Lo ha detto l'eurodeputato della Lega a margine dell'evento Conferenza Pro Vita-Vannacci contro 'epidemia' di transizioni sessuali nei minori in Europa riguardo all'ideologia di genere che si prefigge lo scopo di distruggere la società occidentale.
Marco Pannella alla manifestazione «No Vatican No Taliban» nel 2007 (Getty Images)
Marco Pannella, uno che il quadro attuale porta a rimpiangere, diceva che «da vecchi i compagni comunisti si scoprivano radicali». Forse Augusto Del Noce ne avrebbe sorriso; però il presente sembra piuttosto indicare che gli eredi culturali della sinistra assomigliano, ad ogni età, soprattutto a caricature di preti immanenti. Intesi come distributori di regole che rincorrono gli altrui vizi: quei soggetti insomma contro cui lo stesso leader radicale inneggiava l’immortale «No taliban no Vatican».
È la sinistra di oggi, intesa non come declinazioni partitiche ma come approccio pre-politico, a meritarsi quegli strali: perché è quel mondo che sta tentando di scaricare, in Italia e in Europa, una messe regolatoria in ambito socio-educativo-affettivo da suonare solo apparentemente paradossale negli eredi del ’68. Christopher Lasch, infatti, già nel 1979 aveva colto sottotraccia una tendenza che si sarebbe rivelata potentissima in certo progressismo: «La socializzazione della produzione», spiegava nel formidabile La cultura del narcisismo, «si rivelò il preludio della socializzazione della riproduzione stessa - la delega delle funzioni educative a genitori sostitutivi responsabili non davanti alla famiglia ma davanti allo Stato, all’industria privata o al proprio codice di etica professionale. Nell’avvicinare le masse alla cultura, l’industria pubblicitaria, i mass media, il servizio sanitario, l’assistenza sociale e le altre agenzie dell’istruzione di massa assunsero gran parte delle funzioni che appartenevano alla famiglia e assoggettarono le rimanenti alla direzione della scienza e della tecnologia moderne. È in questa prospettiva che va vista l’appropriazione da parte della scuola di molti dei compiti educativi che in passato spettavano alla famiglia, compreso l’addestramento manuale, le faccende domestiche, le norme di buona educazione e l’educazione sessuale».
Siamo all’oggi, con la proliferazione di norme sull’educazione affettiva, sulle varie forme di unione, contro i discorsi d’odio, fino al contestato ddl «bipartisan» sul «consenso», oggetto di una discussione che i fautori delle famose prerogative del Parlamento liquidano come cinico temporeggiamento sulla pelle delle donne. C’è molto di una religione senza metafisica in questa frenesia contemporanea del voler proteggere gli individui da sé stessi, nel codificare comportamenti, affetti, reati, consumi, in ambiti talmente delicati da rendere spesso comici tali tentativi, non producessero effetti molto meno divertenti sul piano del diritto e del buon senso. A ben vedere, non è una questione che riguardi solo i partiti della sinistra: proprio per questo appare fondamentale definire, lungo queste coordinate, un’offerta politica che sappia fare i conti con queste istanze e almeno identifichi alcune contraddizioni enormi. Come mai il progressismo, che nasce in rottura di convenzioni e tradizioni, si specializza in normativizzazione esasperata? Può una politica di alveo conservatore consegnare alla magistratura, in piena campagna referendaria contro le cosiddette «toghe politicizzate», uno strumento normativo prima e processuale poi che inverta l’onere della prova in modo da trasformare più o meno chiunque in potenziale indagato? Più in generale, può sposare una concezione della libertà (di espressione, di educazione dei figli, dei rapporti tra persone, attorno alla morte) come gentile concessione dello Stato?
Un altro grande pensatore, Byung Chul-Han, di recente ha scritto che «la crisi della libertà nella società contemporanea consiste nel doversi confrontare con una tecnica di potere che non nega o reprime la libertà, ma la sfrutta. La libera scelta viene annullata in favore di una libera selezione tra le offerte». È questo «menu» cui tende molta proliferazione normativa, forma sottile e totale di potere. La stessa che fa risaltare per contrasto l’idea di libertà che arriva dalla Chiesa: nella recente «Una caro» la Congregazione per la dottrina della fede esprime una concezione del sesso (tra coniugi) molto più laica e umana di tanta sinistra. In attesa un Pannella che lo faccia notare.
