Più passano le ore, anzi i giorni, e più diventa imbarazzante il silenzio degli amici di Mohammad Hannoun. Ma come? Fino all’altro ieri erano sempre pronti a sposarne la causa, facendosi fotografare al suo fianco, ben lieti di abbracciarne la lotta per la Palestina libera, invocando una soluzione per Gaza e una condanna per genocidio nei confronti di Israele. E ora che l’architetto giordano è finito in manette, con l’accusa di aver finanziato i terroristi di Hamas e di essere a capo di un’associazione che agiva da collettore di fondi per il movimento armato dei fondamentalisti islamici, i compagni di piazza e piazzate che fanno? Si voltano dall’altra parte, facendo finta di niente, anzi di non conoscerlo?
Da molti anni l’attività del presidente dell’associazione dei palestinesi in Italia era oggetto di indagini della magistratura, alcune delle quali erano note. E da molto tempo era oggetto di inchieste giornalistiche, per le sue dichiarazioni estreme e per le sue discutibili frequentazioni. Già ieri ricordavo gli articoli apparsi su questo giornale a firma del nostro Giacomo Amadori. E Fausto Biloslavo l’altro ieri mi ricordava almeno una decina di servizi pubblicati su Panorama da quando ne sono direttore. Insomma, si sapeva o per lo meno di sospettava, che Hannoun avesse forti collegamenti con Hamas. E ci si immaginava che alcune delle associazioni di beneficenza da lui fondate per sostenere la causa palestinese non servissero a finanziare le famiglie in difficoltà, la costruzione di scuole, ospedali, acquedotti, come sarebbe stato giusto che fosse e come avrebbe dovuto essere se le promesse di Hannoun e dei suoi compagni fossero state veritiere. In realtà, da tempo si riteneva che quel denaro venisse usato per cause ben meno nobili, ovvero per armare i terroristi e pagare le famiglie dei miliziani finiti in carcere o al cimitero dopo gli attentati contro gli israeliani. In altre parole, quei fondi erano fondi investiti non per ragioni umanitarie, ma destinati a scopi bellici, compresa la strage del 7 ottobre 2023.
Di fronte a tutto ciò, al fiume di quattrini passato nelle mani di Hannoun e della holding immobiliare di Hamas (solo in Italia sarebbero una novantina gli edifici comprati allo scopo di impiegare la liquidità prima di consegnarla ai miliziani di Hamas), ci saremmo aspettati una presa di distanza e almeno qualche mea culpa da parte di chi, in questi anni, ha sposato la causa del «profugo» giordano-palestinese senza andare troppo per il sottile.
Invece, approfittando delle vacanze di Natale, da Laura Boldrini a Nicola Fratoianni, da Francesca Albanese ad Alessandro Di Battista paiono tutti in silenzio stampa. Desaparecidos. Tanto erano loquaci fino all’altro ieri, tanto sono silenziosi ora, forse annichiliti per aver abbondato con il panettone o intorpiditi per aver ecceduto nei brindisi. Alzare i calici a volte annebbia la mente, ma forse nel caso di Hannoun la mente dei compagni che con lui amavano scattarsi selfie era già annebbiata.
Anzi, su certi argomenti probabilmente lo è sempre stata. Al punto che oggi, di fronte agli arresti, non sanno che dire e preferiscono nascondersi, sperando che la Befana insieme alle feste si porti via anche la memoria degli italiani. Ma dimenticarsi di chi ha scambiato dei finanziatori di terroristi per nuovi rivoluzionari è difficile, se non impossibile.



