Il Servizio Sanitario dell'Emilia Romagna ha organizzato il 26 marzo un corso di aggiornamento destinato a tutti i dipendenti del settore pubblico e privato, dal titolo "La nutrizione della popolazione transgender, queer e non binary". Il programma ha coinvolto esperti di rilievo, tra cui il dottor Matteo Marconi dell'Istituto Superiore di Sanità, la dottoressa Alessandra Fisher del Careggi di Firenze, Dario Tedesco dell'Ausl di Parma, il dietista Valentino Osti e l'infermiere Michele Castellaro dell'Ausl di Bologna, la dottoressa Francesca Marchignoli e Maria Cristina Meriggiola dell'Azienda Ospedaliera Universitaria di Bologna, la dottoressa Carolina Poli dell'Università di Bologna e la dottoressa Luisa Zoni del Tavolo regionale sulla sicurezza nutrizionale, oltre a rappresentanti di movimenti e gruppi trans, associazioni Onlus e dello sport.
Ecm (Educazione Continua in Medicina) è un obbligo per il personale sanitario in Italia, che deve acquisire un numero minimo di crediti triennali per mantenere aggiornate le proprie competenze, con l'obiettivo di offrire trattamenti sempre più efficaci e sicuri, senza alcuna discriminazione. Questo obbligo mira a garantire che i professionisti della salute siano al passo con le innovazioni scientifiche e tecnologiche, migliorando la qualità dell’assistenza, dai programmi terapeutici agli esami diagnostici.
Leggendo il titolo dell'evento e osservando i nomi in locandina, sorgono alcune domande. Se tutti gli esseri umani possiedono un apparato gastroenterico che trasforma il cibo in energia e molecole necessarie alla sopravvivenza, perché finanziare un corso specificamente dedicato alla nutrizione di transgender, queer e non binary? La nutrizione riguarda infatti tutti, senza distinzione di genere. L'idea di concentrarsi su questo gruppo per motivi che riguardano la somministrazione di trattamenti farmacologici particolari, come quelli per la disforia di genere, appare curiosa. Perché non considerare anche altri pazienti che assumono gli stessi farmaci, ad esempio, per trattare malattie neoplastiche?
In questo contesto, la regione Emilia Romagna sembra concentrarsi esclusivamente sulla nutrizione di una specifica fetta della popolazione "arcobaleno", mentre altri pazienti che assumono trattamenti simili non vengono presi in considerazione. Questo solleva dubbi sull'approccio di un ente che si definisce inclusivo ma che, in pratica, sembra escludere altre categorie di cittadini dalle stesse attenzioni nutrizionali.
Il progetto "NuTra", che ha portato alla creazione di un ambulatorio per il counseling nutrizionale e l'educazione alimentare per persone transgender, ha come obiettivo la promozione della salute attraverso la ricerca epidemiologica, integrandosi con i servizi ospedalieri e universitari di Bologna. L'accesso al servizio, gratuito e su prenotazione, avviene attraverso tre modalità: su richiesta del medico curante o di altri professionisti sanitari, su richiesta diretta dell'interessato, o con il supporto di un operatore alla pari che fornisce informazioni sull'accesso al servizio.
Non sorprende che la capogruppo di FdI in Regione, Marta Evangelisti, abbia sollevato preoccupazioni chiedendo chiarimenti su questo ambulatorio. La sua interrogazione in Giunta evidenziava la necessità di spiegare le finalità e le modalità operative dell'iniziativa, nonché i costi sostenuti dall'Ausl di Bologna per attuare il progetto.
Nel frattempo, sul sito del progetto NuTra, si legge che l’equipe medica si occuperà di valutare il rischio nutrizionale a 360 gradi, considerando malnutrizione, patologie correlate, disturbi del comportamento alimentare e rischi associati alla terapia di affermazione di genere.
Questa iniziativa sembra contrastare con gli obiettivi dichiarati dall’assessore alla Sanità, Massimo Fabi, che nel suo discorso d’insediamento aveva promesso "obiettivi ambiziosi", nonostante il «definanziamento governativo della Sanità», dichiarando che era «garantire la salute pubblica e universalistica». Tuttavia, oggi in Emilia Romagna, "universalistico" sembra essere solo un termine di facciata, mentre le risorse continuano a concentrarsi su specifiche categorie di pazienti, lasciandone indietro altre.