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Riduci
(IStock)
Riparte l’allarme sulle difficoltà di migliorare la propria condizione. Eppure il dato rivela una tendenza positiva: il superamento dell’ossessione della carriera, dei soldi e della superiorità, specie tra le nuove generazioni.
Ahi, ahi, ahi, c’è un nuovo rischio in Italia. Gli editorialisti più rinomati spiegano che per ragioni complesse, a noi retrogradi, l’ascensore sociale, mito sociologico di passato successo, ormai si è bloccato e la gente per pregiudizi conservatori non crede più che il futuro possa essere meglio. Le persone faticano a migliorare la propria posizione economica e sociale. Anche i più coraggiosi che osano fare figli, comunque credono che ai figli andrà peggio che a loro. L’attenzione e preoccupazione per l’ascensore sociale è interessante perché ripropone una delle immagini più fragili e usurate della società tardomoderna, nella quale certamente ci troviamo, ma dalla quale - altrettanto certamente - moltissima gente vorrebbe anche uscire, e non soltanto i giovanissimi.
Chi l’ha detto infatti che il successo economico e quello simbolico, ma soprattutto il sentirsi bene, venga da quel trovarsi sopra la testa degli altri che ci viene assicurato nell’ormai oltre un secolo di società industriale e di consumo, soprattutto occidentale con i suoi luccicanti ascensori? Perché il cittadino della tarda modernità deve rimanere a tutti costi uno scalatore sociale, come è diventato dopo essersi ripreso dai due massacri delle guerre mondiali?
È vero che nelle aziende la carriera si accompagna al numero del piano dell’ufficio, ma forse è vero che l’essere umano non può restare inchiodato lì. La dea Azienda non fa più miracoli e l’arma Denaro se vuole combinare qualcosa di significativo per gli esseri umani dovrà studiare un po’ di antropologia, come dimostra la condizione umanamente penosa della maggior parte dei miliardari.
Il fatto è che star bene dipende anche dal tuo fare stare bene gli altri, come ogni visione religiosa richiede, e quella cristiana più di tutte le altre. È naturale che la torre, il simbolo più eclatante della società industriale dei consumi, abbia gli ascensori in panne. Non puoi diventare felice rendendo gli altri dipendenti dai tuoi prodotti. Il tuo è un potere malsano, come quello dei mercanti di droga. Ma sopra tutto, a un livello un po’ più profondo, è solo alla Pentecoste, dopo la discesa dello Spirito Santo fra gli uomini, che si comprendono le lingue degli altri in una dimensione di pace e collaborazione. Se non c’è lo Spirito, tutte le torri di Babele con la loro verticalità non hanno comunque mai guadagnato l’indiscutibile primato cui aspiravano. È lo stesso Signore a distruggerle. Per essere felici sulla terra è indispensabile rimanerci sopra, senza fantasie di grandezze artificiali che sono solo salti da circo, abitarla senza ansiogene manie di grandezza e superiorità, ancora oggi molto spinte dalla cultura dominante, ossessivamente materialistica ma poco realista. E da questo punto di vista il rifiuto dell’ascensore sociale di molti giovani oggi va sicuramente capito: le forme, i modi e i contenuti dell’affermazione umana nella società industriale dei consumi sono poverissime, non solo dal punto di vista economico e formale, ma contenutistico, culturale, fisico. E purtroppo sono gli stessi giovani ad ammalarsi per le molteplici droghe artificiali in circolazione, e a morirne.
Come dimostra anche l’esperienza del lavoro psicologico con le persone, l’ossessione vanesia del venire promossi nella vita dai formalismi meccanici dell’attuale ascensore sociale non è più produttiva. Mentre invece lo è l’entrare in contatto e aprirsi ai fenomeni ed esperienze dove «entra in gioco l’energia libera, ossia quella frazione di energia che può essere trasformata in lavoro utile e che quindi alimenta tanto i processi vitali quanto i fenomeni naturali e le nostre tecnologie». (Roberto Battiston Energia Una storia di creazione e distruzione. Raffaello Cortina Editore).
