Napolitano, il figlio Giulio interrompe l’ipocrisia: «Sostenne anche cause sbagliate»
Fa ancora fresco a Montecitorio intorno alle 10 di mattina di ieri, quando per i funerali di Stato laici di Giorgio Napolitano, cominciano ad arrivare una via l’altra, le più alte cariche istituzionali della Repubblica insieme agli ospiti internazionali.
È lutto nazionale, bandiere a mezz’asta in Italia e in Europa per celebrare il presidente emerito della Repubblica, morto venerdì scorso a 98 anni dopo una lunga malattia. Il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, arriva alla Camera intorno alle 10.30 in piazza Montecitorio, blindata più del solito per l’occasione. Dopo di lei, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, accolto in piazza dal presidente della Camera, Lorenzo Fontana. In Aula, in attesa dell’arrivo del feretro ci sono già il presidente del Senato, Ignazio La Russa, il presidente della Corte Costituzionale, Silvana Sciarra. Come previsto, presenti anche i capi di Stato di Germania e Francia: Frank-Walter Steinmeier ed Emmanuel Macron, oltre alla Duchessa di Edimburgo, Sophie Helen Rhys-Jones, membro della famiglia reale del Regno Unito. E poi, in Aula, Gianni Letta, Romano Prodi, Gianfranco Fini, ministri, sindaci, leader di partiti e capi del sindacato.
Alle 11.35 Il feretro di Napolitano arriva e la cerimonia si apre con un breve discorso di Fontana: «Personalità di profonda cultura, sapeva unire lo slancio ideale al realismo politico appreso alla scuola napoletana di Benedetto Croce». Il presidente del Senato, La Russa, si dice grato per l’impegno che l’ex presidente volle de dedicare alle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia, «contribuendo così a rafforzare il senso di appartenenza e l’amore verso la nostra Patria».
Sarà poi il figlio, Giulio Napolitano, a sorprendere tutti con il discorso più sentito, più affettuoso, ma anche preciso e attento: «Ha combattuto buone battaglie e sostenuto cause sbagliate, e cercato via via di correggere errori, di esplorare strade nuove», dice in un passaggio e ringrazia papa Francesco per esser andato a trovare suo padre alla camera ardente. Commossa Anna Finocchiaro. L’ex ministro parla del «suo partito, che era anche il mio», e non trattiene l’emozione quando conclude: «Il presidente Napolitano ha speso la sua vita per l’Italia e a essa appartiene la sua memoria». È per lei l’applauso più lungo di una piazza Montecitorio non pienissima, fa un grande caldo a Roma e l’atmosfera è più che solenne. Ci sono soprattutto tanti silenzi, gli applausi autentici, ma contati.
Alla Finocchiaro segue il lucido Gianni Letta: «Ha sempre rivendicato con orgoglio la propria storia politica, le proprie radici, i valori in cui ha creduto, un uomo con una storia di parte, ma che ha saputo essere uomo delle istituzioni». Letta poi rievoca la stretta di mano avvenuta nello stesso emiciclo con il premier Silvio Berlusconi, alla sua prima esperienza di governo e ricorda: «Da tutte e due le parti non vennero mai meno la volontà e la forza di mantenere il rapporto nei binari della correttezza istituzionale». Berlusconi e Napolitano sono venuti a mancare a tre mesi di distanza l’uno dall’altro e allora, è la conclusione di Letta, «mi piace immaginare che incontrandosi lassù, possano dirsi quello che forse non si dissero quaggiù e, placata ogni polemica, possano anche chiarirsi e ritrovarsi nella luce».
Il commissario europeo Paolo Gentiloni lo saluta con una promessa: «Caro Giorgio, questa via, la tua via (europea, ndr) cercheremo di seguirla sempre».
Poi l’atteso intervento del cardinale Gianfranco Ravasi, che nei giorni scorsi aveva rivelato il suo iniziale scetticismo circa la possibilità di intervenire in una funzione laica. Scetticismo superato grazie al grande legame che ebbe in vita con l’ex presidente. «I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento, coloro che avranno indotti molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre. Mi sono permesso di aggiungere una frase della Bibbia sulla bara. Lui aveva grande rispetto per la cultura spirituale classica». A concludere la funzione ci pensano le parole del presidente emerito della Corte costituzionale, Giuliano Amato, che evoca il «grande tormento» di fronte all’invasione russa di Budapest del 1956. L’uomo è stato raccontato soprattutto dalla commossa nipote, Sofia: «Ci ha insegnato a trattare chiunque con rispetto e cortesia, a prescindere dalle convinzioni. Quando eravamo piccoli ci scriveva sempre, ci veniva a prendere a scuola».
Il feretro è stato condotto fuori, scortato dalle rappresentanze militari. Più tardi è stato sepolto nel Cimitero acattolico di Roma, nel quartiere Testaccio, ai piedi della Piramide di Caio Cestio, uno dei luoghi di sepoltura tutt’ora in uso più antichi in Europa.




