Egyptair 990, Germanwings 9525, Silk Air 195, Malaysia MH370 e in passato Jal-350, Royal Air Maroc 630 e altri ancora. Il 12 giugno scorso lo Air India 171. Questo è un piccolo elenco dei voli sui quali uno dei piloti ha commesso un omicidio suicidio. Il tragico fenomeno dei piloti che si suicidano potrebbe apparire sempre più diffuso ma in realtà quanto avviene è un fenomeno complesso.
Si scopre che l’aumento è proporzionale a quello del totale dei voli ma resta una percentuale minima sul numero di rotte che ogni giorno volano in tutto il mondo: 0,003%. Ed anche rispetto al totale delle vittime di incidenti aerei: negli ultimi 30 anni, considerando come episodi di omicidio-suicidio anche i casi dubbi, le vittime sarebbero 1.091, ovvero il 3,57% del totale dei passeggeri che hanno perso la vita vittime di incidenti aerei. Resta tuttavia un importante allarme per il settore dell’aviazione che attraverso l’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile (Icao), la massima autorità mondiale, si interroga su come affrontare e controllare la salute mentale dei piloti. Proprio dopo l’episodio di Germanwings, quando il copilota Andreas Lubitz uccise sé stesso e i passeggeri buttando l’Airbus contro le Alpi francesi, l’autorità aeronautica europea Easa decise di imporre un esame psico-attitudinale già agli allievi, standardizzando una procedura fino ad allora applicata a macchia di leopardo. La tragedia del Boeing 787 indiano schiantatosi appena fuori dall'aeroporto di Ahmedabad, uccidendo tutte le 242 persone a bordo eccetto una, vede procedere le indagini, tuttavia un crescente numero di indizi suggeriscono la che l'evento sia stato intenzionale, alimentando il dibattito su come i piloti vengono sottoposti a selezione, supporto e monitoraggio di eventuali problemi di salute mentale. Non soltanto: nel caso dello Egyptair 990 si trattò di un suicidio-omicidio per ragioni di fanatismo religioso, con tanto di dichiarazione del copilota al microfono del registratore di suoni della cabina, verso il quale ripeté in modo ossessivo «io credo in Allah». Così anche il livello di coinvolgimento religioso, e il suo confine con il fanatismo, diventa un parametro da tenere sotto controllo.
Sebbene non vi sia ancora una determinazione ufficiale sulle cause della scomparsa del volo MH370 della Malaysia Airlines sopra l'Oceano Indiano, evento accaduto nel 2014, che resta uno dei grandi misteri dell'aviazione moderna, una delle principali teorie credibili è l'omicidio-suicidio del comandante Zaharie Ahmad Shah. A monte di tutto c’è una considerazione fondamentale: la salute mentale deve essere considerata una componente fondamentale della sicurezza aerea esattamente come il fattore umano viene riconosciuto come la principale causa di incidenti. Poiché sebbene gli incidenti deliberati rappresentino solo una piccola parte dei disastri aerei, il loro impatto è smisurato. Devasta le famiglie, mina la fiducia del pubblico e mette in luce i punti ciechi nel modo in cui il settore aviazione monitora la salute mentale dei piloti. Se durante l’addestramento si tende a mettere sotto pressione l’allievo pilota per evidenziare eventuali latenze e, possibilmente, a correggerle, ci si aspetta che i piloti mantengano un alto livello di vigilanza e compostezza proprio quando si trovano sotto pressione per qualsiasi ragione, proprio per saper affrontare un’emergenza a bordo e prendere decisioni. Anche se i problemi derivano dall’ambiente familiare e possono costituire un impedimento nello svolgere il lavoro con la necessaria lucidità e consapevolezza. Ogni pilota in queste condizioni si trova quindi ad affrontare una sfida personale: ammettere davanti alla compagnia e ai colleghi di non essere in grado di volare porta conseguenze finanziarie e relazionali che causano ulteriori pressioni, queste si accumulano e, se non controllate, diventano pericolose. Con il timore che un medico, psicologo, possa metterli a terra, molti piloti non cercano aiuto.
Tale fenomeno non riguarda soltanto l’aviazione, ci sono professioni in cui riconoscere un problema di salute mentale può mettere a repentaglio il proprio sostentamento. Ci sono poi considerazioni culturali: per esempio, in India, i problemi di salute mentale sono considerati una debolezza personale più che una condizione curabile. Così molte persone rimangono esitanti a cercare assistenza psichiatrica a causa di paura, vergogna o discriminazione. Diverse autorità aeronautiche stanno oggi ampliando i programmi di supporto per creare percorsi di cura accessibili. Ma gli esperti affermano che un cambiamento significativo richiederà in primis un cambiamento culturale nel settore aeronautico.
E purtroppo non sarà installando videocamere in cabina, come chiedono autorità come la Ntsb americana, che si risolverà il problema. Ma rassicurando i piloti che avere dubbi sul proprio stato mentale non è una debolezza ma una caratteristica dell’umanità. Dire: «Oggi non posso volare perché ho un problema» non deve essere la fine di una carriera.



