Bridget incinta di due papà dà una lezione alle femministe

Con l'arrivo in sala del nuovo episodio Bridget Jones's Baby, la saga di Bridget Jones è ormai arrivata alla terza puntata cinematografica e - tra romanzi originali e film - la bionda svampita più famosa al mondo dopo Marilyn Monroe ci accompagna ormai dalla fine degli anni Novanta. Come succede spesso ai bestseller, è la versione cinematografica che marchia a fuoco, nel pubblico e nell'immaginario, personaggi e storie. Quelli di Bridget Jones, probabilmente, non sarebbero diventati immortali se non avessero avuto i connotati di Renée Zellweger, l'attrice americana che, nei panni della catastrofica single inglese, ha rubato a Meg Ryan il titolo di «fidanzatina ideale». Viene da chiedersi se abbia ancora senso - oggi che le donne sono rappresentate anche (purtroppo) da quel femminismo castrante e pedante che pretende di far chiamare «ministra» un ministro come se una vocale fosse qualcosa in più di una mera vocale - il femminismo dolce incarnato da Bridget Jones.

Quindici anni fa Bridget era una trentenne goffa, carnosa e quindi carnale, ma non di certo una fotomodella. Sognava l'Amore con la maiuscola ma cedeva alla corte del capo narcisista e, anziché denunciarlo per molestie - gesto che nel frattempo è diventato virale - quando scopriva trattarsi del solito bugiardone, si licenziava direttamente, pur di non vederlo più. Il contrario di Monica Lewinsky o di una certa pugliese che ebbe la fortuna di avere a che fare con Silvio Berlusconi. Perfino il contrario di Michela Murgia, la scrittrice che nel 2010 diede del «vecchio bavoso» a Bruno Vespa per un semplice complimento al décolleté di Silvia Avallone al Premio Campiello. Il perfetto contrario, cioè, di donne che - nel contenzioso col maschio - invece di lasciar perdere gli fucilano (come direbbe Andrea Camilleri) i cabasisi.

Ormai il femminismo è diventato una specie di versione femminile dell'Isis, ed è proprio per questo motivo che il ritorno di Bridget Jones nel 2016 non solo ha senso. Ma ce n'era vitale bisogno, come dell'ossigeno. Bridget Jones si conferma l'eroina femmina amabile, che pure quando è sfigata la prende sempre con classe e grazia. Vivaddio! Non sappiamo voi, ma noi di scassacabasisi in stile Megyn Kelly - la giornalista Cnn che scatenò l'inferno dell'antisessismo contro Donald Trump - non ne possiamo proprio più.

Bridget è una via di mezzo tra le femmine di Sex and The City e la protagonista di I love shopping, cioè gli altri due monumenti narrativi e cinematografici che costituiscono lo specchio di molte donne contemporanee. Non è figa come le quattro amiche newyorkesi, che hanno più dollari di vestiti addosso che un borghese in banca. Non è figa nemmeno come l'eroina creata da Sophie Kinsella che, seppure affetta da dipendenza dallo shopping, riesce a sposare un bellissimo riccone che la adora e si salva la vita, pur restando una rincoglionita pazzesca.

Bridget è non tanto «una di noi», come recita l'hashtag in uso ormai da mesi sui social per pubblicizzare il nuovo film in arrivo (in sala dal 22). Bridget è, semplicemente, tutte noi. È l'essenza più pura della femmina com'è sempre stata e come dovrebbe essere. E quelle che al posto del cuore, del cervello e della bocca hanno ormai un mitra farebbero bene a studiarla: perché Bridget è una lezione. Di femminilità e di femminismo dolce.

Se nel primo episodio Bridget si fidanzava con Mark Darcy dopo il pacco ricevuto dal capo Daniel Cleaver; se nel secondo ricadeva nelle grinfie di Daniel ma alla fine ritornava «in ginocchio» da Mark; nel terzo episodio Bridget è di nuovo single. La relazione con Mark è (temporaneamente?) franata e tutto lo spirito di questa donna che cade continuamente (ma si rialza sempre, senza rompere i cabasisi, appunto, con la mistica della virago che ce la fa da sola e bla bla bla) è racchiuso in una semplice battuta. Triste e sola sul divano, le parte in faccia, dalla tv accesa, All by myself di Céline Dion, la canzone-lamento (presente anche nel primo film) della donna sola che farebbe suicidare pure un morto. Lei impugna il telecomando e spegne, proferendo solo il commento: «Ma vaffa».

