Il capitolo tasse - mattone compreso - non c’entra con il Recovery ma il governo vuole forzare. Dopo il Covid, sarà il banco di prova.
Dopo che il governo è, come si dice in gergo tecnico, andato sotto più volte in Aula perdendo pezzi nella rimodulazione del Milleproroghe, Mario Draghi segue con estremo interesse il deragliamento del decreto Covid. Il 31 marzo scadrà lo Stato di emergenza, cosa succederà dopo e quali saranno le applicazioni del green pass a partire da aprile sono temi così delicati da far vacillare l’attuale maggioranza. C’è però un altro tema ancor più bollente e si chiama legge delega fiscale. Sospesi i lavori d’Aula il 20 gennaio per lasciare spazio al voto per il Quirinale era previsto per la prossima settimana il ritorno del testo in commissione. A oggi nessuna seduta è stata calendarizzata con dispiacere del governo che preme in tutti i modi per chiudere la partita anche a costo di mettere la fiducia sul testo. L’intervento dei partiti sul Milleproroghe ha indispettito Palazzo Chigi. I rappresentanti del governo hanno fatto sapere che gli impegni presi si devono portare avanti. Il casus belli è stato lo stop alla soglia dei 1.000 euro per pagare cash.
Anche sulla riforma fiscale lo storytelling sarà il medesimo. Gli impegni presi con l’Europa vanno portati avanti. Enrico Letta che è più realista del re ieri si è portato avanti. Ha infatti dichiarato che «Delega fiscale, concorrenza e appalti sono tre provvedimenti del governo che sono la condizioni per ottenere i soldi del Pnrr. Nessuno può immaginarsi che i soldi tardino per colpa del Parlamento o delle istituzioni», ha detto durante la seduta della direzione del Pd. È bene dire che l’esternazione di Letta è due volte falsa. Primo perché l’impegno a riformare il fisco o le altre tematiche sono effettivamente presenti nella tabella di marcia del Pnrr, ma spetta al Parlamento legiferare e decidere quali debbano essere la forma e il piglio finale di tali leggi. Secondo, entrando nel merito della legge delega su fisco e catasto, è d’obbligo ricordare che a forzare la mano nonostante le indicazioni del Parlamento è stato proprio il governo. Dunque la scusa del mantenere una promessa legata al mercato degli immobili non può e non deve stare in piedi. La linea e il punto di vista della Commissione Ue (che coincide con Fmi) mirano a spostare il prelievo sulla tassazione patrimoniale delle case. La scelta, a detta di Bruxelles, contribuirà ad aumentare la ricchezza e quindi il Pil. La riforma del catasto mira esattamente a tale slittamento, anche se numerosi esponenti del governo, a cominciare dal titolare del Mef, Daniele Franco, continuano a sostenere che si metterà mano all’anagrafe immobiliare soltanto per motivi statistici. Appurato che nessun Paese investirebbe più di 5 miliardi per ottimizzare le proprie statistiche, il dissenso del Parlamento deriva dal discordare con Bruxelles ab origine. L’Aula ritiene infatti che spostare la tassazione sul valore patrimoniale non comporterà alcun beneficio al Pil, al contrario sarà solo una ridistribuzione di ricchezza e nulla più. Mentre nel medio termine rischia di causare addirittura impoverimento delle tasche degli italiani attraverso svalutazioni patrimoniali. Il Parlamento ha quindi messo nero su bianco il proprio punto di vista lo scorso 30 giugno. Soltanto 18 pagine ma con peso specifico notevole. L’Imu è già troppo per il mattone italiano, anche se tutti sono d’accordo che serva una riforma dal punto di vista digitale e che consenta alla pubblica amministrazione di recuperare l’evasione. Cosa che i governi italiani avrebbero già dovuto fare da decenni. Solo che stavolta la scusa dell’evasione (tassare tutti per tassare meno) per fare una riforma è facilmente smascherabile. Tant’è che numerosi partiti hanno suggerito strade diverse. Eppure il governo prima nel Def di aprile 2021 e poi nel documento di aggiornamento al Def, datato ottobre 2021, ha ritenuto di ignorare le scelte sovrane del Parlamento. Come poi la riforma del fisco e del catasto sia stata infilata nella road map del Pnrr è un mistero. Non ci sarebbe dovuta essere. Il fatto che sia stata infilata adesso non può essere la minaccia di far crollare tutto. Per questo è importante per il bene dell’economia e per la tutela delle tasche degli italiani (la nuova Imu sarebbe una patrimoniale che finirebbe con l’aggiungersi a tutte le altre tasse) che i partiti giochino di tattica e di strategia.
L’esame del testo è iniziato il 17 novembre scorso. L’obiettivo è mettere a terra i decreti attuativi che sulla carta devono realizzare obiettivi condivisibili. Si va dallo stimolo alla crescita economica attraverso una maggiore efficienza della struttura delle imposte e la riduzione del carico fiscale sui fattori di produzione, la razionalizzazione e semplificazione dei micro-tributi. Il 20 gennaio sono stati vagliati e filtrati gli emendamenti. Il centrodestra si è mosso compatto soprattutto sul catasto. Se non c’è la certezza di procedere con unità, allora è meglio che la legge delega continui a slittare. Nel frattempo si possono unire al centrodestra anche altri parlamentari e a quel punto far scattare la revisione. E a chi dice che c’è fretta basta ricordare che gli effetti non entrerebbero in vigore prima di gennaio 2023. Forzare e accelerare sono due verbi che porteranno con sé una bomba politica.


