Flop della Lega: ieri notte, quando è stata diffusa la terza proiezione di Swg per La7 al Senato, con il Carroccio all’8,8%, per Matteo Salvini si è materializzato l’incubo peggiore. Alle politiche del 2018, la Lega aveva preso il 17,40%; nel 2013 il 4,08%: in sostanza, rispetto a cinque anni fa, la Lega ha più che dimezzato i consensi.
Non una sconfitta, quella del Carroccio, ma una vera e propria disfatta. Un tracollo reso ancora più amaro dal fatto che in Lombardia e Veneto il Carroccio viene doppiato da Fratelli d’Italia. primi dati, quelli forniti dai trend poll subito dopo la chiusura dei seggi, alle 23, avevano segnalato la Lega all’11,5. «Centrodestra in netto vantaggio sia alla Camera che al Senato! Sarà una lunga notte, ma già ora vi voglio dire grazie», aveva twittato Salvini subito dopo i primi dati, e la notte è stata effettivamente lunga ma pure assai amara: per l’ex Capitano inizia ora un percorso molto difficile, probabilmente la sua leadership verrà messa in discussione, vedremo cosa accadrà nelle prossime ore e nei prossimi giorni. Sembra comunque assai difficile che Salvini possa rivendicare il Viminale.
La flessione della Lega era nell’aria, la linea di galleggiamento era stata fissata intorno al 10%, e non è certo un caso se Matteo Salvini, negli ultimi giorni di campagna elettorale, si è dato molto da fare per riportare in vetrina i temi storici del Carroccio, dall’autonomia alla flat tax e soprattutto alla pace fiscale. Una flessione che, al di là delle balle propagandistiche della sinistra, non dipende certo dalla politica estera, ma da elementi tanto concreti quanto nazionali e anche locali.
Il primo, il più semplice, il più evidente, è che la Lega ha subito una trasfusione di elettori verso Fratelli d’Italia, per un motivo lampante: Salvini ha dovuto condividere praticamente tutti i provvedimenti del governo guidato da Mario Draghi, un governo che l’elettorato del Carroccio non ha apprezzato. Tanto si è detto e scritto sulla insofferenza della base leghista nei confronti dell’atteggiamento ultra draghiano, tanto per non fare nomi, di Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo economico, che per mesi e mesi ha costituito agli occhi dei militanti leghisti una sorta di corpo estraneo, spesso e volentieri in aperta contrapposizione con la linea di Salvini. Del resto, come La Verità ha scritto in tempi non sospetti, l’operazione di Draghi è stata chirurgica: ha scelto i ministri senza praticamente tener conto delle indicazioni di Salvini, spaccando il partito, così come ha fatto anche con Forza Italia.
Dal super green pass al mancato scostamento di bilancio da 30 miliardi, invocato invano da Salvini (mentre Giorgia Meloni si è detta sempre contraria), il leader della Lega ha dovuto ingoiare bocconi amarissimi, per non parlare della linea del ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, sulla immigrazione. Salvini ha anche pagato lo scotto di aver contribuito alla rielezione di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica, altra scelta che non ha esattamente entusiasmato la base. Mentre Salvini perdeva consensi per aver sostenuto il governo Draghi, Giorgia Meloni, rimasta da sola alla opposizione, è cresciuta a dismisura, drenando consensi anche dal Carroccio. Un travaso di voti per certi aspetti inevitabile: su molti temi gli elettorati di Lega e Fratelli d’Italia si sovrappongono, entrambi, per fare un esempio, sono molto sensibili ai temi del controllo della immigrazione clandestina e della sicurezza. Non c’è da sorprendersi che, con le mani libere da responsabilità di governo, Giorgia abbia prosciugato in parte il bacino di voti di Matteo, costringendo quest’ultimo a giocare in difesa nei confronti della alleata. Prendiamo il caso del reddito di cittadinanza: si tratta di una misura che l’elettorato leghista, quello del Nord, non ha mai digerito. La Meloni ha fatto della abolizione del Rdc uno dei suoi cavalli di battaglia, se non il principale della sua campagna elettorale: Fratelli d’Italia, in questo modo, ha consapevolmente rischiato di perdere consensi al Sud ma ne ha guadagnati nelle regioni settentrionali. Per non parlare dell’autonomia: negli ultimi giorni, Salvini, con il sostegno del governatore del Veneto, Luca Zaia, ha cercato, come dicevamo, di portare il tema in primo piano, annunciando il provvedimento già nei primi Consigli dei ministri, ma ha dovuto fare i conti con la risposta della Meloni: l’autonomia si farà, ma insieme al presidenzialismo. Con i risultati di ieri, sarà dura per il Carroccio far prevalere la sua linea.



