloccare il Paese. «Noi stiamo facendo il nostro mestiere, quello che non fa Salvini», la replica del segretario della Cgil. Il vicepremier leghista ieri ha visitato la centrale operativa delle Ferrovie dello Stato per verificare le ricadute dello sciopero, ed ha definito «incoraggianti» i dati sull’adesione, «con disagi limitati» dovuti soprattutto all’effetto «annuncio».
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