È una fase difficile ed emozionante, in cui si ha a che fare con le parti di energia non ancora «disperse in forme di calore uniforme» per farne forze costruttive: di società, personalità, città, boschi, culture. Sono in molti, ora, che si trovano ad averci a che fare: fisici, psicoanalisti, neuroscienziati, filosofi, insegnanti. Politici per ora pochini. L’importante è partire da energie libere e non da scenari costosi, ingombranti e inutilizzabili.
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Riduci
(Ansa)
Un rapporto francese: c’è una chiara strategia dietro le azioni criminali dei più piccoli.
La sinistra mondiale in generale, e purtroppo quella italiana in particolare, hanno sempre considerato i rom una comunità sottoposta a discriminazione su base etico-razziale. Laurent El Ghozi, cofondatore dell’associazione Romeuropa, afferma che sono «il gruppo più discriminato di tutti, da tutti e in tutti i tempi benché siano inoffensivi». Il termine «inoffensivo» è purtroppo una menzogna, come ben sanno i cittadini esasperati che, nel disprezzo generale, cercano di ottenere uno straccio di dignità nei loro quartieri devastati dalla presenza dei campi nomadi.
La cultura rom per molti secoli si è inserita all’interno di quella europea in maniera problematica, ma comunque simbiotica. La comunità rom si manteneva mediante mendicità e furto, certo, ma anche mediante spettacolo: gli acrobati e i giocolieri, domatori di orsi o più modestamente di cani ammaestrati, gli unici spettacoli che potevano arrivare nei villaggi sperduti, nei quartieri poveri. I rom erano i calderai, i signori del ferro e del fuoco, e quando arrivavano in un villaggio dove non c’era un fabbro, la loro presenza era fondamentale. I rom portavano la musica, con i loro violini. Portavano le informazioni: era scoppiata una guerra, era nato un principino. Erano i signori dei cavalli. Poi i cavalli sono scomparsi, eliminati dal motore a scoppio. La televisione ha reso inutili e obsoleti gli spettacoli dei giocolieri. La diffusione delle tossicodipendenze è stato il colpo finale. La civiltà rom in questo momento è non solo parassitaria, prende senza dare, ma con spaventose forme di criminalità. In Italia, un’antimafia molto politicizzata non si è mai occupata dei campi rom. In Francia invece l’antimafia si è mossa. La Francia ci informa che i rom costituiscono delle gang mafiose potenti e organizzate, classificate al rango di mafia dal 2012 dal Service d’information, de renseignement et d’analyse stratégique sur la criminalité organisée, servizio di informazione, studio e analisi strategica sulla criminalità organizzata (Sirasco), l’unità di lotta antimafia della polizia francese. Non si tratta di qualche ladro di polli, ma di una criminalità potentemente organizzata, che sfrutta bambini tenuti in schiavitù e, grazie al fatto di avere come manodopera dei minorenni, diventa praticamente inattaccabile. Bambini di 10 anni sono in grado di sottrarre soldi ai parcometri: non è tecnicamente possibile se non si è stati molto ben addestrati. Anche la capacità di molti ragazzini di sottrarre soldi alle biglietterie automatiche con una forchetta a due rebbi è frutto di un addestramento. Il Sirasco informa anche che gli allievi meno dotati per il furto e quelli disabili sono invece incaricati della mendicità organizzata. Bande rom si muovono sulle autostrade, dove sottraggono merce ai tir mentre bande di ragazzini sono addestrate a guidare e a rubare auto. L’episodio avvenuto in Italia, una signora di 71 anni uccisa da quattro ragazzini, rientra in questo sistema. I quattro ragazzini non stavano facendo una bravata: stavano eseguendo ordini precisi, senza i quali non avrebbero avuto diritto alla cena. I bambini rom vivono in condizioni di disciplina feroce e atroce. Loro non fanno ragazzate. Eppure di nuovo i servizi sociali non interverranno. Di nuovo si diranno idiozie romantiche su una sottocultura mafiosa dove le creature umane sono tenute in schiavitù totale, possono essere vendute e comprate. Un buon ladro vale quanto una piccola prostituta: un valore.
