2022-04-09
Il Pd piazza pedine e si pappa la Rai mentre arriva il bavaglio per i talk
Dario Franceschini (Imagoeconomica)
Da Gianrico Carofiglio a Marco Damilano, i dem fanno il pieno di fedelissimi in vista delle urne. E con la scusa della guerra, la Vigilanza stila i «precetti» per i dibattiti televisivi: in sostanza, un veto sugli ospiti per eliminare il dissenso.Nella mia Rai i partiti non bussano più». A modo suo Carlo Fuortes ha ragione. Trincerato a viale Mazzini come Davy Crockett a Fort Alamo, l’amministratore delegato rifiuta le chiamate di tutti i partiti tranne quelle del Pd. Per fare prima ha scelto i suoi punti di riferimento: Enrico Letta, Dario Nardella (rapporto personale) e Dario Franceschini. La poltrona per Marco Damilano arriva da quella sponda, con intervento supplementare di Romano Prodi. L’ex direttore dell’Espresso ha colto la palla al balzo sfruttando con perizia il desiderio del Nazareno di piazzare giornalisti graditi in ogni angolo del palinsesto in vista di una stagione decisiva. Macché guerra d’Ucraina o recrudescenze virali, arrivano le elezioni: a giugno le amministrative più referendum sulla giustizia e nel 2023 le politiche. Meglio dislocare le batterie anticarro.Mentre dopo quasi un anno il responsabile Rai per la Lega, Alessandro Morelli, non ha ancora ottenuto un appuntamento (lui e i rappresentanti degli altri partiti devono rivolgersi ad Antonio Funiciello, capo di gabinetto di palazzo Chigi) Fuortes ha porte aperte e spiccate attitudini da signorsì per il mondo dem. Ha tenuto duro su Damilano nonostante i malumori interni (è l’ennesimo esterno sotto contratto pur con 1.700 giornalisti in casa), il no del centrodestra («troppo schierato») e il parere negativo perfino dell’Usigrai. Non ha obiettato neppure davanti a un palese errore editoriale: la striscia su Rai 3 andrà a confliggere con il Tg2. L’ad si nega con tutti ma con molto piacere ha accolto anche Gianrico Carofiglio - ex senatore del Pd ed ex magistrato, inventato politicamente da Walter Veltroni e oggi punto di riferimento delle «Agorà democratiche» di Letta - come conduttore del talk Dilemmi, sei puntate il lunedì in seconda serata su Rai 3 a partire dal 2 maggio. Opinioni contrapposte (staremo a vedere) con il giochino dell’orologio degli scacchi per fermare il tempo ai parolai. Il riassetto serve anche a salvaguardare la narrazione radical-progressista e il pensiero unico governativo. A differenza dell’invasione di Vladimir Putin, questa è dolce, non aggressiva e passa dalla porta di Rai 3, la rete più in difficoltà. Telekabul va male, il Tg ha perso fino al 9% nell’edizione delle 19 e due settimane fa il comitato di redazione ha vergato un comunicato durissimo contro la direzione di Simona Sala, arrivata a novembre in quota piddo-grillina, con critiche sulla gestione degli inviati a Kiev, sull’utilizzo intensivo dei freelance e sull’organizzazione redazionale. In questo scenario, il direttore di rete Franco Di Mare è impegnato in una guerra di posizione con Bianca Berlinguer. E sarà così fino a giugno quando le rubriche passeranno agli Approfondimenti, sotto l’ombrello ecumenico di Mario Orfeo. Dopo avere silurato Mauro Corona, ora Di Mare vorrebbe che la figlia di Enrico Berlinguer rinunciasse al pluralismo nel suo talk Cartabianca a favore di un’omologazione del pensiero, di un appiattimento culturale sulle tesi di un improbabile Letta con lo Stetson da John Wayne. Così, prima il sociologo della Luiss Alessandro Orsini non si paga, poi non si invita proprio per evitare che dica banalità del tipo: «Un bambino è più felice sotto la dittatura che sotto le bombe». Uscito barcollante da due anni di pandemia, il giornalismo in Rai ha la pelle sottile e non ammette diversità di opinioni oltre lo storytelling draghiano, il rosso e il rosè renziano. Pura autocrazia televisiva.A Saxa Rubra c’è un fastidio evidente nei confronti di chi non è allineato. A tal punto da indurre la commissione di Vigilanza a proporre nuove regole per scoraggiare «l’effetto pollaio» e «uscire dal format delle tifoserie» come suggerisce il presidente Alberto Barachini (Forza Italia). L’obiettivo è perfino nobile, ma in questi casi vale l’emendamento Nicola Porro: «Chi dice che i talk vanno ripensati lo fa solo per far fuori i conduttori che non gli piacciono». I cinque precetti del buon approfondimento sembrano diktat; solo chi è sopraffatto dalla sindrome Picierno (se non la pensi come me devi stare zitto) non lo vede. Li presentiamo con doveroso contrappunto. 1 Ospitare persone di comprovata competenza (chi lo decide se non il conduttore?). 2 Garantire la rotazione delle presenze per favorire la pluralità delle voci (ma tanti ospiti con la stessa idea formano un coretto conformista).3 Privilegiare le ospitate a titolo gratuito (poi agli amici si fanno contratti come autori). 4 Evitare la rappresentazione teatrale degli opposti e delle contraddizioni (senza opposti il rischio di omologazione è assicurato. 5 Garantire la veridicità delle notizie e delle fonti (ormai sono fake news quelle che non piacciono al Palazzo). L’impressione è che, adottando simili parametri, si finisca direttamente dentro il magico mondo di Fabio Fazio, dove il pensiero unico è un giardino fiorito percorso da ospiti anestetizzati dall’incenso cattodem.La direttorissima Monica Maggioni voluta da Mario Draghi e con solidi agganci al Quirinale non poteva rimanere estranea al ricambio tattico delle poltrone: anche al Tg1 è partito lo «scaravoltone», termine che a lei piace in modo particolare. Dalla redazione tematica degli Speciali (che confeziona Tv Sette, Speciale Tg1) sono scomparse la vicedirettrice Maria Luisa Busi e la caporedattrice Alessandra Mancuso, in malattia o aspettativa dopo divergenze con il vertice. Ma a fare le spese dell’operazione Epuration è stato soprattutto lo storico vicedirettore Filippo Gaudenzi, figura istituzionale riconosciuta anche all’esterno, da 15 anni motore della complessa macchina redazionale. Non gli è stato rinnovato l’incarico, accantonato come un vecchio soprammobile. Ha un unico difetto, non indossa magliette politiche.
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)
A Fuori dal coro Raffaella Regoli mostra le immagini sconvolgenti di un allontanamento di minori. Un dramma che non vive soltanto la famiglia nel bosco.
Le persone sfollate da El Fasher e da altre aree colpite dal conflitto sono state sistemate nel nuovo campo di El-Afadh ad Al Dabbah, nello Stato settentrionale del Sudan (Getty Images)