È da poco iniziato il processo per la morte di Diego Armando Maradona, il calciatore argentino scomparso ufficialmente per una crisi cardio respiratoria (e in completa solitudine), nella sua dimora a San Andres a Tigres, a nord di Buenos Aires, il 25 novembre del 2020.
Sul banco degli imputati siedono il neurochirurgo Leopoldo Luque (che operò il giocatore di calcio argentino al cervello), ma anche la psichiatra Agustina Cosachov che aveva prescritto i farmaci assunti dal fuoriclasse fino al giorno della morte. Ma tra gli accusati di omicidio con dolo eventuale compaiono anche Ricardo Almirón (infermiere), Nancy Forlini (medico svizzero), Mariano Perroni (caposala), Carlos Díaz (psicologo) e Pedro Di Spagna (medico clinico): rischiano tutti una pena da 8 a 25 anni di carcere. Avrebbero dovuto prendersi cura di Diego, invece ne hanno provocato la morte, o comunque non hanno fatto abbastanza per evitarla.
Si prevede un processo show. Anche perché dovranno essere ascoltati circa 192 testimoni. Poi dovranno essere prese in esame perizie mediche, ricette e anche i tabulati dei cellulari per ricostruire le comunicazioni dello staff medico in quei giorni. Ma a lato del processo che dovrà dimostrare le responsabilità intorno alla morte dell’ex numero dieci del Napoli, è ancora aperta la questione ereditaria. In ballo ci sono cento milioni di euro da spartire tra i famigliari, tra cui 5 figli riconosciuti.
Mogli e compagne, figlie e figli da ogni parte del mondo si sono riuniti, dopo la sua morte, per "avere giustizia", dimenticando una volta per tutte i contrasti che li hanno tenuti lontani quando Diego era vivo.
«Guardate, così è morto Maradona», ha esordito il pm Patricio Ferrari davanti ai tre magistrati del tribunale chiamati a giudicare la vicenda. Il procuratore argentino ha sventolato sotto gli occhi dei giudici una delle ultime foto del calciatore, poco dopo l’operazione alla testa. Diego è esanime sul letto, in una casa che è stata definita «degli orrori», dopo un ricovero domiciliare «inadeguato, deficitario e sconsiderato, dove non» sarebbe stato «rispettato nessun tipo di protocollo e dove nessuno ha fatto ciò che doveva fare».
Proprio Ferrari ha concluso la sua arringa, spiegando che «chiunque tra gli imputati affermi che non aveva compreso quello che stava succedendo a Diego sta chiaramente mentendo. Le sue condizioni erano evidenti. La famiglia e il popolo argentino meritano giustizia». Le sue affermazioni si basano su «un anno di indagini e una costruzione solida, senza incongruenze, basata su prove».
E di prove parla, senza mezzi termini, anche il presidente del Trapani Valerio Antonini ai microfoni di Radio CRC, partner della SSC Napoli, nel corso della trasmissione “A pranzo con Chiariello": «Ho delle informazioni che possono provare che Maradona è stato assassinato. Matias Morla ha cercato di mettere le mani sul capitale di Maradona, è lui il vero responsabile di quello che è accaduto... Matias Morla si occupava della scelta del medico e delle strutture su cui Diego si poteva appoggiare. Potrei stare dieci giorni a raccontare tutto quello che ho visto. Cose clamorose».
«Se fossi a un matrimonio con un vestito bianco e arrivasse un pallone infangato, lo stopperei di petto senza pensarci» sosteneva il Pibe de Oro quando doveva spiegare cosa significasse per lui il calcio.
Se il bianco è la somma di tutti i colori della luce, viene da chiedersi allora quale verità potrebbe illuminare questo processo per stoppare finalmente le critiche e le incongruenze varie, a partire dal suo inizio, che dal 2022 è stato spostato già due volte.
