2019-07-13
Il fascino del peperone ha stregato gli artisti
Scoperto da Cristoforo Colombo ad Haiti, per circa un secolo fu usato come pianta ornamentale. Renato Guttuso lo ha immortalato nelle sue tele, il fotografo Edward Weston lo ha ritratto in bianco e nero. Secondo la leggenda Leonardo da Vinci lo usò per vivacizzare i colori dell'«Ultima cena».È il Brad Pitt degli ortaggi: bello e un po' impertinente, tipico di chi sa d'essere un tipo piacioso. Brad lo sa, il peperone anche. Osservatelo sui banchetti del mercato dove gli ortolani lo piazzano in bellavista o sugli scaffali dei reparti d'ortofrutta nei supermercati. È sull'attenti, petto in fuori, come un corazziere del Quirinale. Prima che il suo destino si compia - fritto, spellato, grigliato, in agrodolce, ripieno, al forno, con i rigatoni, con il pollo, con il merluzzo in cartoccio, o, come lo preferiva Eduardo De Filippo, al gratin - il peperone fa passerella, prestante e splendido splendente nelle sue tre livree d'ordinanza: gialla, verde, rossa.È consapevole di essere speciale. Focosetto di natura, è, però, altruista. Per gli amici che lo apprezzano, si disfa. Letteralmente. Nella peperonata, nella bagna càuda, nel sugo per condire le penne e perfino nel gelato. Chi non ci crede faccia un giretto nella Peperonòpoli d'Italia: Carmagnola. Oltre a visitare la bella città che fu di Francesco Bussone, il celebre e sventurato capitano di ventura cantato da Alessandro Manzoni («S'ode a destra uno squillo di tromba/ a sinistra risponde uno squillo...»), potrà gustare il peperone in tutte le salse e in mille piatti, gelato e dessert compresi. A chi decide di fare il goloso e istruttivo viaggio consigliamo il periodo tra fine agosto e i primi di settembre, per la sagra del peperone, giunta quest'anno alla 70° edizione. Carmagnola in quei giorni è un trionfo di colori e sapori (info: Comune.carmagnola.to.it).È qui, a Carmagnola, la città che regalò l'omonima danza ai sanculotti della rivoluzione francese, che abita Peperon de Peperoni, il megaricco (di vitamina C) e avarissimo (di calorie) ortaggio sbarcato dalla caravella di Cristoforo Colombo più di 500 anni fa. Scrisse il navigatore genovese nel diario di bordo sulle abitudini alimentari dei nativi di Haiti: «I miei uomini vi trovarono molti aji (peperoni) che gli indigeni usano come fossero pepe e che vantano maggiori pregi del nostro, perché esso può considerarsi vera e propria pietanza... Niuno là mangia senza il condimento di questo aroma». La neonata America colombiana, creatura fresca e tutta da scoprire, aveva in bocca il piacevole respiro del peperone. Ma il Vecchio continente aspettò ad affettare nell'insalata quei frutti forestieri: troppo belli e troppo colorati per fidarsene. Non ne conosceva le qualità salutari. Vitamine, betacarotene, antiossidanti non appartenevano ancora al vocabolario della salute. Fu così che il peperone seguì, all'inizio, la stessa strada del cugino pomodoro (stessa famiglia, le solanaceae): fu usato come frutto ornamentale, come un oggetto di design esotico. Ci volle più o meno un secolo perché il «pepe d'India» entrasse nell'alimentazione comune in Europa. Verso la fine del Seicento si conoscevano oltre 30 varietà di Capsicum annum, così lo battezzò Linneo alla metà del 18° secolo prendendo in prestito la parola capsa, scatola (di semi), dal latino. Il pepe è rimasto nel nome della solanacea nonostante agronomi e botanici, con secolare lavoro, le abbiano addolcito il carattere.Carlo Nascia, misconosciuto autore de Li quattro banchetti destinati per le quattro stagioni dell'anno, lo propone alla metà del Seicento in abbinamento con il tacchino. Vincenzo Corrado, vissuto a Napoli tra il Sette e l'Ottocento, ne Il cuoco galante scrive: «Sono i peparoli rustico e volgar cibo, ma sono però a molti di piacere... i quali li mangiono, mentre son verdi, che li friggono, e polverati di sale, o pure cotti sulla brace, e conditi di sale e olio». I pearoni soto asedo, peperoni sott'aceto, è un'antica ricetta della civiltà contadina