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Riduci
Peter Thiel (Getty Images)
Il genio del tech americano, fondatore di PayPal e Palantir, è anche un fine intellettuale autore di un saggio sulla modernità: ci sono molte cose inspiegabili con la sola ragione, ad esempio la violenza.
Tra presunti guru stramboidi e le fumisterie pseudofilosofiche di chi vorrebbe portare Nietzsche su Marte, la cosiddetta tecnodestra ci ha regalato nel tempo ben poche e tristi emozioni. A riscattarla tuttavia provvede una figura appena più nascosta ma decisamente più suggestiva di tutte le altre. Un imprenditore che è a tutti gli effetti un pensatore e un intellettuale, per altro dotato di ottime doti di scrittura. Si tratta di Peter Thiel, fondatore di PayPal e Palantir, primo investitore di Facebook, uno degli uomini più ricchi e attualmente più influenti del globo, la cui presenza pesa sulla amministrazione Donald Trump ben più di quanto abbia mai pesato Elon Musk.
Thiel, per quanto sconosciuti possano essere i suoi obiettivi a lungo termine, si distingue dai più per la capacità rara di captare quella che René Girard - l'autore francese suo ispiratore e maestro - chiamava «la voce inascoltata della realtà». E Dio sa quanto ci sia bisogno di un corroborante bagno di realtà dopo le deliranti incursioni negli artifici woke.
Il più accurato e insieme sintetico ritratto di Peter Thiel lo ha tracciato David Perell: «È un investitore che ha trovato ricchezza in PayPal, uno studioso che ha trovato saggezza negli ideali libertari e un filosofo che ha trovato fede nella resurrezione di Gesù Cristo. Thiel è stato cresciuto come evangelico e ha ereditato il cristianesimo dai suoi genitori. Ma le sue convinzioni sono «un po' eterodosse». In un profilo sul New Yorker, Thiel ha affermato: «Credo che il cristianesimo sia vero. Non sento un bisogno impellente di convincere gli altri di questo». In effetti, quando scrive Thiel non tenta di persuadere: si limita ad enunciare con chiarezza alcune verità estremamente difficili da ignorare, che emergono con potenza da Il momento straussiano, un breve e suggestivo saggio che Liberilibri ha appena reso disponibile in italiano in versione digitale (si può scaricare facilmente dal sito dell'editore). In poche pagine, Thiel demolisce alcune delle più resistenti superstizioni della contemporaneità, a partire dalla visione illuministica che ancora ci pervade.
Riducendo all'osso, Thiel sostiene che l'Illuminismo abbia edificato una gigantesca menzogna. Ha cancellato dalla scena non soltanto la religione ma più in generale la riflessione sulla natura umana. Ci ha convinto che il mondo sia popolato da esseri razionali che agiscono su base razionale, convinzione perpetrata poi da liberalismo e marxismo.
«Dall'Illuminismo in poi, la filosofia politica moderna è stata caratterizzata dall'abbandono di una serie di domande che un'epoca precedente aveva invece ritenuto centrali: che cos'è una vita ben vissuta? Cosa significa essere umani? In cosa consistono i fondamenti della comunità politica e dell'umanità? Come si inseriscono la cultura e la religione in tutto questo?», scrive Thiel. «Per il mondo moderno, la morte di Dio è stata seguita dalla scomparsa della questione della natura umana. Questa scomparsa ha avuto molte ripercussioni. Se gli esseri umani possono essere considerati come attori economici razionali (e, in ultima analisi, anche Adam Smith e Karl Marx concordavano su questo punto), allora coloro che cercano la gloria in nome di Dio o della patria appaiono bizzarri; ma se questi individui ritenuti bizzarri si rivelano invece essere più ordinari di quanto si pensi e capaci di affermarsi con determinazione, allora la narrazione politica che tende a considerarli inesistenti deve essere completamente riesaminata».
