Facebook apre il primo negozio fisico per immergersi nel metaverso

Sorpresa: il mondo digitale del metaverso avrà un suo negozio fisico, dove comperare tutti gli ammennicoli, visori, occhiali speciali eccetera, necessari per poter navigare nell’universo virtuale.
L’idea è di Facebook, che sul metaverso ha una strategia forte, e 10 miliardi da investire, tanto da aver cambiato il suo nome in Meta. Così il fondatore Mark Zuckerberg ha deciso di aprire, il prossimo 9 maggio, il primo Meta Store al mondo, uno spazio fisico e reale, a Burlingame, in California. «Nel Meta Store – recita un annuncio della società– potrai fare esperienza pratica sui nostri prodotti hardware». Nello store ci saranno demo interattive, si potranno effettuare videochiamate con rivenditori associati con Meta Portal e scoprire i prodotti. Come gli occhiali Ray-Ban, dato che proprio il patron di Luxottica oggi Essilux, Leonardo del Vecchio è stato tra i primi ad incontrare e dar fiducia a Zuckerberg su questo fronte. La società sta anche pensando a un unico negozio, ma questa volta online, dove effettuare tutti gli acquisti necessari alla navigazione nel metaverso.
DOVE SI TROVA
Il Meta Store ha una valenza strategica dato che è situato nei pressi del quartier generale dei Reality Labs, costati circa 3 miliardi di dollari, dove Meta sta realizzando il suo Metaverso. Servirà per definire la strategia di vendita al dettaglio e non è detto che in futuro apriranno, nelle città più importanti, altri Meta Store, come già accaduto con gli Apple Store o i Lenovo Store. Quanto ai conti trimestrali appena sfornati, Meta è riuscita a rassicurare gli investori aumentando gli utenti di Facebook, il maggior social network al mondo, che, nel trimestre precedente, aveva visto ridursi il numero di utenti per la prima volta da quando è stata quotata a Wall Street nel 2012. Gli utenti giornalieri attivi dell’ultimo quarte 2021 erano passati da 1,93 a 1,92 miliardi. Ma oggi sono aumentati, sfiorando 1,96 miliardi. Bene anche gli utenti mensili attivi, cresciuti da 2,91 a 2,93 miliardi. Quanto ai conti in aumento i ricavi del 7%, pari a 27,9 miliardi di dollari, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, ma c’è stato un calo del 21% dell’utile netto, che comunque è pari nei tre mesi a oltre 7 miliardi di dollari.
Su questo fronte pesano gli investimenti per la costruzione del metaverso ma anche le modifiche alla privacy del sistema operativo Ios di Apple per la cessione dei dati degli utenti, che hanno portato a mancati ricavi per il 2021 pari a 10 miliardi, e l’immancabile Tik Tok, il social network che piace agli utenti più giovani e che per questo è una spina nel fianco anche di Google e Netflix. Meta si è detta soddisfatta della crescita dei Reel, i video di breve durata introdotti sul suo video social, Istagram, che risultano però poco appetibili per gli annunci pubblicitari. E poi ci sono le perdite legate allo sviluppo del metaverso. I Reality Labs hanno ricavi pari a 695 milioni di dollari, il 30% dei quali viene dalle vendite dei visori Quest 2, a fronte di 3,7 miliardi di dollari di spese per gestione e investimenti. Il 55% dei costi sono legati ai dipendenti, che sono, per i laboratori della realtà virtuale, circa 17mila. Ieri Meta ha guadagnato in Borsa il 17% circa a 204 dollari ad azione, lontana dal massimo a 379 dollari fatto segnare a luglio dello scorso anno.
Autore della famosissima immagine V-J Day in Times Square, ad Alfred Eisenstaedt (1898-1995), fra i fotografi di punta della rivista Life, il Centro Italiano per la fotografia di Torino dedica una mostra (sino al 21 settembre 2025) di oltre 170 scatti che ne ripercorrono l’intera carriera, dagli anni Trenta al 1990.
I siti che espongono le donne all’insaputa non riaffermano il dominio maschile, ma rivelano un vuoto: uomini incapaci di relazione, che cercano conferma solo nello sguardo degli altri, trasformando l’intimità in merce pubblica.
Sen. Susanna Donatella Campione Componente commissione giustizia e femminicidio
In questi giorni si parla molto dei siti e dei gruppi come “Mia moglie” e Phica.eu, luoghi virtuali in cui venivano condivise immagini di donne fotografate all’insaputa delle dirette interessate, con lo scopo di commentarne volgarmente l’aspetto fisico ed esplicitare fantasie sessuali triviali.
Colpisce, prima di tutto, che tali gruppi fossero aperti e accessibili a chiunque. Nessuno degli iscritti sembrava provare imbarazzo, né percepire il disvalore sociale e morale di simili pratiche. È l’ennesima conferma di come l’avvento dei social abbia reso obsoleto il concetto di riservatezza, che pure la nostra Costituzione eleva a diritto inviolabile. Oggi ogni momento della vita quotidiana può diventare pubblico: nascite, atti sessuali, tradimenti, scene imbarazzanti, nulla è più custodito. Persino ciò che un tempo gli uomini condividevano di nascosto, foto o filmati osé, viene ora esibito senza pudore.
È sparito il “segreto”, che aveva un valore protettivo, come i segreti industriali tutelano un’invenzione. È sparita la “vergogna”, la cui etimologia latina “verecundia” richiama il rispetto e il timore, la parola discrezione appare ormai un termine desueto che evoca scenari arcaici. Tutto si consuma rapidamente e sotto gli occhi di tutti.
Molti osservatori spiegano questo fenomeno come una nuova manifestazione del patriarcato. Eppure, a ben vedere, nessun patriarca avrebbe mai esposto la propria moglie al pubblico ludibrio. Certo, si potrebbe dire che aveva altri strumenti per esercitare dominio e controllo sulle donne ma non le avrebbe certamente rese oggetto di scherno collettivo o esposte ai commenti volgari di altri uomini.
Qui non siamo di fronte a una riaffermazione del patriarcato e tantomeno del machismo.
Al contrario. Gli uomini che hanno condiviso quelle immagini non hanno esercitato alcun potere sulle proprie compagne, ma hanno mostrato una vera e propria dipendenza dall’immagine femminile. Una dipendenza che non si traduce in relazione, ma in surrogato: incapaci di rapporti reali con donne reali, cercano conferma solo attraverso lo schermo.
A un’analisi più attenta emerge qualcosa di ancora più radicale: non mascolinità, ma il suo opposto. L’obiettivo reale non è il corpo delle donne ma lo scambio di sguardi, battute e approvazioni tra maschi.
E’ il meccanismo che scatta negli scambi di coppia. L’uomo patriarcale non trae gratificazione dal giudizio di altri uomini sul corpo femminile, soprattutto se quel corpo appartiene a una donna alla quale è legato, anzi di quel corpo vuole l’esclusiva e reagisce se altri tentano di guardarlo o toccarlo. Nelle società patriarcali il corpo delle donne viene coperto proprio per sottrarlo totalmente agli sguardi di altri uomini. Non c’è alcuna possibilità di condivisione di quella donna, al contrario tutti gli uomini vengono esclusi dal contatto, anche visivo, con lei.
La condivisione di immagini delle proprie mogli sui siti web non è quindi patriarcato ma l’espressione distorta di una fluidità che non si accetta e viene negata e repressa.