Quando ho chiesto ai colleghi della «Verità» di predisporre un sondaggio sui casi Giambruno e Vannacci, immaginavo già le risposte che avrebbero fornito gli interpellati. A naso ritenevo che la maggioranza degli italiani si sarebbe schierata con il conduttore di Rete 4 e, magari in misura minore, con il generale. Il giornalista non poteva essere imputato d’altro che di essere il compagno di Giorgia Meloni, non certo di aver detto ciò che, a proposito di stupri, in molti pensano, cioè che la prima difesa contro chi intende abusare di una donna è l’autotutela. E il generale non poteva allo stesso modo essere accusato di omofobia e di razzismo, o di aver violato la Costituzione, ma semmai di aver parlato, anzi scritto, con indosso la divisa. Insomma, i casi che nei giorni scorsi hanno tenuto banco, di fronte al giudizio dell’opinione pubblica si sgonfiano come un soufflé, dando la netta impressione di essere stati montati ad arte e ingenerando negli italiani la convinzione che si voglia limitare la libertà di espressione.
Il sondaggio, condotto da una società serissima come Tecnè, offre diversi spunti di riflessione e il primo riguarda il mondo dei media, che nei giorni scorsi ha censurato sia Giambruno sia Vannacci, accusando il primo di aver voluto colpevolizzare le vittime di violenza sessuale e il secondo di essere una specie di caudillo. Nonostante la distorsione dei fatti, che ha forzato il senso delle parole del conduttore e adulterato quelle del generale, gli italiani non si sono fatti né infinocchiare né influenzare, riuscendo a farsi un’idea precisa di entrambi i casi. Idea che non collima per niente con quanto scritto dalle varie Repubbliche dei compagni. Infatti, a proposito del compagno della Meloni, colpevole di aver detto, durante una puntata del talk a lui affidato, che ubriacarsi fino a stordirsi e perdere il controllo non aiuta a difendersi quando incontri i lupi, il 65% degli intervistati si è dichiarato completamente d’accordo con Giambruno e il 30% si è detto abbastanza d’accordo. In pratica, solo una minoranza marginale non ha condiviso le parole del giornalista. E il 61% pare piuttosto ritenere che i giovani spesso sottovalutino i pericoli a cui vanno incontro. Il 58% non ha inteso le parole di Giambruno come un tentativo di colpevolizzare le vittime di stupro. Solo il 14% degli intervistati pare invece certo che la frase del compagno di Giorgia Meloni in qualche modo attenuasse la responsabilità dei violentatori. Evidentemente, di questo 14% fanno parte tutti quei giornalisti che dalle pagine di Repubblica & C. hanno attaccato Giambruno, mentre il resto degli italiani, cioè la stragrande maggioranza, sta dall’altra parte, ovvero da quella del buon senso.
Stesso ragionamento si può fare a proposito del libro del generale Vannacci, che soltanto il 7% ritiene che violi i principi della Costituzione, mentre il 33 che le tesi potrebbero essere in contrasto con la nostra Carta, ma il 35 è certo che non lo siano e un altro 12% dice che probabilmente non lo sono. Per il 40% degli intervistati, le parole di Roberto Vannacci non sono un incitamento all’odio e solo un 15% la pensa all’incontrario.
In definitiva, il 52% ritiene che i due casi rappresentino un tentativo di imbavagliare la libertà di espressione, mentre il 48 lo esclude. In altre parole, se da un lato non sembrano esserci reazioni nette contro Giambruno e l’ex comandante della Folgore, più della metà degli italiani crede che il diritto di parola e di manifestare le proprie opinioni sia a rischio. Altro che deriva del pensiero reazionario, come intendono far credere i media mainstream, ogni giorno non soltanto c’è un restringimento delle libertà costituzionali che danno il diritto a ciascun cittadino (giornalista o militare che sia) di dire la sua, ma c’è uno scollamento vistoso fra la realtà rappresentata dai giornaloni e quella che emerge quando si dà la parola agli italiani. Sarà per questo che le vendite di alcune testate sono in picchiata?


