L’accordo sul trattato pandemico non c’è stato, è stato respinto il tentativo di limitare la sovranità statale. Non sono stati concessi pieni poteri all’Organizzazione mondiale della sanità riunita a Ginevra, enorme rischio più volte segnalato dalla Verità, né è stato riconosciuto «il ruolo centrale dell’Oms, quale autorità di indirizzo e coordinamento del lavoro sanitario internazionale, nella prevenzione, preparazione e risposta alle pandemie», nonché nel «generare prove scientifiche».
È un successo. E poco importa, visto il risultato ottenuto, che il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, abbia dichiarato: «La decisione di concludere l’accordo pandemico entro il prossimo anno dimostra quanto fortemente e urgentemente i Paesi lo vogliano, perché la prossima pandemia è una questione di quando, non se».
Il trattato è rimasto lettera morta, i desiderata di Ghebreyesus per i mesi a venire non cambiano la fiera opposizione di dare all’Oms «poteri senza precedenti», come hanno denunciato anche 24 dei 50 governatori americani. Un fallimento, quello dell’Assemblea a Ginevra, solo in parte ridimensionato dal blitz degli emendamenti al Regolamento sanitario internazionale (Ihr), approvati all’unanimità all’ultimo momento, ma che ogni singolo Stato ha comunque dieci mesi di tempo (a partire dalla chiusura dell’Assemblea) per approvare o rifiutare.
Anche l’Italia deve rigettare esplicitamente (in parte o totalmente) le modifiche, rispettando il termine stabilito e con motivazione, altrimenti il nuovo Ihr entrerà in vigore automaticamente pure nel nostro Paese. Certo, gli emendamenti approvati non sono di poco conto, si incide sull’aspetto costituzionale della singola nazione e ci vorrebbe una ratifica del Parlamento, ma lo statuto dell’Oms non lo contempla.
La definizione di emergenza pandemica è una pessima base di partenza, perché si applica a un’emergenza sanitaria pubblica di rilevanza internazionale causata da una malattia trasmissibile «che ha, o corre il rischio elevato di avere, un’ampia diffusione geografica verso e all’interno di più Stati; supera, o corre il rischio di superare, la capacità di risposta dei sistemi sanitari in tali Stati; sta causando, o è ad alto rischio di causare, sostanziali sconvolgimenti sociali e/o economiche, del traffico e del commercio internazionali; e che richiede un’azione internazionale coordinata rapida, equa e rafforzata, con approcci che coinvolgano l’intero governo e l’intera società».
Tutto ipotetico, poco supportato da numeri, casi, allarmi concreti. In questi termini, anche un virus stagionale più aggressivo del consueto dovrebbe far scattare l’asticella dell’emergenza pubblica «di rilevanza internazionale e le relative misure adeguate indicando «prodotti sanitari rilevanti» che possono includere «medicinali, vaccini, strumenti diagnostici, dispositivi medici, prodotti per il controllo dei vettori, dispositivi di protezione individuale». Vaccini e mascherine sempre pronti all’uso.
Non solo. Ogni Stato deve istituire un’autorità nazionale di riferimento per il Regolamento sanitario internazionale che coordinerà «l’attuazione delle misure sanitarie previste», in costante collegamento con l’Oms. In ogni caso, ci dovrebbe essere un comitato di controllo che puntualmente riferisce all’Organizzazione mondiale «con i mezzi di comunicazione più efficienti disponibili ed entro 24 ore dalla valutazione delle informazioni sanitarie pubbliche, di tutti gli eventi che possono costituire un’emergenza sanitaria pubblica di rilevanza internazionale».
E come farlo, se non in una condizione di continua allerta proprio come chiedeva l’Oms nel suo trattato non approvato, che però rientra dalla finestra. «Ciascuno Stato parte dovrà sviluppare, rafforzare e mantenere le capacità fondamentali», è l’emendamento aggiunto, «stabilendo e mantenendo un piano di emergenza per l’emergenza sanitaria pubblica, così da non farsi trovare impreparato». Tenersi pronti a nuovi, aggressivi virus senza abbassare mai la guardia, questo ci chiedono Ghebreyesus e tutti gli alti funzionari dell’agenzia Onu.
Significative sono le misure di controllo indicate, per prevenire la diffusione nazionale e internazionale di un evento che può avere un grave impatto sulla salute pubblica. Non solo sorveglianza, assistenza logistica, sviluppo e/o diffusione di linee guida per la gestione dei casi clinici e la prevenzione e il controllo delle infezioni; così pure un collegamento operativo diretto con alti funzionari sanitari «per approvare rapidamente e attuare misure di contenimento e controllo», ma anche «comunicazione del rischio, compresa la lotta alla cattiva informazione e alla disinformazione».
Ci risiamo con il controllo dell’informazione, ritenuto obiettivo strategico per «coordinare le attività a livello nazionale e supportare i livelli locale e intermedio, ove applicabile, nella prevenzione, preparazione e risposta a rischi ed eventi per la salute pubblica». Emendamenti da rispedire al mittente.



