Sono tornate libere con obbligo di firma giornaliero le due studentesse universitarie arrestate lunedì a Milano durante la manifestazione per Gaza. Ventuno e ventidue anni, incensurate, entrambe sono vicine al centro sociale Lambretta. Il giudice ha convalidato l’arresto per resistenza a pubblico ufficiale, ma ha escluso misure più pesanti. Il processo inizierà il 27 ottobre. Secondo gli agenti, le due giovani avrebbero cercato di divincolarsi al momento del fermo, davanti alla stazione Centrale, provocando una colluttazione. I difensori, Mirko Mazzali e Guido Guella, hanno respinto l’accusa: «Non volevano sfondare, sono state spinte dalla folla. Nessun gesto violento».
La Procura di Milano intanto è in attesa di una prima informativa della Digos. Dagli accertamenti iniziali emergono infiltrazioni di frange estremiste ben organizzate e gruppi antagonisti, con tutta probabilità legati proprio ai centri sociali. Le immagini raccolte serviranno a identificare i responsabili. Tra i 58 poliziotti feriti (78 in totale nella Penisola, 181 da inizio anno, secondo il Viminale), il più grave è un agente colpito da una pietra alla testa e da un cassonetto al torace. Un altro, della Polfer, ha riportato contusioni e lividi con una prognosi di cinque giorni dopo una colluttazione con un manifestante. È proprio su quest’ultimo episodio che la Procura ha acceso i riflettori. Il protagonista, un 36enne già noto alle forze dell’ordine, è stato arrestato per resistenza e lesioni aggravate. Secondo l’accusa, ha sfondato il cordone di polizia e, mentre cercava di correre sulle scale della stazione, ha scalciato e si è divincolato con violenza. Il pm Elio Ramondini ha chiesto la custodia cautelare in carcere a San Vittore, parlando di «marcata pericolosità sociale» e di un «concreto pericolo di reiterazione». Il tutto alla luce del nuovo decreto Sicurezza, che inasprisce le pene per chi usa violenza o minaccia contro un agente. Del resto, la giornata di proteste ha lasciato il segno in tutta Italia. Secondo dati del Viminale, a Milano il corteo ha radunato circa 12.000 persone. Il momento più critico si è registrato quando circa 500 manifestanti sono riusciti a penetrare in Centrale passando dagli accessi della metropolitana: lanci di oggetti, bocchette antincendio usate come armi improvvisate, la risposta con lacrimogeni e cariche. Una sessantina gli agenti feriti, cinque arresti, due denunce. A Bologna erano invece 15.000 in piazza. Qui il corteo è degenerato quando alcuni incappucciati hanno lanciato uova contro i mezzi della polizia. Un gruppo ha lasciato il centro dirigendosi verso la tangenziale e riuscendo a bloccare per circa un’ora la A14. Quattro arresti, altrettanti denunciati, sette agenti feriti. A Napoli la mobilitazione ha raccolto altre 15.000 persone. Un migliaio è entrato con la forza nella stazione di piazza Garibaldi, sostando sulle banchine per circa un’ora. Anche qui tensioni, con quattro poliziotti contusi.
A Torino in 8.000 hanno sfilato in centro. La statua di Vittorio Emanuele II è stata imbrattata con la scritta «Free Palestine». Sono stati occupati per un’ora i binari di Porta Nuova, poi il corteo è proseguito verso la sede della Collins Aerospace. Alcuni hanno dato fuoco a un cartello raffigurante Giorgia Meloni con Benjamin Netanyahu.
La Questura di Bergamo ha denunciato a piede libero sette giovani che si erano staccati dal corteo pro-Palestina organizzato in centro città salendo sui binari della stazione ferroviaria e che erano stati bloccati dalla digos. Si tratta di quattro 19enni, un 22enne, un 24enne e un 31enne, tutti residenti a Bergamo e provincia. Sono accusati di blocco ferroviario.
In tutto, 19 città si sono mobilitate: da Roma a Palermo, da Venezia a Cagliari, passando per Genova, Livorno, Pisa, Varese e Cosenza. Ovunque il filo comune è stato lo stesso: manifestazioni partite come presidi contro la guerra sono poi degenerate perché finite nelle frange più radicali, tra danni e feriti.
L’ex vicesindaco di Milano, Riccardo De Corato, ha chiesto di quantificare i danni e propone norme speciali per le manifestazioni nei luoghi sensibili. Ma soprattutto si domanda se erano presenti anche esponenti del centro sociale Leoncavallo, lo spazio autogestito sgomberato a fine agosto. «Come farebbe Sala, in caso di un eventuale coinvolgimento dei leoncavallini, a dare loro un’area in città»?». Si chiede De Corato
Intanto dal Lambretta non si registra nessun passo indietro. In una nota gli attivisti accusano il governo di repressione. Definiscono «vergognosa» la risposta dello Stato a chi manifesta per la Palestina. Nessun pentimento, anzi una rivendicazione netta: «Blocchiamo tutto» era la parola d’ordine, ora ripetuta come slogan. Il Lambretta torna così al centro dello scontro. Un centro sociale già sgomberato più volte, divenuto dopo il Leoncavallo il riferimento principale dell’antagonismo milanese.