Se per il cantautore Francesco Guccini Dio è morto, per i napoletani e gli argentini, con gli occhi fissi ancora sui campi di calcio che hanno visto sfilare il defunto Pibe de Oro e a lui intitolati, il loro Diez non è mai trapassato. Per Napoli vive ancora, nonostante il suo corpo sia stato sepolto accanto a quello del padre e della madre nel cimitero di Jardin Bellavista a Buenos Aires, sotto gli occhi una folla di figli ed estimatori, che per un motivo o per un altro stanno mostrando di voler tenere vivo il suo ricordo ad ogni costo
La Cassazione riconosce l'efficacia probatoria di Whatsapp anche per le indagini fiscali
Con l'ordinanza n.1254 del 18 gennaio di quest'anno e richiamando la sentenza n.11197 pubblicata il 27 aprile del 2023, la Corte di Cassazione ha stabilito che le conversazioni su Whatsapp possono essere utilizzate come prova nei procedimenti civili, compresi quelli tributari, purché siano comprovabili la provenienza e l'autenticità.
«I messaggi Whatsapp e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare - si legge nell'ordinanza - sono utilizzabili quale prova documentale e, dunque, possono essere legittimamente acquisiti mediante la mera riproduzione fotografica, con la conseguente piena utilizzabilità dei messaggi estrapolati da una chat di Whatsapp mediante copia dei relativi screenshot, tenuto conto del riscontro della provenienza e attendibilità degli stessi».
Se salta immediatamente all'occhio che l'antico sintagma «carta canta» non è più il solo a dettare legge in materia di controversie civili, dal momento che le tecnologie informatiche diventano sempre più incisive e fondamentali nelle relazioni sociali di ogni tipo, va messo l'accento su due elementi dell'ordinanza della Corte: la provenienza e l'attendibilità.
Perché un contenuto di conversazione WhatsApp costituisca prova documentale, dunque, devono essere verificabili con certezza il suo autore (provenienza) e l'autenticità dei contenuti (attendibilità).
Se a ciò si aggiunge che con Circolare n.1/2018 la Guardia di Finanza autorizzava l'esame dei dispositivi elettronici durante i controlli fiscali per individuare irregolarità contabili, si ricava che individui, aziende e imprese, attraverso un qualunque loro device, possono essere legittimamente controllabili, verificabili e violabili.
Viene da chiedersi, inoltre, alla luce dei progressi tecnologici sempre più rapidi e sofisticati, quanto siamo discutibili quei concetti di attendibilità e certezza richiamati dalla Corte di Cassazione, e che significato possa attribuirsi alla parola «privacy» oggi.
E ancora, è legittimo dubitare di eventuali "colpi bassi" interpersonali o interaziendali, o internazionali, per intuibili motivi, di fronte a raffinati e futuri impieghi dell'intelligenza artificiale che già ora, in determinate circostanze, ha reso difficile individuare il confine tra effettività e manipolazione?
Se la Corte di Cassazione italiana ha messo le mani avanti, ricorrendo ai termini di «attendibilità» e «provenienza», in un mondo che cambia e ruota vorticosamente attorno all'informatica, un tempo dipendente dal cervello umano ma nel tempo sempre più dipendente da altre intelligenze, è logico preoccuparsi di se, come e perché siano alterabili quella attendibilità e quella provenienza? Inoltre, quale sicurezza posso rivestire le conversazioni, le indicazioni, le direttive, le programmazioni, e tutte le altre azioni comunicate via Whatsapp per i dipendenti di un'azienda, per l'azienda stessa e per i cittadini di un determinato Stato in un momento storico come quello odierno?
Se la carta da sola oggi non è più l'unica a cantare, in che modo si possono prevenire gli effetti di future e/o stonate comunicazioni?
E, infine, alla luce di questi e di altri annessi e connessi a questi interrogativi, chi si pensa possa controllare i controllori? Chi e quando potrebbe essere punibile se responsabile di eventuali azioni fallaci, intenzionali e non?
Se il progresso tecnologico, senza dubbio fondamentale per ridurre i tempi e aumentare gli agi, sostituendo il viso con lo schermo, la penna con la tastiera, l'incontro di persona con la riunione digitale, mostra da un lato sicuramente enormi vantaggi, come quello di regalare in primis il dono dell'ubiquità a tutti, dall'altro potrebbe riservare l'enorme preoccupazione della confusione d'identità, magari con il rischio di pronunce che incolpino con formula piena invece che assolvere: per non aver commesso il fatto.
A quali posteri consegnare l'onere dell'ardua sentenza?





