Quanti libri sono usciti sui lupi in questi ultimi dieci anni? Trent’anni fa il lupo era scomparso dagli spazi dell’arco alpino. Oggi per fortuna è tornato, sconfinando dalla Francia e dalla Slovenia: d’altronde si sa, questi «pericolosi infiltrati sovversivi» non rispettano mai i confini degli Stati. Il lupo ha iniziato a riconquistare i boschi e le wilderness di un ecosistema ultrapopoloso, le Alpi, dove raramente lo sguardo può distendersi su territori privi di abitazioni, borgate o centri abitati. La marea ondeggiante del turista metropolitano e padano che i fine settimana e le vacanze comandate rifluisce e defluisce in una direzione, o nell’opposta, non facilita il ritorno di un animale selvatico che ogni giorno ha bisogno di decine di chilometri di spazio vitale.
In Piemonte è attivo un centro dedicato proprio alla «cultura» del lupo, il Centro faunistico Uomini e Lupo di Entracque (Cuneo), dove vivono sette lupi che per varie ragioni non potrebbero vivere in libertà, e dove esiste un museo e si monitora la situazione dei lupi attualmente presenti in Regione.
Quando componevo, 20 anni fa, i primi appunti dedicati agli alberi e al rapporto uomo-albero, ricordo di essermi imbattuto nelle storie degli ultimi lupi abbattuti a inizio Novecento, dunque un secolo addietro, nelle regioni del Nord Ovest. Una lupa era stata uccisa in Valle d’Aosta e un’altra sulle montagne del Cuneese. Con loro apparentemente, nel respiro breve della storia che siamo in grado di abitare, terminava un conflitto che risaliva alla notte dei tempi e che poneva su due lati distinti di un’ipotetica barricata le due specie. Ma gli eventi e gli accidenti della storia ci hanno riportati a una nuova coabitazione tutt’altro che idilliaca e facile un secolo più tardi: un migliaio di lupi, poco meno, vive sull’arco alpino italiano. Sono tanti? Sono pochi? Di sicuro c’è che il conflitto è ritornato nelle pagine dei giornali: le notizie di attacchi alle greggi e agli animali allevati dalle persone aumentano, e purtroppo anche i casi di umani che si fanno giustizia a modo loro, uccidendo singole bestie. Le Regioni iniziano a legiferare su un tema praticamente sconosciuto in precedenza, quantomeno da quando l’Italia è entrata a far parte del novero delle nazioni democratiche.
Il ritorno del lupo nelle Regioni settentrionali ovviamente è un argomento rilevante, e non soltanto per coloro che operano, ciascuno a proprio modo, per veder tornare quella natura selvatica che l’antropizzazione crescente e dilagante aveva rimosso o spinto al di fuori dei propri confini. Studi scientifici, viaggi, perlustrazioni, ricerche antropologiche e ovviamente problematiche di convivenza hanno prodotto molte pubblicazioni, convegni e iniziative. Tra i libri ricordo ad esempio La via dei lupi di Carlo Grande (Ponte alle Grazie), Il tempo dei lupi di Riccardo Rao (Utet), Nelle terre dei lupi di Mia Canestrini (Piemme), I figli del bosco di Giuseppe Festa (Garzanti) o Il cane, il lupo e Dio di Folco Terzani (Longanesi), magnificamente illustrato da Nicola Magrin. E se parliamo di film come non ricordare L’ultimo lupo di Jean-Jacques Annaud che fu un successo internazionale una decina di anni orsono? A tutto questo patrimonio ora si aggiunge Nelle tracce del lupo, un libro da poco sugli scaffali nelle librerie grazie a Ediciclo, curato da Davide Sapienza e Lorenzo Pavolini, e ispirato al fortunato e seguitissimo podcast omonimo di Raiplay Sound Original. La prefazione è stata vergata dallo scrittore montagnardo Matteo Righetto.
Non poteva mancare a inizio libro, come citazione in esergo, un estratto dalle commoventi Lettere a un lupo di Giuliano Scabia, pubblicate quando il poeta visionario e teatrante in costante cammino era ancora tra noi, per i tipi di Casagrande (nella mia biblioteca hanno un loro posto d’onore ben due copie del libro): «O lupo, caro lupo - forse insieme, / studiando le nostre menti, / riusciremo a capire chi sei, e chi siamo». Purtroppo «chi siamo» lo diamo per scontato, per acquisito, per certo e doveroso; di chi sia «il lupo» invece forse nemmeno ci importa, poiché può essere anzitutto se a noi piace, se a noi fa comodo, se noi lo tolleriamo e accettiamo. E qui nasce il grande millenario tema della complessa convivenza tra noi e le altre specie del pianeta.
In questi ultimi due anni Sapienza e Pavolini hanno indagato la situazione italiana. Hanno girato diverse Regioni incontrando coloro che per varie ragioni si occupano del lupo e della sua nuova diffusione. Sono stati ad esempio in Abruzzo, laddove il lupo non si è mai allontanato: «La storia abruzzese è un discorso mai interrotto, la chiave per capire meglio la natura del rapporto più armonioso, meno isterico, con i grandi predatori, l’orso e il lupo». Forse non tutti i lettori sanno che in territorio appenninico il lupo non si era estinto, come invece è avvenuto nelle Regioni dell’arco alpino; qui il lupo, sebbene drammaticamente diminuito a specie a rischio estinzione, è sopravvissuto, e se negli anni Settanta veniva contato in poche centinaia, oggi il suo popolo ha ripreso vigore e supera i 3500 esemplari in Italia.
Nelle tracce del lupo raccoglie dunque alcuni viaggi e racconti, tra osservatori e guardiacaccia di territori anche distanti tra loro: il Vicentino, la Lessinia, Pescasseroli e il Parco nazionale d’Abruzzo, le Prealpi lombarde («Qui le reazioni sfiorano l’isteria»), il Piemonte e la Valle d’Aosta, o meglio i territori del Gran Paradiso. Ovviamente si toccano anche la storia e la letteratura, grazie al dialogo tra gli autori e Riccardo Rao, già citato in precedenza ma anzitutto docente di storia medioevale all’ateneo di Bergamo, l’autrice Irene Borgna, la guardia forestale Luca Giunti e altri preziosi naturalisti disseminati tra le pagine. Gli autori recuperano il pensiero di Aldo Leopold, quel «pensare come una montagna» per tentare di diventare montagna e dunque ragionare, sentire, vedere come una montagna, quale condizione ecologica, psicologica e culturale opportuna per rispettare quella natura che ci piace così tanto evocare e richiamare, anche per attrarre turisti, e che poi però continuiamo a pensare come ci piace e ci interessa, ovvero completamente a nostra disposizione. Certo, nel libro mancano le voci contrarie: forse sarebbe stato utile anche sentire alcuni di coloro che hanno paura, difficoltà, che abitando e lavorando in questi territori si trovano dalla parte dei pastori, degli allevatori e anche di coloro a cui in fondo se il lupo ci sia o meno proprio non interessa affatto. Ma che cosa si può pretendere da un libro di 130 pagine? E dunque leggiamo di queste storie: per fortuna possiamo ancora raccontarcele.