La Repubblica popolare cinese sta aumentando costantemente la propria capacità militare, seguendo un piano di «ringiovanimento nazionale» per arrivare a competere alla pari con gli Stati Uniti entro il 2049.
Oggi l’Esercito Popolare di Liberazione (Epl), sotto la guida politica di Xi Jinping, è diventato un colosso che guarda al mondo secondo alcune direttrici strategiche ben calcolate: la Cina non gioca a scacchi, ma a go, un antico gioco di strategia. La sua strategia in chiave difensiva si chiama A2/AD, cioè Anti-Access/Area Denial, un approccio militare teso ad impedire o limitare l’accesso e il movimento di forze avversarie (in particolare degli Stati Uniti), nelle regioni marittime nel raggio di azione cinese: il Mar Cinese Meridionale, il Mar Cinese Orientale e le acque attorno a Taiwan. Si tratta di una sorta di muro costruito da Pechino con armi, tecnologie e tattiche per proteggere i propri interessi e opporsi alla supremazia americana nell’Indo-Pacifico.
Nel 2016, una riforma dell’esercito, voluta da Xi, ha messo ordine creando cinque comandi congiunti. Pechino vuole un esercito pronto per il 2027, integrato tra operazioni terrestri, marittime, aereo-spaziali, nucleari e informatiche. L’integrazione richiede uno sforzo enorme per coordinare ciò che si chiama C4ISR (comando, controllo, comunicazioni, computer, intelligence, sorveglianza e ricognizione).
Per fare tutto questo servono denari e la Cina non lesina. Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) nel 2023 il bilancio militare cinese ha toccato i 225 miliardi di dollari, ma secondo alcune stime la spesa è di molto superiore, fino anche al 3% del Pil (oltre 500 miliardi di dollari). La Cina non pubblica dati dettagliati su arsenali o effettivi, i dati citati derivano dal rapporto Sipri e dal Rapporto annuale del Pentagono sulla capacità militarecinese, entrami relativi al 2023.
Secondo Sipri e Pentagono, l’Epl conta poco meno di un milione di effettivi. La Forza missilistica dell’esercito dispone di un arsenale di oltre 1.200 missili balistici a corto raggio, 200-300 a medio raggio e circa 90 missili balistici intercontinentali, con testate nucleari stimate tra 100 e 400. Tra i missili cinesi si segnala il DF-26, che gli americani chiamano «Guam killer». Presentato durante la parata militare nella capitale cinese il 3 settembre 2015, per il settantesimo della fine della Seconda guerra mondiale, ha una portata di 4.000-5.000 km e può colpire anche la base militare americana di Guam, punto strategico a stelle e strisce nel Pacifico occidentale. La variante successiva del 2020 (DF-26B) è progettata per colpire obiettivi navali in movimento, anche se sussistono dubbi in merito alla reale efficacia di quest’arma.
Anche la Marina militare cinese non scherza: 370 navi, più di qualunque altro Paese al mondo, di cui 140 grandi unità di superficie. Pechino dispone di tre portaerei, la Liaoning, la Shandong e la Fujian (quest’ultima entrerà in servizio tra pochi mesi), mentre una quarta a propulsione nucleare è in costruzione dal 2024. Il Pentagono stima che entro il 2030 la Marina cinese arrivi a sei portaerei. Vi sono poi sei sottomarini di classe Jin, dotati di missili nucleari. Il 1° agosto 2017 è stata inaugurata la prima base militare cinese all’estero, la Base di supporto della Marina dell’Esercito popolare di liberazione, a Gibuti, nel Corno d’Africa. Poi c’è il porto di Gwadar, in Pakistan, un progetto chiave del Corridoio Economico Cina-Pakistan (Cpec), parte della Belt and Road Initiative. Fonti di intelligence occidentali ritengono che Gwadar possa diventare la seconda base militare cinese all’estero, grazie alla sua posizione strategica vicino allo Stretto di Hormuz. Il porto è infatti a 50 km dal confine con l’Iran.
L’aeronautica conta 470.000 effettivi ed è dotata di aerei di quinta generazione (forse anche di sesta), bombardieri strategici e droni avanzati per ricognizione e attacco. Poi c’è il fronte dell’intelligence e della guerra elettronica. La Forza di supporto strategico è il cervello nascosto dell’Epl. Cyberattacchi, guerra elettronica, satelliti spia. Spazio all’intelligenza artificiale e al cyberwarfare, ossia attività offensive e difensive praticate in rete con l’obiettivo di colpire, compromettere o proteggere sistemi informatici, reti, infrastrutture critiche o dati sensibili.
Non è tutto oro (o piombo) quello che luccica, comunque. Il gigantismo dell’apparato cinese oggi rappresenta più un impaccio che un punto di forza. Mancano le competenze nei gradi più alti delle forze armate, mentre la logistica a lunga distanza è un punto debole dell’apparato offensivo-difensivo cinese. Escluse le scaramucce di confine con l’India nel 2020, poi, nessun soldato cinese ha sparato un colpo in guerra dal conflitto sino-vietnamita del 1979, che durò meno di un mese causando la morte di 20.000 cinesi.


