La sua è un'eleganza senza tempo. La più ambita e la più naturale. Ce l'hai o non ce l'hai. Un privilegio per pochi che Massimo Piombo, ligure, collaboratore della Verità, ha cercato da sempre di trasmettere ai suoi capi riuscendo a conferire alla clientela maschile quel non so che di inconfondibile. La mediocrità non fa parte del suo vocabolario. E non è una questione di soldi ma di predisposizione d'animo, visione estetica e cultura. Attitudine che viene da lontano.
Da quanto tempo si occupa di moda?
«Finita l'università andai a Londra, primo viaggio. E mi capitò di entrare nella sartoria Anderson&Sheppard, allora un'icona. Mi fecero vedere tessuti pazzeschi e ne rimasi affascinato. Chiesi informazioni e in un attimo decisi di partire per la Scozia invece di tornare a casa, a Varazze».
Cosa trovò?
«Un sogno. Il lanificio Hunters of Brora, famoso per i tweed in lana provenienti dalle Highlands e dalle isole e per le lane pregiate, tanto che il principe di Galles si serviva da loro. Decisi di farmi fare la prima giacca su misura della mia vita che diventò propedeutica per capire cosa significava confezionare un capo e iniziare a comprendere il settore. Decisi di buttarmi nella moda e creare la linea Piombo. Mio nonno era un piccolo importatore di stoffe dall'Inghilterra ma la passione è nata per caso. La moda è stato l'amore della mia vita».
Come avvenne la partenza vera e propria?
«Andai al Pitti ma preferii un luogo diverso dato che ero uno sconosciuto: scelsi le Messaggerie Seeber, un'antica libreria dove mi diedero uno spazio. Il secondo giorno entrò Vittorio Sgarbi, si incuriosì, diventammo amici e iniziò a vestire Piombo».
Inizia così il precorso di Piombo?
«Nacque un amore degli intellettuali verso il marchio Piombo. Avevo aperto un piccolo ufficio a Milano dove arrivavano scrittori, giornalisti, artisti. La stagione successiva, invece, entrai proprio al Pitti e partì la magia».
I capi di allora avevano uno stile che non si poteva confondeva. Da dove traeva spunti?
«Sono riuscito a dare un certo carisma a questi prodotti in modo assolutamente naturale. Ero un ragazzo giovane, tutto era stato una casualità, ma credo che nella vita esistano dei cocktail, in questo caso intellettivo e merceologico. La volontà del pensiero che era ancora sogno unita alla realtà vissuta in Inghilterra e in Scozia si sono coniugate in un prodotto diventato un marchio».
C'è sempre un'impronta inglese nella sua eleganza?
«Non credo. In Italia si parla del mio background british mentre invece gli inglesi, i giapponesi, gli americani hanno visto da subito il mio gusto italiano. Esiste in noi italiani una caratteristica intellettiva che sfocia nel prodotto o nel colore. I miei abiti sono molto italiani perché dal Rinascimento in avanti il colore è il tocco inconfondibile».
Quindi è il colore il suo valore aggiunto?
«Il colore ci accompagna ogni giorno. Ho interpretato il colore per dare una funzione clorofilliana al prodotto. Fa parte del patrimonio mondiale, non solo italiano, e ognuno lo interpreta come vuole. L'importante, come in tutte le cose, è saperlo dosare. Nel caso della Piombo mi auguro che non vada mai sopra le righe. Il mondo del colore mi appartiene come Dna. È fondamentale il blu, il mio prediletto, declinato in vari modi. Solo gli italiani riescono a dare una vivacità a tutto ciò che li circonda».
C'è un personaggio che racchiude al meglio il suo concetto di moda?
«Credo nella poliedricità. Sia chi veste in modo eccentrico sia chi veste in modo “noioso" ha una sua personalità. Non esiste un'icona che possa rappresentare al meglio il mio stile. Potrei fare dei nomi ma sembrerebbe piaggeria. E se vogliamo entrare nel particolare del colore, anche lì ognuno lo esprime a modo suo. Il colore è fondamentale nel percorso terreno della vita».
La sua moda è entrata in oltre 500 negozi Ovs.
«Ho iniziato tre anni e mezzo fa, nel novembre 2017, e lanciato l'operazione nel 2018. Oltre al marchio Piombo mi occupo anche della direzione creativa di tutto il gruppo. Dal prodotto alle vetrine, dall'immagine alla comunicazione, uomo donna, bambino, accessori. Si è creato un rapporto di fiducia con Stefano Beraldo, l'ad. A volte nella vita si realizzano cose che mai avresti pensato».
Piombo per tutti, allora ?
«La moda deve guardare in ogni direzione e il vestire deve essere una cosa democratica. Se non è così è un peccato. È bello dare la possibilità a tutti di potersi vestire con un senso estetico a un prezzo giusto, educato e civile. Finalmente grazie a questo connubio con Ovs l'Italia può dare un messaggio corretto: ti vesti in modo piacevole con dignità dando valore al denaro».
Da stilista molto vicino alla sartoria ha fatto fatica a calarsi nella realtà industriale e distributiva di Ovs?
«Assolutamente no. Ho comunque un mio marchio, Mp Massimo Piombo, una cosa piccola che vendo nei negozi più belli del mondo. Ma in Ovs capisci che ci sono orizzonti e non confini. Lavoro con un team straordinario che mi ha dato la possibilità di creare questa alchimia. Non esiste altro marchio al mondo con questa fascia prezzo che abbia un marchio. I grandi gruppi fanno solo piccole collaborazioni. Un'azienda italiana come Ovs ha un vero marchio dentro, loro hanno il 70%, io il 30. Un caso unico. Qui ci sto bene. E in un gruppo così grande si sente un'armonia non facile da trovare. Basta uno sguardo per sentire l'abbraccio».



