
Perchè il nuovo quotidiano economico Verità&Affari.
«Perché un altro quotidiano economico? Non ce ne sono già due?». È una domanda che mi sono sentito rivolgere spesso nei giorni scorsi, quando è cominciata a circolare la notizia che ai primi di aprile sarebbe uscita in edicola la nuova testata Verità&Affari. Curiosamente è la stessa domanda che in tanti mi rivolgevano cinque anni fa. Che senso ha un altro giornale politico d’impronta moderata quando il mercato è presidiato da quotidiani che hanno alle spalle decenni di storia? Come pensi possa sopravvivere una nuova impresa editoriale quando quelle che ci sono già boccheggiano?
La risposta sta nei risultati. Quando, nel settembre del 2016, lanciammo La Verità, ovvero una testata indipendente che prometteva di raccontare i fatti senza farsi condizionare da nessuno, l’iniziativa appariva temeraria. Quasi tutti scommettevano su una chiusura ravvicinata, certi che non avremmo mangiato il panettone. Invece, l’idea di un giornale che non si piegasse agli interessi del proprio editore, ma che avesse a cuore solo quelli dei lettori ha funzionato. Non solo siamo riusciti a sopravvivere in un mare, quello dell’editoria, in tempesta, ma giorno dopo giorno abbiamo guadagnato copie, riuscendo in cinque anni a scavalcare (per vendite) i concorrenti, fino a diventare il quotidiano più diffuso in quell’area moderata che alcuni giudicavano già troppo affollata.
Beh, adesso ci riproviamo. Verità&Affari è un’altra sfida, delle molte che già abbiamo affrontato nella breve vita del nostro gruppo editoriale. Il nuovo quotidiano, che si affianca a quello madre, a Panorama e alle testate che nel corso degli anni abbiamo comprato, ha l’ambizione di raccontare i fatti dell’economia senza censure. La finanza e l’industria spesso contano più della politica. Ma a differenza di ciò che avviene con il governo e con i partiti, quasi mai le decisioni che coinvolgono la vita di milioni di persone sono raccontate per quel che sono. È inutile nascondersi dietro a un dito: se la politica ormai non è in grado di condizionare l’informazione, o per lo meno non lo è se non per i piccoli interessi di carriera che alcuni giornalisti coltivano, l’economia influenza pesantemente organi di stampa e tv. Il potere dei soldi conta più del quarto potere. Anzi, in qualche caso addirittura se lo è comprato. Non è un fenomeno nuovo. Giampaolo Pansa, negli anni Settanta, vi dedicò addirittura un libro, dal titolo inequivocabile: Comprati e venduti. Nel passato Eugenio Cefis, l’uomo che Eugenio Scalfari e Giuseppe Turani incorniciarono nel libro Razza padrona, la stampa se la rese amica finanziandola. Ma prima di lui ci aveva pensato Enrico Mattei, fondando il Giorno. Gli Agnelli avevano la Stampa, poi raddoppiarono con il Corriere, e infine, ceduta la quota del gruppo di via Solferino, hanno rilevato Gedi. Tralascio tanti altri interessi che si intravedono dietro alle quinte, perché l’elenco sarebbe troppo lungo e non ne vale la pena. Se ho citato alcuni casi è solo per far comprendere che la necessità di un’informazione indipendente è più che mai attuale. Qualcuno potrebbe obiettare: hai già la Verità, perché non usi quella per raccontare ciò che accade nel mondo della finanza e dell’industria? Il giornale che dirigo racconta molti retroscena dell’economia, ma aumentare il peso dell’informazione dedicata a questi argomenti significherebbe snaturarne il progetto.
Meglio dunque creare un quotidiano tutto nuovo, affidato alle mani di un collega bravo e capace come Franco Bechis e a una redazione di professionisti pronti ad andare a caccia di notizie. Gli argomenti non mancano. Si va dal Pnrr, piano nazionale di resilienza e ripresa, la cui applicazione e i cui effetti sono tutti da dimostrare, alle grandi questioni che riguardano il mondo imprenditoriale e finanziario. A chi finirà e quanto costerà ai contribuenti Mps? Chi si prenderà Ita, ovvero l’ennesima società nata dal disastro di Alitalia? Che cosa succederà all’Ilva, ora che il prezzo del carbone è salito alle stelle e il piano industriale vacilla? Che ne sarà di Tim, contesa da diversi fondi finanziari senza che né il governo né la Consob abbiano nulla da ridire? E nella guerra tra Francesco Gaetano Caltagirone e Leonardo Del Vecchio da una parte e Mediobanca dall’altra, per il controllo di Generali, chi prevarrà e, soprattutto, qual è il vantaggio per gli azionisti? E Stellantis, cioè il nuovo gruppo nato dalla fusione di Fca con Peugeot, che farà? Dopo il passo indietro degli Agnelli, il suo amministratore ha già fatto capire che gli stabilimenti italiani costano troppo e non si capisce se il discorso serva a preparare la ritirata o a mettere da parte le munizioni per battere cassa e avere altri soldi dallo Stato. E poi ci sono le scalate bancarie, gli esiti dei fallimenti degli scorsi anni (quasi tutti impuniti), le piccole e grandi ruberie, per non parlare delle angherie fiscali e delle normative contro la piccola e media impresa. Sì, per raccontare tutto ciò forse non basta un quotidiano, ce ne vogliono due.
