2018-12-29
Con il vincolo di mandato addio ai voltagabbana
Uno dei problemi con cui i parlamentari devono fare i conti è la scarsa credibilità di molti di loro. Dopo una legislatura in cui si sono visti onorevoli cambiare casacca per due o tre volte, saltabeccando da un partito all'altro, gli italiani infatti credono assai poco alle loro promesse. Cinquecento voltagabbana su mille (questo il dato registrato nel periodo fra il 2013 e il 2018) sono un numero che dovrebbe far riflettere e spingere la stessa classe politica a intervenire per impedire che si registrino altre transumanze. E invece no: parlare di porre un argine al fenomeno, imponendo un vincolo di mandato, ora viene considerata una misura fascista.Di questo pensiero si sono fatti interpreti alcuni dissidenti del Movimento 5 stelle. I quali dicono che vincolarli alle scelte fatte dal gruppo farebbe non solo venir meno la loro indipendenza, ma addirittura farebbe ritornare nell'aula di Montecitorio lo spettro mussoliniano. Guarda caso, tra chi si fa interprete di tutto ciò e si dichiara contrario (...)(...) al vincolo di appartenenza, ci sono parlamentari al secondo mandato, per i quali, in base allo statuto pentastellato, la carriera da deputati e senatori è da considerarsi agli sgoccioli. Partiti dichiarandosi semplici cittadini decisi ad aprire il Parlamento come una scatola di sardine - la definizione è di Beppe Grillo - molti si sono innamorati del ruolo e di ritornare alle attività precedenti (che spesso - quando c'erano - erano misere e certamente non garantivano la notorietà di un posto al sole in una delle due Camere) non hanno alcuna voglia. Perciò si fa largo il desiderio di liberarsi degli impegni presi al momento della candidatura, ossia il versamento di una parte dell'indennità parlamentare e il rispetto del codice che impone di adeguarsi alla linea e alla regola dei due mandati. Quello che fino a ieri era ritenuto un esempio di democrazia, con l'approssimarsi dell'uscita di scena diventa un provvedimento fascista.In realtà il vincolo di mandato, ossia il rispetto di ciò che si è promesso agli elettori (non ai capipartito: a chi ti ha votato) diventa ogni giorno più necessario. Certo, la Costituzione chiarisce che il parlamentare non deve avere alcun vincolo, cioè deve sentirsi libero di poter decidere nell'interesse degli italiani, senza dover essere obbligato a votare come ordina il capo. Tuttavia, questa libertà eretta come argine contro l'invadenza della partitocrazia in realtà si è trasformata nella libertà per il parlamentare di farsi i fatti suoi più che quelli degli elettori. Una volta arrivato a sedersi sullo scranno da onorevole, chi viene eletto si comporta come se non avesse preso alcun impegno, al punto che nel passato abbiamo visto transitare alcuni personaggi da un capo all'altro del Parlamento, divenendo da forcaioli garantisti e viceversa. Addirittura ci fu il caso di un ex missino che divenne sostenitore del primo governo postcomunista, ottenendone in cambio uno strapuntino da sottosegretario. L'andirivieni da un partito all'altro in qualche caso ha assunto aspetti di tale comicità da divenire oggetto di satira, con le inevitabili ricadute sull'immagine dello stesso Parlamento. In certi casi, dato che è prevista la tutela dell'istituzione e il codice penale ancora persegue il reato di vilipendio, dovrebbero essere gli stessi onorevoli a indignarsi e a reagire. Al contrario, i cittadini che volevano cambiare il mondo cominciando dalle aule di Montecitorio e Palazzo Madama, parlano di fascismo. In realtà, c'è più fascismo in chi (per interessi personali) va contro ciò che aveva promesso, di quanto ce ne sia nel chiedere una misura che vincoli al rispetto degli impegni presi.Come abbiamo spiegato, ci sono molte cose del programma grillino che non ci piacciono. Ma se domattina 5 stelle e Lega approvassero la regola del vincolo di mandato, varando una modifica costituzionale, noi saremmo fra i primi ad applaudire. Il provvedimento avrebbe il vantaggio di abolire per sempre un mercato delle vacche che ha reso i governi ricattabili dal Parlamento, regalando all'arbitro - cioè al presidente della Repubblica - il potere di fare e disfare le maggioranze, senza restituire la parola agli elettori.