Thiel procede a questo riesame e, rifacendosi a Girard (e in parte a Leo Strauss), mostra come alle radici dell'umano vi siano «cose nascoste» e più oscure. «L'Illuminismo ha sempre mascherato la violenza», argomenta. «Ci sono molte cose a cui non possiamo pensare con il ragionamento illuminista, e una di queste è la violenza stessa. Se si considera il mito antropologico dell'Illuminismo, si tratta del mito del contratto sociale. Cosa succede quando tutti saltano alla gola di tutti gli altri? L'Illuminismo sostiene che tutti, nel mezzo della crisi, si siedono, fanno una bella chiacchierata legale e redigono un contratto sociale. E forse questo è il mito fondante - la menzogna centrale - dell'Illuminismo. Girard afferma che dev'essere successo qualcosa di molto diverso. Quando tutti saltano alla gola di tutti, la violenza non si risolve da sola, ma forse viene incanalata contro un singolo capro espiatorio, dove la guerra di tutti contro tutti diventa una guerra di tutti contro uno e in qualche modo si risolve in modo molto violento».
È da questa violenza fondativa che dobbiamo ripartire se vogliamo capire qualcosa del mondo. L'illusione illuministica e moderna di eliminare la violenza e il negativo dal mondo è la peggior stupidaggine che potessimo raccontarci. L'11 settembre 2001, dice Thiel (che scritto questo saggio fra il 2003 e il 2004), ci ha costretto a rifare i conti con la Storia e ha riproposto in chiara luce la questione della violenza. Una violenza non agita dai dannati della terra, dai poveri e dagli oppressi, ma da una élite di ricchi non occidentali intenzionati a distruggere l'Occidente.
Questa drammatica evidenza conduce ad alcune conclusioni. La prima è che non possiamo pensare di redimere il mondo semplicemente migliorando leggermente le condizioni economiche dei più poveri (e qui, come nota Andrea Venanzoni nell'introduzione al Momento straussiano, non si può non pensare al taglio trumpiano dei finanziamenti allo sviluppo). La seconda è più importante riguarda il nostro approccio al reale. Dobbiamo arrenderci all'idea che gli uomini non agiscono solo per motivi economici o scientificamente razionali. L'idea che si possa artificialmente eliminare il male imponendo a tutti una costruzione politica e sociale che noi definiamo «buona» è fallimentare. Il male esiste, non si cancella. L'ingegneria sociale non funziona, il Nuovo Ordine Mondiale della globalizzazione è destinato a crollare, la divisione stabilita d'imperio fra buoni e cattivi non regge. Che fare dunque? Si impone un notevole esercizio di realismo. Le situazioni vanno valutate caso per caso, lasciando da parte le illusioni di redenzione e le dicotomie arroganti che pretendono di separare il bene dal male, nella consapevolezza che non siamo noi a possedere le chiavi della Storia. «Lo statista o la statista cristiani», conclude Thiel, «sanno che l'epoca moderna non sarà permanente, e che anzi cederà il passo a qualcosa di molto diverso. Non bisogna mai dimenticare che un giorno tutto sarà svelato, che tutte le in giustizie saranno messe a nudo e che coloro che le hanno perpetrate saranno chiamati a risponderne. Perciò, nel determinare la giusta miscela di violenza e pace, lo statista o la statista cristiani sarebbero saggi, in ogni caso, a schierarsi dalla parte della pace. Non esiste una formula per rispondere alla domanda critica su cosa costituisca un «caso limite», che deve essere deciso in ogni specifico caso. È possibile che le decisioni cumulative prese in tutti questi casi limite determinino il destino del mondo postmoderno. Perché quel mondo potrebbe differenziarsi dal mondo moderno in modo molto peggiore o molto migliore: la violenza illimitata di una mimesi incontrollabile o la pace del regno di Dio». Per ora, attorno a noi vediamo soprattutto violenza illimitata. Ma pensare di farla cessare semplicemente imponendo un nuovo ordine dall'alto - come molti neocon hanno creduto e credono ancora possibile - è pura follia. Forse dobbiamo arrenderci al pensiero che solo un dio ci può salvare.
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