I due sono accusati di «rifiuto d’atto d’ufficio» nel cosiddetto Nigeriagate, un processo che ha portato sul banco degli imputati i vertici dell’Eni, sospettati di aver pagato tangenti per 1 miliardo di dollari pur di accaparrarsi lo sfruttamento di un giacimento petrolifero, ma poi assolti con sentenza definitiva. È da quel giudizio che originano i guai di De Pasquale, aggiunto della Procura milanese e noto per molte inchieste da prima pagina contro i potenti di turno. Infatti, durante il dibattimento, che in primo grado durò tre anni, sono emerse testimonianze dubbie, perché alcuni dei testimoni usati dai pm non soltanto sembravano essere stati imbeccati, ma addirittura parevano essersi messi d’accordo per incastrare gli imputati. In aula si ascoltarono una serie di deposizioni strampalate, con alcuni personaggi di cui non erano certi neppure l’identità e il ruolo nella vicenda. Perfino i giudici a un certo punto parvero spazientirsi. Tuttavia, arrivati alla fine delle udienze emisero una sentenza netta: il fatto non sussiste. La tangente del secolo inseguita per anni dai magistrati milanesi guidati da Fabio De Pasquale per il tribunale non era altro che una bufala. Un verdetto motivato, al punto che la stessa Procura generale, invece di proporre appello, rinunciò al secondo grado ritenendo che quel processo non meritava neppure di essere fatto, tanto era privo di elementi per sostenere l’accusa.
Già questo dovrebbe indurre qualcuno a chiedersi come vengano spesi i soldi dei contribuenti, perché nessuna indagine è gratis, ma se poi oltre agli accertamenti si chiede il rinvio a giudizio e dopo anni si scopre che il fatto non sussiste, qualcuno dovrebbe tirare le somme. Non dico che dovrebbe farsi carico delle spese sostenute inutilmente, ma per lo meno assumersene la responsabilità e prendere sulle proprie spalle anche le conseguenze.
Ma come dicevo, da quell’inutile processo originano i guai di De Pasquale e del suo collega Spadaro. Infatti, nelle pieghe del dibattimento si è scoperto che i pm non avevano depositato alcuni elementi di prova favorevoli alle difese. Nella fattispecie, un video in cui uno dei testimoni parlava liberamente dell’intenzione di incastrare i vertici dell’Eni, per non dire poi della manipolazione di alcuni messaggi telefonici. In pratica, i magistrati avevano le prove che almeno un teste stava mentendo, ma invece di scagionare gli imputati a quanto pare hanno deciso di andare avanti, continuando a sostenere l’accusa. Non è finita. Un altro magistrato, collega di De Pasquale, avendo ricevuto le confessioni dei testimoni farlocchi e avendole valutate per quel che erano, insisteva per iscriverli nel registro degli indagati con l’accusa di aver calunniato un certo numero di persone, ma curiosamente a questo passaggio non si arrivò mai, probabilmente perché avrebbe fatto crollare il castello di carte che De Pasquale e il suo collega avevano pazientemente costruito. Di qui l’accusa di aver rifiutato un atto d’ufficio, reato che si può in parole povere tradurre come occultamento delle prove a favore degli imputati.
E qui sta il punto che vi voglio sottoporre. Premesso che qualsiasi cittadino e dunque anche un magistrato è innocente fino a che non si sia giunti a una sentenza definitiva, il tema riguarda l’opportunità di lasciare che un pm accusato di aver nascosto importanti indizi a favore degli indagati resti al proprio posto, continuando a fare quel che ha fatto, cioè rappresentare l’accusa. Come si sentirà un cittadino che finisce indagato? Forse la domanda è più facile se si pensa a un paziente che è costretto a sottoporsi a un intervento chirurgico: quale sarà il suo atteggiamento se sa che a operarlo è un medico fresco di rinvio a giudizio per un intervento sbagliato? Certo, De Pasquale è innocente fino a che non ne sia dimostrata la colpevolezza con una sentenza definitiva, ma è opportuno che sia lui a reggere l’ufficio che indaga sui reati internazionali? Io penso di no. E credo che come me la pensino anche tante toghe. In fondo, non erano alcuni di loro a teorizzare che la politica dovrebbe intervenire prima della magistratura, chiedendo a chi è indagato un passo indietro? E allora perché ciò che vale per un deputato non vale per un pm il cui potere è infinitamente più grande?