Parafrasando il celebre slogan di Barack Obama e togliendo il velo di propaganda che lo ha sempre contraddistinto, possiamo finalmente dire: «The worst is yet to come». Cioè, il peggio deve ancora venire. Per oltre un anno e mezzo i vertici delle autorità finanziarie globali, ma soprattutto europee, hanno negato la crisi economica in arrivo. Hanno negato i pericoli di una iper inflazione. Poi di fronte a percentuali praticamente a doppia cifra hanno ammesso l’esistenza di problemi, garantendo però fosse una situazione transitoria. L’esempio per eccellenza proviene da Francoforte. La numero uno della Bce, Christine Lagarde, il 29 novembre scorso, meno di un anno fa, garantiva che i prezzi nel 2022 sarebbero scesi. Davanti alle telecamere di Fabio Fazio spiegò al popolo italiano l’effetto transitorio per il caro energia che «l’Italia subisce di più» e che «dovrebbe progressivamente rientrare» dal momento che «non è strutturale».
Soltanto dopo il 24 febbraio di quest’anno, data dell’invasione russa dell’Ucraina, i vertici di Bruxelles hanno cominciato ad avanzare l’ipotesi di problemi strutturali per l’economia del Vecchio continente. Il motivo è semplice. La guerra è ulteriore benzina gettata su un falò che era già stato appiccato nei mesi precedenti. La transizione ecologica forzata e la brusca interruzione del modello di globalizzazione che ha caratterizzato gli ultimi 20 anni della nostra storia sono state le micce che hanno fatto esplodere quanto adesso stiamo vivendo. Costo del denaro impazzito, tassi disallineati rispetto alle necessità delle aziende che producono, difficoltà a recuperare le materie prime, costi della produzione troppo elevati, cassaintegrazione diffusa. In pratica uno scenario di povertà che i singoli governi faticano a nascondere dietro il maquillage di aiuti, bonus e incentivi.
La situazione è così delicata che il compito di mettere le mani avanti è stato lasciato al Fondo monetario, ente internazionale che funge da ambasciatore di sventura.
«A partire dal nuovo anno, arriverà la recessione», spiega così il Fmi che ha aggiornato le previsioni sull’economa globale, descrivendo uno scenario di forte rallentamento. In particolare per l’Italia (-0,2%) e la Germania (-0,3%). Non va meglio a Stati Uniti e Cina.
Le nuove previsioni del Fondo riassumono i rischi da tempo indicati dagli analisti indipendenti: nel 2022 la crescita stimata per il 2023 subisce l’ennesimo taglio, che la abbassa al 2,7%. Si tratta della crescita più debole dal 2001, fatta eccezione per le frenate innescate dalla crisi dell’euro e dal Covid-19. L’Europa è il continente con le economie più esposte alle condizioni finanziarie più rigide: la Bce, infatti, ha chiuso gli acquisti netti di titoli di Stato e ha rapidamente aumentato i tassi ufficiali di 50 punti base nel luglio 2022 e di 75 punti base nel settembre 2022. Madame Lagarde ha agito come se l’economia Ue fosse sottovuoto e avulsa dalle condizioni politiche. Non solo, si continua a osservare una coazione a ripetere nelle scelte sbagliate, tanto da indurre una ipotesi. Che esista una strategia di azzeramento delle ricchezze del Vecchio continente per imporre forzatamente l’enorme cambio di passo verso l’elettrico e quindi l’indipendenza dalle fonti non rinnovabili che sarà sostituita da una dipendenza tecnologica verso il colosso cinese. Ieri il numero uno di A2A, Renato Mazzoncini, ha lanciato una sorta di fatwa contro l’atomo, dichiarando che il nucleare potrebbe ostacolare lo sviluppo delle fonti rinnovabili. «Se vogliamo sviluppare le rinnovabili dobbiamo far sì che non siano disturbate e il nostro importantissimo patrimonio di centrali a gas ci fornisce l’intermittenza per lavorare con le rinnovabili». Le centrali termiche, secondo Mazzoncini, infatti «si debbono accendere e spegnere quando non ci sono le energie rinnovabili disponibili, cosa che non può fare il nucleare». Le frasi suonano molto simili a quelle pronunciate dal direttore generale di Bankitalia. Federico Signorini ritiene corretto l’aumento del costo dell’energia per continuare il processo di conversione al green. La dimostrazione, se ce ne fosse ancora bisogno, del legame tra ideologia, finanza e transizione ecologica che tutto è tranne che sostenibile per le famiglie e le imprese.
Questo impoverimento servirà alle istituzioni e alle Banche centrali a sgonfiare l’enorme massa di debito e al tempo stesso a riposizionare investimenti e obbligazioni su un comparto che garantirà molti più margini in futuro. Le economie di scala che derivano dalla filiera delle rinnovabili e dell’elettrico avranno un valore doppio. La transizione avvenuta grazie alla spinta degli incentivi drenerà ingenti risorse alle famiglie. Le banche come ha ricordato ieri il capo della Vigilanza Ue, Andrea Enria, saranno costrette e diventare un ingranaggio del modello ecologista. Saranno chiamate e garantire buffer di capitale a presidio del rischio climatico. Una ulteriore leva a favore della transizione. Così, alla fine un pugno di investitori diventerà ricchissimo. Gli stessi si saranno imposti per motivi politici e non per via delle logiche del mercato.
Ecco perché il nucleare fa paura. Perché garantisce energia a prezzi bassissimi. E smonta il racconto delle rinnovabili a tutti i costi. Il problema è che quando anche i talebani del green apriranno gli occhi sarà troppo tardi. A noi adesso basta puntualizzare un tema. Anche senza la guerra la nostra economia si sarebbe avvicinata al burrone. Bisogna partire da qui per fare un ragionamento serio.



