Corrono tempi bui per Elly Schlein, molto bui. Invisa ai più moderati degli elettori di sinistra sin da quando ha assunto la segreteria del Partito democratico nel marzo 2023, ora le pareti del consenso le si stanno facendo ancora più strette. Tanto più se a remarle contro sono figure di spicco all’interno del suo stesso partito. Un esempio? Graziano Delrio, che pur di attaccare la Schlein è arrivato persino a elogiare Giorgia Meloni. Il paradosso in seno alla sinistra è questo: «Meloni ha una strategia efficace», dice Delrio in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, «entra in sintonia culturale con mondi diversi dal suo, come Comunione e liberazione o la Cisl. Il centrosinistra quella strategia non l’ha ancora trovata. Ma deve farlo. Altrimenti avrà un problema, per esempio con il mondo cattolico».
Il destro per questo esame di coscienza dem lo ha dato l’intervento del premier al Meeting di Rimini, dove «si è vista un’evoluzione intelligente dal punto di vista politico che presuppone un progetto che riscontro anche sui territori. Chi pensa che nel 2027 Meloni sarà inesorabilmente sconfitta, credo non colga questa evoluzione», avverte ancora la voce critica di Delrio, che a proposito del suo partito non vuole dare giudizi, ma nota che «il centrosinistra sembra non essere in grado di mettere in campo una sua strategia per parlare a quanti, non sentendosi rappresentati, si rifugiano nell’indifferenza e quindi nell’astensionismo». Gli è stato domandato se la responsabilità di tutto questo provenga dalla Schlein e lui ha risposto che le colpe risiedono in un «certo sguardo dell’attuale Pd, fisso a sinistra. Solo a sinistra». «Manca l’approccio interclassista», avverte, «iniziando quel lavoro di ascolto sin da subito, non sotto voto». «Perfino Palmiro Togliatti», ricorda, «che pur si muoveva in un contesto ideologico che di per sé non facilitava l’ascolto di mondi diversi, parlava di ceti medi». L’esempio da cui parte Delrio è la condizione femminile, in particolar modo nel Meridione. «Chi lavora per affrancare le donne da condizioni di disparità di ogni genere, deve avere un luogo in cui portare il proprio contributo. I partiti non hanno tutte le risposte. Questo Meloni l’ha capito». E, opportunamente, rileva che il nodo centrale dell’opposizione non è attaccare un governo sulle promesse non mantenute. «Bisogna dimostrare di avere una strategia concreta per dare risposte».
Ma Delrio non è l’unica voce critica nel Pd. E il nodo resta proprio il versante cattolico degli elettori dem. L’altra voce a sollevare la questione, seppure con argomenti e toni diversi da quelli del collega di partito, è quella di Gianni Cuperlo. Parlando dei giovani che si sono ritrovati a Tor Vergata per il Giubileo e dell’insegnamento di papa Francesco, Cuperlo spiega che «quella cultura cattolica può trovare nel Pd l’accoglienza che merita. La stessa cosa la penso quando ascolto papa Leone XIV o il cardinale Matteo Maria Zuppi su Gaza». Parole che però hanno fatto insorgere Lorenzo Guerini, figura di riferimento della minoranza riformista: «Parlare di “accoglienza” dei cattolici nel Pd è una prospettiva sbagliata», dice, «anche perché non saprei chi dovrebbe dare la patente di “accoglibilità”. La realtà invece è che senza la cultura e la presenza cattolico-democratica, insieme alle altre culture politiche che lo hanno fondato, non ci sarebbe il Pd».
Persino Rosy Bindi ha approfittato del discorso del premier per dare una stilettata alla deriva anticattolica presa dall’attuale direzione del Pd a guida Schlein e l’ha fatto con una lettera indirizzata al quotidiano Avvenire, sulle cui colonne ha rivendicato la sua adesione nei primi anni Cinquanta all’Azione cattolica italiana. «Devo ammettere», asserisce la Bindi, «che (Meloni, ndr) ha saputo toccare le corde giuste della platea di Rimini, da sempre animata da spirito governativo e orientata verso il centrodestra».



