È «plausibile» che il territorio iracheno in cui un caporal maggiore colpito nel 2018 da un linfoma non Hodgkin aveva operato con il contingente italiano durante l’operazione Prima Parthica sia stato sottoposto a una «contaminazione di metalli pesanti». Lì in passato furono usate con frequenza armi a «uranio impoverito». Con queste motivazioni i giudici del Tar del Piemonte hanno annullato con rinvio la decisione del ministero della Difesa di non concedere l’indennizzo per causa di servizio. Le toghe amministrative hanno spiegato che la materia è regolata da una «inversione della prova», ovvero è l’amministrazione (e quindi il ministero della Difesa) che deve dimostrare l’assenza di un nesso con il contatto con le sostanze nocive.
Il caporal maggiore si era fermato in Iraq dall’agosto del 2017 fino all’aprile del 2018. Era un componente del nucleo operativo interforze che addestrava la polizia irachena. Al suo rientro aveva accusato i primi malesseri. E quando gli è stata diagnosticata la malattia ha presentato l’istanza per chiedere al ministero, che aveva servito, il riconoscimento della causa di servizio. Sebbene il ministero abbia ricostruito le sue mansioni come istruttore in Iraq, avrebbe ignorato un rapporto dal quale emergerebbe l’esposizione ai metalli pesanti. Una coraggiosa segnalazione (puntualmente disattesa) era stata effettuata anche dal generale Roberto Vannacci: «Riscontravo che l’intero contingente, per tutto il periodo precedente al mio ingresso in teatro operativo, era stato continuativamente esposto all’uranio impoverito senza che alcun provvedimento di prevenzione e mitigazione dei rischi fosse stato attuato fino alla data dell’8 maggio 2018».
I giudici del Tar del Piemonte ora riconoscono che le «condizioni di impiego» in Iraq «impongono di ritenere che il militare, impregiudicate le pur significative precauzioni assunte dall’Esercito, possa essere venuto a contatto con agenti inquinanti presenti nell’aria e nel suolo in ragione dei bombardamenti avvenuti negli anni e dell’esposizione massiccia a numerosi composti». E il ministero della Difesa non avrebbe «ricostruito» in modo corretto «i presupposti di fatto del beneficio indennitario invocato dal ricorrente, svolgendo un’istruttoria che non può considerarsi esaustiva». Ed ecco il verdetto: «Il verificarsi» della malattia «costituisce condizione sufficiente per l’accesso agli strumenti indennitari (non già al rimedio risarcitorio), salvo che l’amministrazione militare non fornisca prova del fatto che la patologia contratta dal militare dipenda da altri fattori esogeni dotati di autonoma, esclusiva e determinante efficacia eziologica». I ministeri dell’Economia e della Difesa ora dovranno riaprire e approfondire il caso.



