Ieri, in prima serata dopo il Tg1 delle 20, è stato un pezzo da novanta come Bruno Vespa a garantire all’ex numero due della Segreteria di Stato vaticana, il cardinale Angelo Becciu, fresco di condanna a cinque anni e mezzo da parte del tribunale vaticano nel maxiprocesso per la gestione dei fondi della Segreteria di Stato, il palcoscenico per la sua difesa. Intervistato durante la trasmissione Cinque minuti, il cardinale ha esordito con: «Voglio gridare al mondo che sono innocente, che non ho commesso i reati di cui vengo accusato». L’ex numero due della Segreteria di Stato ha poi avuto modo di dare al pubblico della tv pubblica la sua versione su tutte le accuse. Il conduttore ha chiesto al cardinale se il Papa (tirato in ballo più volte da Becciu durante il processo) fosse o meno convinto della sua innocenza. Lui ha risposto: «Io credo e spero di sì e comunque mi darò da fare per dimostrare la mia innocenza: nelle istanze giuridiche e in tutte le maniere voglio gridare al mondo la mia innocenza».
Innocenza, parola ricorrente, che Becciu ha cercato di dimostrare al pubblico della trasmissione scaricando gli investimenti fatti sui tecnici del Vaticano e su monsignor Angelo Perlasca: «Già dal 1929 la Santa Sede, dopo i Patti lateranensi ha iniziato a investire sui palazzi. Londra, Parigi, Roma. È una tradizione che la Santa Sede ha avuto. Inoltre non sono io che ho scelto. Io dovevo seguire 17 uffici. Non avevo tempo per seguire passo per passo le questioni economiche e finanziarie. C’è l’ufficio amministrativo che si occupava delle questioni amministrative e anche degli investimenti. Il capo ufficio, che è il vero responsabile dell’amministrazione, e a quei tempi era monsignor Perlasca, mi presentava i vari dossier. Tra questi il dossier sull’opportunità di investire in un palazzo». «Erano i miei tecnici» ha aggiunto Becciu, «che mi dicevano che era possibile farlo, e che ne veniva fuori un grande vantaggio per la Santa Sede. Non mi avevano presentato grossi rischi». Sui 100.000 euro finiti dalle casse della Segreteria di Stato a quella della Caritas-Diocesi di Ozieri, destinati a una cooperativa gestita da Antonino Becciu, fratello del cardinale, la musica non è cambiata, colpa di altri, che hanno agito a sua insaputa. «I 100.000 euro sono ancora lì nel conto della Caritas. Io ho inviato prima 25.000, su richiesta del vescovo di allora, monsignor Sanguinetti, al fondo Caritas, e poi 100.000 nel 2018 al fondo Caritas. È il vescovo che decide dove utilizzarli. Finora quei 100.000 non sono ancora stati utilizzati», ha infatti risposto Becciu alla domanda di Vespa sulla spinosa questione. Anche sui 570.000 euro finiti nelle casse della società slovena Logsic, riconducibile alla sedicente esperta di intelligence Cecilia Marogna, (condannata a tre anni enove mesi per truffa aggravata in concorso con Becciu), il cardinale ha scaricato ogni responsabilità. Quando Vespa ha parlato dell’uso dei soldi, teoricamente stanziati dal Vaticano per liberare una suora rapita e che invece sono stati utilizzati dalla stessa Marogna, per spese personali e di lusso, Becciu ha negato di esserne a conoscenza: «Questo non lo sapevo assolutamente e se lo avessi saputo non l’avrei permesso». Aggiungendo poi che quei soldi «dovevano essere destinati solo all’operazione di liberazione della suora» e che con il «Papa eravamo d’accordo di finanziare questa operazione».
Sul punto va ricordato che, durante il processo, Becciu aveva tentato di far firmare a papa Francesco dichiarazioni (predisposte dal cardinale) sulla vicenda che avrebbero sostanzialmente avallato quella versione. Il Pontefice però aveva liquidato le pressioni di Becciu mettendo nero su bianco, in una lettera agli atti del processo, «di non poter dar seguito» alla «richiesta». Ieri intanto, dalle colonne del quotidiano La Repubblica, la Marogna, oltre ad aver annunciato che farà appello contro la condanna (e ad aver evidenziato che il reato originario di peculato è stato derubricato), ha sostenuto, come aveva già fatto durante il processo, i 436.000 euro spesi per acquistare, tra le altre cose, borsette di Prada e Louis Vuitton, una poltrona Frau, e cosmetici di Chanel, «magari erano beni destinati a terzi per relazioni importanti». Poi con una certa dose di immodestia ha aggiunto: «Niente di tutto questo è interessato a chi doveva solo cercare di distruggere Becciu e la figura più importante e professionale che gli era al fianco». E quando l’intervistatore le ha chiesto dell’ipotesi che la vedeva come la «mantenuta» del cardinale, la donna ha smentito, salvo poi chiosare sibillina: «Pure se avesse avuto ragione lui, è forse reato essere mantenuti?».




