Si chiama Romano, come il nonno, e i tifosi della Lazio sperano che possa mettere in campo l'estro che l'avo, affermato pianista jazz, riversava nella musica. Dovesse invece aver preso alcune doti dal bisnonno, forse qualche problema in più potrebbe avercelo. Lui è Romano Floriani Mussolini, figlio di Alessandra Mussolini e Mauro Floriani, terzino (ovviamente) destro del 2003, che gioca nel club capitolino.
Da qualche tempo, dopo essersi fatto le ossa nell'Under 18, il giovane Romano è entrato nel giro della Primavera - le malelingue aggiungerebbero «di bellezza». Nell'ultimo turno, nel match fra Juventus e Lazio Primavera finito 2-0 per i bianconeri, è stato in panchina per tutti e 90 i minuti, ma era solo alla sua seconda convocazione. In distinta si fa chiamare proprio così, con il doppio cognome. A novembre scorso è stato ospite al programma Ballando con le stelle, danzando con sua mamma Alessandra.
Non è certamente il primo calciatore a portare sulle spalle un cognome più familiare alle cronache politiche che a quelle sportive: sempre nella Lazio Primavera ha giocato Umberto Previti, figlio di Cesare, classe 1990, portiere di belle speranze non tramutatesi in una carriera altrettanto sfavillante. Nella Pistoiese, in Lega Pro, gioca invece il diciannovenne Francesco Renzi, attaccante che sfascia le difese come papà Matteo i governi. Con Romano Mussolini Jr, tuttavia, siamo decisamente oltre: qui non si gioca più con la cronaca, ma con la storia. E soprattutto con il capitolo di storia più divisivo a lacerante del Novecento italiano. Ma di queste ferite, ovviamente, il giovane Romano non ha responsabilità alcuna, anche se il reato di «cognome anticostituzionale» potrebbe spuntare da un momento all'altro in qualche futuro ddl Boldrini destinato ad arginare qualche fantasmatica orda nera.
Mamma Alessandra, comprensibilmente, tende a spegnere sul nascere il caso: «Rischio strumentalizzazioni? Non c'è nulla da commentare, è un tema da cui preferisco stare fuori. Sulla sua vita e sulle sue cose, mio figlio non vuole alcun tipo di intromissione», ha detto all'Adnkronos l'ex europarlamentare, dopo che un articolo un po' angosciato del Messaggero, ieri, ha portato il figlio all'attenzione del mondo. «Lazio, c'è un Mussolini in panchina», titolava il quotidiano romano. Che chiosava: «Un cognome pesante e un accostamento pericoloso, un luogo comune spesso rigettato dalla gran parte del popolo biancoceleste che nell'equazione “laziale e fascista" non si ritrova». Almeno un tifoso laziale sicuramente contento della cosa, in verità, esiste, ma certo c'è il sospetto che possa essere di parte: «Con tutti i problemi che abbiamo come Paese, mi pare davvero assurdo discutere di queste cose. Da laziale, spero comunque che Romano sia davvero bravo e che abbia una lunga e luminosa carriera», ha detto, sempre all'Adnkronos, Caio Giulio Cesare Mussolini, cugino di Alessandra già candidatosi con Fdi (si tratta del figlio di Guido, secondogenito di Vittorio Mussolini, che a sua volta è un altro dei figli di Benito).
Lo psicodramma, per il momento, cova silenziosamente sotto la cenere, complice anche i riflettori decisamente bassi che illuminano di solito il campionato Primavera. La prima squadra, tuttavia, è lì, a un passo. E a quel punto la ribalta sarà non solo nazionale, ma anche mondiale: la Serie A conserva ancora un appeal globale, il cognome Mussolini pure. Basta immaginarsi lo speaker dell'Olimpico, si spera nel frattempo tornato a ospitare i tifosi, annunciare l'ingresso in campo di Mussolini, con tanto di nome stampato sulla maglietta (cosa che nei campionati giovanili peraltro non esiste). Agitazione nella redazione di Repubblica: cos'è quel fermo immagine con il braccio alzato, il ragazzo sta chiamando la palla o invocando l'invasione dell'Etiopia? E chissà quante elucubrazioni dotte sul numero scelto: ha il 23? Sta omaggiando la fondazione dei fasci, 23 marzo 1919. Porta il 37? È un chiaro elogio del Patto Anticomintern del 6 novembre 1937 tra Italia, Germania e Giappone. Wikipedia del resto sta lì proprio per appagare certe paranoie.
Va detto che tutto il contesto aiuta a far volare la fantasia: al cognome che parla da sé si unisce un nome che, pur caro alla famiglia per via del nonno jazzista, come detto, ha pur sempre risonanze imperiali. E poi c'è la Lazio, la squadra dell'aquila, quella con la tifoseria che prima delle partite intona Giardini di marzo di Lucio Battisti e Avanti ragazzi di Buda, il brano dedicato agli insorti del 1956 (ma il Messaggero ci rassicura sul disagio dei «laziali democratici»). La squadra di Paolo Di Canio, che aveva quel modo singolare di salutare, e dei giocatori pistoleri del 1974. Insomma, il caso mediatico è servito su un piatto d'argento.
Per ora ci si limita a qualche freddura sui social. Su Twitter, l'eden degli spiritosoni, qualche buontempone azzarda che il ragazzo sia bravo nelle rovesciate, con truce allusione a piazzale Loreto (il vilipendio di cadavere, come si sa, è uno dei valori irrinunciabili della sinistra). I grossi calibri, dalla Murgia a Saviano, restano in attesa della tempesta mediatica perfetta per scatenarsi. Quanto a lui, Romano si allena e spera solo di raggiungere il calcio che conta. E delle polemiche, se il verbo non suona sospetto, se ne frega.



