Francesca Chillemi e Can Yaman (Ansa)
Viola come il mare arriva su Canale 5 tutti i venerdì in prima serata. Al fianco del bel "Gian", la ex miss Italia Francesca Chillemi.
Can Yaman: un nome ripetuto più e più volte, letto sui rotocalchi rosa, fra i titoli di testa delle fiction Mediaset. Can Yaman, con la «C» che suoni a «Gi». Si pronuncia «Gian» quel nome, scelto da genitori albanesi - albanese-kossovaro il padre, albanese-macedone la madre - perché il figlio potesse ambientarsi in Turchia, a Suadiye, nella città di Instanbul. È un nome comune, là, uno fra i più usati. Eppure, in Italia, è arrivato una volta sola, accompagnato da un cognome che si è imparato a conoscere. Yaman è stato ovunque, attore e personaggio e uomo simbolo di un Paese magnetico. È stato pubblicizzato tanto da diventare materia plastica nelle mani di un pubblico che ha potuto plasmarlo secondo esigenze individuali: eroe per qualcuno, icona per altri, oggetto e soggetto di gossip per chi ignori cos’abbia in palinsesto Canale 5. Can Yaman è diventato un fenomeno. Il fenomeno. E Venezia, sul finire dell’estate, lo ha accolto un’altra volta, lasciando presentasse insieme a Francesca Chillemi l’ultima sua fatica di attore.
Viola come il mare, su Canale 5 dalla prima serata di venerdì 30 settembre, dovrebbe essere l’adattamento del romanzo Conosci l’estate?. Un romanzo, quello di Silvia Tanzini, di cui non porta il titolo. Si è scelto di ribattezzarlo, di rendere immediate nelle parole i caposaldi di una storia nazionalpopolare. «Viola», non come il mare ma come la sua protagonista. «Viola», come la capacità rara di associare persone e colori, leggendo nella sovrapposizione involontaria dei sensi i sentimenti altrui. Viola come il mare, ambientata nella Palermo che è crocevia di popoli, non terra di mafia e luoghi comuni, è il racconto di una donna e del suo dono. Sinestesia, dovrebbe essere chiamata in gergo tecnico la peculiarità di Viola Vitale, migrata da Parigi alla Sicilia per lavorare come giornalista. Se n’è accorta presto di avere questa capacità, un regalo che la Natura assegna a pochi. Se n’è accorta, senza darsi un perché. Da dove venga, cosa comporti è un assillo costante, materia di una ricerca personale. Viola Vitale, che avrebbe dovuto - voluto, forse - scrivere di moda e design, si propone di dare un senso alla sua sinestesia, spiegarla su base scientifica. Perché lei e non altri? Se lo chiede spesso, nelle sei serate della fiction Mediaset. Ma l’elaborazione di una risposta non è cosa lineare. È interrotta, inframmezzata dallo sviluppo atipico della sua vita professionale. Non s’è trovata a scrivere di moda, Viola Vitale. È finita presa nel circolo della cronaca nera, costretta a lavorare fianco a fianco con l’ispettore capo Francesco Demir, Can Yaman, appunto.
Yaman nella fiction è quel che il gioco richiede, l’opposto complementare di Viola Vitale. È ombroso, un donnaiolo, scorbutico, a tratti. Le sta accanto con simulata fatica, non pronto a credere che possa dargli un qualche aiuto nella risoluzione di omicidi e crimini. Francesco Demir si fida poco, Viola Vitale troppo, e in questa loro diversità - come spesso accade in fiction e vari - si consuma un’attrazione fatale. Irresistibile. Un’attrazione che permette a Viola come il mare di valicare i generi televisivi, un po’ crime story, un po’ commedia romantica. Un’attrazione che permette a Can Yaman di far leva sul dualismo del proprio personaggio, il personaggio Yaman, oggetto delle fantasie di una fanbase che si è data il nome di «yamanine».
Can Yaman, che in Italia è arrivato come attore, portato in grembo da produzioni turche, ha costruito il suo successo su strade parallele: la recitazione, da un lato, dall’altro, l’illusione che tra personaggio e persona potesse esserci una qualche continuità. Era quel che si vedeva, sembrava dire, chiunque poteva conoscerlo. Yaman si è vestito da principe del popolo, umile, fedele, capace. Su Instagram, ha messo insieme dieci milioni di follower, un esercito di «yamanine» che solo il caso Leotta ha fatto vacillare. Ha coniugato televisivo e paratelevisivo ottenendo una compenetrazione tale fra le due dimensioni da rendere pressoché impossibile ogni (vera) possibilità di comprensione. Dove inizi il personaggio e finisca la persona, quale e quante somiglianze ci siano tra l’attore e i ruoli interpretati, è diventata materia criptica. Un mistero. Ogni «yamanina» ha in merito un’opinione propria. E poco importa, oggi, stabilire se l’opinione sia giusta, se sia più o meno prossima alla verità. Perché è sull’esistenza stessa di quell’opinione, sul dibattito che gli orbita attorno, che Yaman ha costruito la versione italiana del proprio successo.
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