Repubblica accusa Fdi di alimentare le idee evoliane sulla donna come ostacolo all’eroe maschile. È una banale contraffazione. Le idee del pensatore erano ben più complesse.
Julius Evola è un pensatore buono per tutte le stagioni. Non solo da parte della sua fanbase spesso sin troppo devota, ma anche e soprattutto da parte di chi intende delegittimare qualcuno a destra. A quel punto, inserire Evola il maledetto nel discorso fa sempre colore. Si legga, per esempio, il rabbioso articolo contro Giorgia Meloni siglato da Mirella Serri su Repubblica. In coda al quale, leggiamo: «Storici autorevoli, come Giuseppe Parlato e Piero Ignazi, documentano la notevole influenza che ha tra i giovani (di Fdi, ndr), per esempio, il pensiero di Julius Evola, feroce contro le donne-ostacolo alla piena espressione del virilismo e dell’eroismo maschile». Ora, la Serri è in realtà recidiva, avendo qualche settimana fa montato una scombiccherata polemica contro la mostra su Evola in corso a Rovereto, nella quale accusò il pensatore tradizionalista di essere stato addirittura sostenuto dal gerarca nazionalsocialista Martin Bormann.
La Meloni come alfiere del virilismo eroico e anti femminista evoliano, dunque? Chiunque si rende ben conto di quanto l'accusa sia claudicante. Nei discorsi della Meloni non c'è traccia di riferimenti espliciti o impliciti a Evola. Che i suoi militanti lo leggano è, in compenso, un segno di vitalità culturale e politica. O Repubblica deve stilare anche la lista delle letture da fare in sezione? Non si riscontra, tuttavia, alcuna vena cripto-evoliana segreta all'interno di Fdi.
Ma, soprattutto, è davvero così brutale il pensiero evoliano sulla donna? La questione è complessa e non la si può certo liquidare con tre righe superficiali. Esiste, va detto a scanso di equivoci, un Evola effettivamente misogino. Ma quello più rude e irricevibile è l'Evola provocatore, avanguardista e superomista degli anni Venti. Nel 1921, pubblicò sul numero di gennaio della rivista Cronache d’attualità di Anton Giulio Bragaglia, un articolo dal titolo nietzscheano Gehst zu frauen? (Vai dalle donne?). Nel 1925, Evola tornò sul tema sulla rivista Ignis, con un articolo dal titolo eloquente di La donna come cosa. Erano articoli estremi, talmente eccessivi nel criticare il mondo femminile da meritare in risposta delle allusioni velenose alla presunta omosessualità dell'autore. È del resto vero, come nota lo studioso Sandro Consolato nel suo Le tre soluzioni di Julius Evola, che «l’ostilità verso tutto ciò che è “materno” contrassegnerà poi tutto il pensiero di Evola, sia sul piano della dottrina del sesso […] sia su quello del mondo dei miti e dei simboli, ove le Dee Madri stanno sempre sotto segno negativo».
Eppure, a ben vedere, non è nella sola condanna che si risolve la visione evoliana del femminile. Egli fu per esempio uno dei rari intellettuali di destra a criticare, sì, la liberazione sessuale e il femminismo, ma non in quanto attentati ai valori morali, bensì come insospettati veicoli di nuove inibizioni puritane. Criticando le società anglosassoni e americane, Evola vi riscontrava una combinazione di puritanesimo protestante ed emancipazione femminile. «È un errore fondamentale», scriveva, «parlare della spregiudicatezza e della libertà delle ragazze americane. Nemmeno per sogno: tutto ciò riguarda le sole forme esterne, una generica disinvoltura di maniere mascolinizzate. Ma all’interno è proprio il contrario, le americane sono fra le donne del mondo più inibite».
Sui temi del consenso, del corteggiamento, della libertà dell’uno e dell’altro sesso, della trasparenza reciproca in fatto di relazioni sentimentali e sessuali, poi, Evola aveva delle sue visioni piuttosto tipiche, anche in questo caso decisamente lontane da quelle più bigotte. Interessante (e divertente) è per esempio la denuncia evoliana di «tutto ciò a cui, in certa civiltà borghese, la donna che tiene ad essere considerata come “perbene” sottopone l’uomo come via crucis sentimentale fatta di menzogne, di lusinghe e di sciocche complicazioni, prima di addivenire a certe – diciamo così – concessioni territoriali». Evola, insomma, disprezzava l’ipocrisia borghese e tipicamente mediterranea che prevedeva un estenuante rituale di dinieghi e giravolte prima che uomo e donna potessero arrivare a consumare l’agognato amplesso.
Sui rapporti tra uomini e donne, di fatto, Evola sembrava avere un debole per un certo modello mitteleuropeo di franchezza e libertà, lontano da ogni puritanesimo. «Nell’Europa del Nord» scrive, «accade che una ragazza accompagnata in un qualche luogo pubblico si offenda se l’uomo fa l’atto di pagare anche per lei. Là si può invitare una ragazza nella propria abitazione di scapolo senza che ci si senta rispondere: “Per chi mi prendete?”. Vi sono inserzioni in giornali seri di giovani che cercano una ragazza per passare insieme l’estate o per un viaggio: ciò non significa necessariamente quello a cui una italiana subito pensa. Può significarlo e può non significarlo, perché le ragazze sanno disporre di sé stesse, sanno dire di sì o di no».
Sempre riferendosi all’Europa centrale e del Nord, Evola racconta che lì «nei rapporti fra i sessi si è in una linea di libertà, di sincerità e di spregiudicatezza altrove non esistente. Né la ragazza, qui, si vede coalizzata contro di lei la società ipocrita e conformistica, né l’uomo ha da fare con un tipo feminile che accorto in una sapiente razionalizzazione dell’abbandono, gli impone tutte quelle complicazioni e quelle finzioni, per via delle quali egli altrove ricorre spesso alle professionali dell’amore o giù di lì. Proprio nei paesi, di cui parliamo, e che noi conosciamo bene, la ragazza è davvero giunta ad una forma sana di autonomia e la libertà con cui essa dispone di sé stessa ne fa davvero una camerata dell’uomo».