Ed è per questo che nasce Verità&Affari, una testata che promette, con lo stile della casa madre, di non guardare in faccia a nessuno, investitori e non investitori pubblicitari, sempre con un occhio al lettore. Buona lettura dunque, con l’impegno che cercheremo di non deludervi. ma giorno dopo giorno abbiamo guadagnato copie, riuscendo in cinque anni a scavalcare (per vendite) i concorrenti, fino a diventare il quotidiano più diffuso in quell’area moderata che alcuni giudicavano già troppo affollata. Beh, adesso ci riproviamo. Verità&Affari è un’altra sfida, delle molte che già abbiamo affrontato nella breve vita del nostro gruppo editoriale. Il nuovo quotidiano, che si affianca a quello madre, a Panorama e alle testate che nel corso degli anni abbiamo comprato, ha l’ambizione di raccontare i fatti dell’economia senza censure. La finanza e l’industria spesso contano più della politica. Ma a differenza di ciò che avviene con il governo e con i partiti, quasi mai le decisioni che coinvolgono la vita di milioni di persone sono raccontate per quel che sono. È inutile nascondersi dietro a un dito: se la politica ormai non è in grado di condizionare l’informazione, o per lo meno non lo è se non per i piccoli interessi di carriera che alcuni giornalisti coltivano, l’economia influenza pesantemente organi di stampa e tv.
Il potere dei soldi conta più del quarto potere. Anzi, in qualche caso addirittura se lo è comprato. Non è un fenomeno nuovo. Giampaolo Pansa, negli anni Settanta, vi dedicò addirittura un libro, dal titolo inequivocabile: Comprati e venduti. Nel passato Eugenio Cefis, l’uomo che Eugenio Scalfari e Giuseppe Turani incorniciarono nel libro Razza padrona, la stampa se la rese amica finanziandola. Ma prima di lui ci aveva pensato Enrico Mattei, fondando il Giorno. Gli Agnelli avevano la Stampa, poi raddoppiarono con il Corriere, e infine, ceduta la quota del gruppo di via Solferino, hanno rilevato Gedi. Tralascio tanti altri interessi che si intravedono dietro alle quinte, perché l’elenco sarebbe troppo lungo e non ne vale la pena. Se ho citato alcuni casi è solo per far comprendere che la necessità di un’informazione indipendente è più che mai attuale. Qualcuno potrebbe obiettare: hai già la Verità, perché non usi quella per raccontare ciò che accade nel mondo della finanza e dell’industria? Il giornale che dirigo racconta molti retroscena dell’economia, ma aumentare il peso dell’informazione dedicata a questi argomenti significherebbe snaturarne il progetto. Meglio dunque creare un quotidiano tutto nuovo, affidato alle mani di un collega bravo e capace come Franco Bechis e a una redazione di professionisti pronti ad andare a caccia di notizie.
Gli argomenti non mancano. Si va dal Pnrr, piano nazionale di resilienza e ripresa, la cui applicazione e i cui effetti sono tutti da dimostrare, alle grandi questioni che riguardano il mondo imprenditoriale e finanziario. A chi finirà e quanto costerà ai contribuenti Mps? Chi si prenderà Ita, ovvero l’ennesima società nata dal disastro di Alitalia? Che cosa succederà all’Ilva, ora che il prezzo del carbone è salito alle stelle e il piano industriale vacilla? Che ne sarà di Tim, contesa da diversi fondi finanziari senza che né il governo né la Consob abbiano nulla da ridire? E nella guerra tra Francesco Gaetano Caltagirone e Leonardo Del Vecchio da una parte e Mediobanca dall’altra, per il controllo di Generali, chi prevarrà e, soprattutto, qual è il vantaggio per gli azionisti? E Stellantis, cioè il nuovo gruppo nato dalla fusione di Fca con Peugeot, che farà? Dopo il passo indietro degli Agnelli, il suo amministratore ha già fatto capire che gli stabilimenti italiani costano troppo e non si capisce se il discorso serva a preparare la ritirata o a mettere da parte le munizioni per battere cassa e avere altri soldi dallo Stato. E poi ci sono le scalate bancarie, gli esiti dei fallimenti degli scorsi anni (quasi tutti impuniti), le piccole e grandi ruberie, per non parlare delle angherie fiscali e delle normative contro la piccola e media impresa. Sì, per raccontare tutto ciò forse non basta un quotidiano, ce ne vogliono due. Ed è per questo che nasce Verità&Affari, una testata che promette, con lo stile della casa madre, di non guardare in faccia a nessuno, investitori e non investitori pubblicitari, sempre con un occhio al lettore. Buona lettura dunque, con l’impegno che cercheremo di non deludervi.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Da 56 giorni i genitori non vedono i figli. Gli assistenti sociali però non rispondono
«Voglio sapere dove sono i bambini. Sono passati 56 giorni senza vederli. Neppure una telefonata. Non sappiamo come stanno, cosa mangiano, se dormono…». Le lacrime scivolano giù con dignità sul bel volto di mamma Nadya, mentre si siede con noi sulla panca fuori, all’ingresso di casa. Siamo nel bosco di Caprese Michelangelo, piccolo borgo in provincia di Arezzo. «Con mio marito Harald», racconta Nadya, «siamo andati più volte ai servizi sociali. Ci hanno detto che non possiamo vederli perché sono in un luogo segreto. Tutto questo è un abuso. Una violenza che viene fatta a noi e ai nostri figli».
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.