riportata da Dino Coltro ne La cucina tradizionale veneta. Grazie a un oste veronese dell'Ottocento rimasto anonimo, arrivarono sulle tavole imperiali di Napoleone e dell'imperatore d'Austria.C'entra il peperone con L'Ultima cena dipinta da Leonardo da Vinci a Milano? C'è chi giura di sì, ma senza citare le fonti. L'ipotesi sostiene che Leonardo, sperimentando tecniche nuove, avrebbe utilizzato peperoni secchi e pestati per ravvivare le tinte dei suoi affreschi. Facciamo fatica a crederlo: il Cenacolo fu dipinto tra il 1495 e il 1498, cioè negli stessi anni in cui cominciavano ad arrivare i peperoni dall'America. A rigor di logica temporale è arduo ipotizzarne l'uso da parte sua. L'arte moderna si nutre di peperoni. Renato Guttuso li prelevava dalle trattorie dove pranzava e poi, in studio, li lucidava e li dipingeva: nature morte che sembrano vive, tanto si respira il profumo di quel peperoni che dicono: toccami. Ma se c'è un artista che ha realizzato l'autentico bràgheis vitruviano, puro, semplice e perfetto nelle sue forme di peperone, luminoso anche se in bianco e nero, è l'americano Edward Weston, magico pioniere della fotografia.Originario dell'America, il peperone è, oggidì, una bandiera mediterranea. Sventola su ogni cucina affacciata sul Mare Nostrum. In Italia ogni contrada tra il Monte Bianco e Capo Passero vanta una ricetta diversa, ma troviamo il peperone nella méchouia, l'insalata tunisina fatta con verdure grigliate; nella matbucha marocchina, sorta di peperonata araba; nel gazpacho andaluso; nei piperies ghemistes me feta, i peperoni greci ripieni di formaggio e nei biber dolmasi, i classici peperoni ripieni turchi. Pane, vino, sale e peperoni nei bellissimi versi d'amore del poeta turco Nazim Hikmet: «I giorni son sempre più brevi/ le piogge cominceranno./ La mia porta, spalancata, ti ha atteso./ Perché hai tardato tanto?/ Sul mio tavolo, dei peperoni verdi, del sale, del pane./ Il vino che avevo conservato nella brocca/ l'ho bevuto a metà, da solo, aspettando./ Perché hai tardato tanto?».Ernest Hemingway, in Per chi suona la campana, mette in bocca a un bombarolo rivoluzionario un coniglio preparato con peperoni, piselli e vino rosso. Ci fu chi contestò al Nobel per la letteratura l'accostamento tra i due ortaggi perché nascono in stagioni diverse. Aveva ragione. Probabilmente gli ingredienti giusti erano peperoni e fagioli, ma vogliamo contestare Hemingway per una confusione di legumi? L'importante è che in quel piatto ci fosse il peperone a infiammare il coniglio e il dinamitardo buogustaio.Anche il mondo dello spettacolo è sempre stato ghiotto di peperoni. Delia Scala, nel libro Il cibo dei grandi racconta di aver preparato insieme a Ginger Rogers, dopo uno spettacolo a Bussoladomani, mitico locale della Versilia anni Settanta, un bel piatto di peperoni, aringhe e cipolle per Paolo Panelli, attore comico di gusti davvero forti. Troviamo peperoni nel film Cous Cous di Abdellatif Kechiche, nella Sposa Turca di Fatih Akin, nel divertente Il mio grosso grasso matrimonio greco e nelle peperonate di Martin Scorsese, memore di quelle di mamma Catherine.In Italia il peperone si coltiva soprattutto al Sud, in Sicilia, Puglia, Campania, Basilicata. E poi, da oltre 100 anni, ecco il miracolo di Carmagnola dove al suo povron è stata conferita dal ministero dell'Agricoltura la medaglia del Pat, prodotto agroalimentare tipico, e dall'Europa quella dell'Igp, Identificazione geografica protetta. Il conte di Carmagnola non conobbe il peperone. Visse e morì alle soglie dell'era moderna. Fu fatto decapitare dal doge di Venezia nel 1432 con l'accusa di tradimento, accusa sulla quale la storia non ha mai fatto chiarezza. L'Italia, anche allora come ora, si divise in colpevolisti e innocentisti. A noi che apparteniamo a questo secondo partito piace pensare che il Bussone, dal paradiso dei condottieri, guardi in giù, compiaciuto, le pacifiche e coloratissime schiere di peperoni che ricoprono le sue antiche terre, pronte a marciare alla conquista dei palati.