Nel corso del film le capita di tutto: dallo scoprirsi incinta senza sapere se il padre sia il solito Darcy o la new entry maschile interpretata dal bellone di Grey's Anatomy Patrick Dempsey al cadere come un mattoncino del Domino nel fango. Ma lei la prende sempre con quella filosofia del «Ma vaffa», spesso nemmeno pronunciato.

Pensate al tema della donna incinta e in dubbio sull'identità paterna nelle mani di uno sceneggiatore italiano o di un Saviano: ne avrebbero cavato un dramma ottocentesco, una palla di marmo e moralistica che i cabasisi ai maschi sarebbero caduti per autoevirazione. Per Bridget, invece, tutto è fronteggiabile con un'ammirevole pazienza dai risvolti anche comici. È quindi con lei che «Ma vaffa» lo diciamo a tutte le femmine e femministe contemporanee avvelenate, invitandole a scaraventarsi al cinema.

«Forza Italia non fa favori a Mediolanum»
Massimo Doris (Imagoeconomica)
Secondo la sinistra, Tajani sarebbe contrario alla tassa sulle banche perché Fininvest detiene il 30% del capitale della società. Ma Doris attacca: «Le critiche? Ridicole». Intanto l’utile netto cresce dell’8% nei primi nove mesi, si va verso un 2025 da record.


Nessun cortocircuito tra Forza Italia e Banca Mediolanum a proposito della tassa sugli extraprofitti. Massimo Doris, amministratore delegato del gruppo, coglie l’occasione dei conti al 30 settembre per fare chiarezza. «Le critiche sono ridicole», dice, parlando più ai mercati che alla politica. Seguendo l’esempio del padre Ennio si tiene lontano dal teatrino romano. Spiega: «L’anno scorso abbiamo pagato circa 740 milioni di dividendi complessivi, e Fininvest ha portato a casa quasi 240 milioni. Forza Italia terrebbe in piedi la polemica solo per evitare che la famiglia Berlusconi incassi qualche milione in meno? Ho qualche dubbio».

«Oggi nell’Ue non ci sono le condizioni per togliere l’unanimità in Consiglio»
Giovanni Pitruzzella (Ansa)
Il giudice della Consulta Giovanni Pitruzzella: «Non c’è un popolo europeo: la politica democratica resta ancorata alla dimensione nazionale. L’Unione deve prendere sul serio i problemi urgenti, anche quando urtano il pensiero dominante».


Due anni fa il professor Giovanni Pitruzzella, già presidente dell’Autorià garante della concorrenza e del mercato e membro della Corte di giustizia dell’Unione europea, è stato designato giudice della Corte costituzionale dal presidente della Repubblica. Ha accettato questo lungo colloquio con La Verità a margine di una lezione tenuta al convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, dal titolo «Il problema della democrazia europea».

La sinistra si batte per dare gli appartamenti popolari agli stranieri senza lavoro
Ansa
Maurizio Marrone, assessore alla casa della Regione Piemonte in quota Fdi, ricorda che esiste una legge a tutela degli italiani nei bandi. Ma Avs la vuole disapplicare.


In Italia non è possibile dare più case agli italiani. Non appena qualcuno prova a farlo, subito si scatena una opposizione feroce, politici, avvocati, attivisti e media si mobilitano gridando alla discriminazione. Decisamente emblematico quello che sta avvenendo in Piemonte in queste ore. Una donna algerina sposata con un italiano si è vista negare una casa popolare perché non ha un lavoro regolare. Supportata dall’Asgi, associazione di avvocati di area sorosiana sempre in prima fila nelle battaglie pro immigrazione, la donna si è rivolta al tribunale di Torino che la ha dato ragione disapplicando la legge e ridandole la casa. Ora la palla passa alla Corte costituzionale, che dovrà decidere sulla legittimità delle norme abitative piemontesi.

Henry Winkler racconta le follie del passato in «Una storia pericolosa»
Henry Winkler (Getty Images)
In onda dal 9 novembre su History Channel, la serie condotta da Henry Winkler riscopre con ironia le stranezze e gli errori del passato: giochi pericolosi, pubblicità assurde e invenzioni folli che mostrano quanto poco, in fondo, l’uomo sia cambiato.

Il tono è lontano da quello accademico che, di norma, definisce il documentario. Non perché manchi una parte di divulgazione o il tentativo di informare chi stia seduto a guardare, ma perché Una storia pericolosa (in onda dalle 21.30 di domenica 9 novembre su History Channel, ai canali 118 e 409 di Sky) riesce a trovare una sua leggerezza: un'ironia sottile, che permetta di guardare al passato senza eccessivo spirito critico, solo con lo sguardo e il disincanto di chi, oggi, abbia consapevolezze che all'epoca non potevano esistere.

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