Carlo De Benedetti è da sempre convinto di essere il primo della classe. Anzi, il capoclasse. Dunque, nonostante nel corso degli anni abbia accumulato più insuccessi che successi (Fiat, Sme, Banco Ambrosiano, Olivetti, Sgb, Sorgenia, tanto per ricordare le più famose cantonate), non rinuncia mai all’idea di rimettere in riga gli altri. E ovviamente lo fa con la tipica arroganza di chi è certo di saperla più lunga di tutti. Per lui è sempre l’ora di suonare la fine della ricreazione, frase che usò quando nel 1988 decise di scalare la Société générale de Belgique. La Repubblica, il giornale che per anni ha usato per influenzare la classe politica, scrisse che l’Ingegnere si era comprato il Belgio, ma di lì a due giorni a essere suonato fu lui, rispedito a casa con le pive nel sacco senza essersi comprato niente se non i debiti. La modestia del resto non è mai stata il suo forte. Quando Elserino Pio, direttore generale delle strategie e dello sviluppo dell’Olivetti, gli fece incontrare, nel garage in cui lavoravano, Steve Jobs e Steve Wozniak, i fondatori di Apple, De Benedetti dopo pochi minuti girò i tacchi, dicendo a Piol: «Non stiamo a perdere tempo con questi due ragazzi, abbiamo cose più serie da fare».
Insomma, Cdb, come è chiamato in gergo, guarda sempre tutti dall’alto in basso, dispensando giudizi forte della sua vicinanza al potere con la P maiuscola. Lo ha fatto anche ieri, parlando delle prossime elezioni con il Corriere della Sera. Nell’intervista, la tessera numero uno del Pd ha sostenuto che con il voto del 25 settembre il nostro Paese corre il pericolo più grave nella storia della Repubblica. «Mai finora avevamo vissuto il rischio di uscire dalla nostra collocazione internazionale, di rompere le nostre alleanze storiche. Neppure nel 1948».
A spingere De Benedetti a suonare la fine della ricreazione, lanciando l’allarme, sono informazioni di prima mano da lui stesso raccolte. «So per certo, dalle mie fonti nel Dipartimento di Stato, che l’amministrazione americana considera orripilante la prospettiva che questa destra vada al governo in Italia. La gente deve essere informata. Deve sapere a cosa va incontro. Questa destra va fermata». Io so, sentenzia il nuovo marchese del Grillo, e l’elettore comune non sa un cazzo. Essendo abituato a dare del tu ai politici di sinistra (ricordate quando faceva colazione con Matteo Renzi e poi, una volta finito di inzuppare la brioche nel cappuccino, telefonava al suo broker per informarlo che la riforma delle banche popolari si sarebbe fatta?), l’ex editore di Repubblica pensa sia compito suo anche dettare ai medesimi la linea da seguire. Dunque, secondo lui, bisogna entrare nella logica del Cln, comitato di liberazione nazionale. Se finora contro la Meloni si schierava l’Anpi, agitando il pericolo neofascista, con De Benedetti siamo già alla resistenza, con un fronte popolare che dovrebbe abbracciare l’intero arco costituzionale, Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia ovviamente esclusi. In pratica, contro le camicie nere, Cdb propone la grande ammucchiata: l’arco prostituzionale.
Come dicevo, l’arroganza gli fa spesso prendere delle cantonate. Così l’Ingegnere aveva appena dato alle stampe il suo parere, che il New York Times, cioè uno dei quotidiani dell’establishment progressista vicino alla Casa Bianca, si incaricava di smentirlo, spiegando che «la caduta di Draghi è il trionfo della democrazia, non una minaccia», perché l’ex governatore della Bce non è stato eletto. In pratica, mentre De Benedetti considerava «orripilante» la possibile vittoria del centrodestra, per l’influente testata liberal degli Stati Uniti il «rischio Meloni» rientra nel normale esercizio della democrazia, perché a decidere da chi debba essere guidato un Paese non possono essere né l’Europa né i mercati finanziari globali. Ebbene, non so quali siano le fonti del Dipartimento di Stato citate dall’Ingegnere, ma tendo a credere di più a quelle di cui dispone uno dei principali quotidiani americani. Peraltro, mentre De Benedetti si prende la briga di sostenere che con il centrodestra al governo l’Italia uscirebbe dalla sua tradizionale collocazione internazionale, dimentica di dire che poche settimane fa, a mettersi fuori dalla tradizionale collocazione internazionale era stato lui stesso. Infatti, in un’intervista di inizio maggio si dichiarava fermamente contrario a mandare armi a Kiev, schierandosi contro gli Stati Uniti. «Se gli Usa vogliono usare l’Ucraina per far cadere Putin, che lo facciano. Se i russi vogliono Putin, che se lo tengano. Ma noi cosa c’entriamo?». Il suo era un appello a fermare la guerra con una soluzione negoziale, una linea un po’ diversa da quella della Casa Bianca e dell’Europa. «Gli Stati Uniti si preparano a una guerra lunga, anche di un anno. Per noi sarebbe un disastro». Concetto ribadito qualche giorno dopo, con un’altra intervista in cui sosteneva che l’Italia e più in generale l’Europa, non avevano alcun interesse a fare la guerra a Putin. «Dobbiamo essere grati alla Nato per il ruolo svolto durante la guerra fredda, ma ora non ha più senso», concluse come sempre perentorio. Chi si pone dunque fuori dalla collocazione internazionale? L’Ingegnere o il centrodestra? Forse De Benedetti si è dimenticato di quel che ha detto a maggio al Corriere della Sera. Forse sta facendo ciò che gli è sempre riuscito meglio, ovvero tutelare i propri affari. Oppure, semplicemente, dopo aver suonato tante volte la fine della ricreazione è solo un po’ suonato. Ingegnere, mi dia retta: si prenda una pausa, la democrazia saprà fare a meno di lei. E anche il Cln.