Dopo aver fatto danni a Firenze Renzi ha lasciato il conto a Nardella

I più comprensivi la buttano su una battuta: «Fare il sindaco dopo Renzi è come fare il marito dell'ex moglie di Rocco Siffredi». Ridono tutti nel bar dell'Isolotto. Ma c'è poco da ridere. Dario Nardella è l'ennesimo sindaco della città che tutto avrebbe voluto fare fuorché questo mestiere. Che sarà anche il più bello del mondo, come diceva Renzi, che però mentre pronunciava la promessa di matrimonio con Firenze brigava e puntava le terga di Enrico Letta per prenderne il posto.

I più realisti, invece, sono certi che Nardella abbia già esaurito il bonus e se Renzi resterà dov'è - almeno al vertice del Pd - fra tre anni il sindaco sarà sicuramente un altro. Tre anni sono un'eternità in politica, però è difficile pensare che la città del premier possa continuare così. E soprattutto che il premier tolleri il regime di malumore che vive la sua gente.

Alla Festa dell'Unità nel parco della Cascine lo hanno accolto bene, semplicemente perché qui sopravvivono i retaggi del vecchio Pci e sono più di quanto si immagini i simpatizzanti che ancora usano obbedire tacendo. Ma in tanti erano estranei alla claque e scuotevano la testa in silenzio mentre ascoltavano le solite battute e gli slogan ormai stantii. Come l'esibizione di confidenza: «Cara Marzia, ciao Valeria, caro Dario...», per far vedere che si sentiva a casa. Però sono già lontani i tempi in cui Renzi era considerato il vanto di Firenze. Oggi la tendenza si è invertita. Renzi è un re Mida alla rovescia. Ha esagerato. E Nardella è rimasto con il cerino in mano. Certo bisogna chiedersi quante colpe sono da attribuire alla sua mollezza (questa è l'opinione diffusa fra i fiorentini: «Troppo debole») e quante al passaggio di Renzi, delle cui trombonate è rimasto vittima.

Ricordate? «Sono l'unico sindaco in Italia che ha abbassato le tasse», si vantava Renzi. Una fissazione, quella delle tasse, anche ora che è premier. Troppo facile da annunciare ma difficile da realizzare. Infatti mentre cantava vittoria per aver diminuito di un impercettibile 0,1 per cento l'addizionale Irpef, era costretto a recuperare da altre parti, immaginandosi impossibili guadagni dalle multe. Oggi chiedete al povero Nardella se e come riesce a far quadrare il bilancio. Si fa presto a dimenticarsi che dopo essere stato il vicesindaco e «maggiordomo» del Granduca, il tenero Dario si è trovato a gestire tutti i problemi che il suo predecessore aveva furbescamente accantonato durante il mandato.

E ora Nardella si prende i ceffoni che avrebbe meritato Renzi. Una seconda linea della tramvia congelata per quattro anni, che ha dovuto far ripartire con cantieri e disagi; il destino della Tav: si è scavato inutilmente, perché il percorso forse sarà in superficie; un nuovo stadio per la Fiorentina proposto da Diego Della Valle: Renzi si è tenuto alla larga perché c'era un'inchiesta giudiziaria che ronzava intorno; il termovalorizzatore, che sembrava cosa fatta e di cui invece si continua a discutere. Tutto questo - e molto altro - è sulle spalle di Nardella.

Se il buon governo si dovesse misurare dai passi avanti nello sviluppo urbanistico compiuti negli anni renziani, potremo dire che Firenze non si è mossa di un millimetro. Renzi si è attribuito la paternità di opere concepite in passato (la prima linea della tramvia, il nuovo teatro dell'Opera) salvo la promessa, strappata al governatore della Toscana Enrico Rossi in cambio del via libera alla sua ricandidatura, di realizzare una seconda pista dell'aeroporto di Peretola. Che comunque galleggia ancora fra i veti incrociati.

Siccome Nardella non aveva già abbastanza guai, è arrivato SuperMatteo in soccorso della sua città promettendo mezzo miliardo per completare le opere incompiute. Che sono parecchie e che - è bene ricordare - sono tali dai tempi di Renzi sindaco, benché il Grande Imbonitore ne avesse vaticinato la felice conclusione: come il recupero del complesso dell'ex convento di Sant'Orsola e la rinascita della Fortezza da Basso destinata a diventare il polo fieristico che la città aspetta da decenni. Se poi i finanziamenti dovessero fare la stessa fine di quelli annunciati per il G7 del 2017, che Renzi aveva promesso a Firenze e che invece si farà in Sicilia, allora è facile immaginare che la responsabilità ricadrà sul tenero Dario.

Diciamo insomma che il premier non dà una mano a Nardella. Quando è crollato il lungarno Torrigiani, davanti agli Uffizi, per via di un tubo dell'acqua rotto, scatenando un putiferio di disagi e di veleni, si è materializzato sul luogo del disastro Luca Lotti, mandato dal premier a controllare. Un commissario? O il successore già designato? Come afferma impietoso qualcuno, se Renzi si ritiene un cocomero, il sindaco è una ciliegia. Però ci mette del suo nel mostrare il nocciolo. Prendiamo l'ultima polemica che mobilita i fiorentini, cioè l'invasione dei venditori abusivi, che stazionano, con i loro tappetini, nelle piazze più belle. Quello che più irrita è l'ignavia dei vigili urbani, che arrivano senza fretta e lasciano ai venditori il tempo di riporre la merce, salvo poi tornare a esporla quando il pericolo è passato. Il commento più frequente è sarcastico: «Ma il sindaco non ci passa mai da piazza Duomo?». Perché è lì, e in piazza Santa Maria Novella, che si concentra il mercato illegale. I commercianti sbottano: «Mentre noi italiani siamo tassati al 70 per cento, questi vendono in nero e le istituzioni stanno a guardare».

I cittadini protestano in tutti i modi ma il Comune è un muro di gomma. Sentite il racconto di una signora che non sa più a che santo votarsi: «Qualche sera fa sono andata in centro con mio marito, dopo cena, io sulla sedia a rotelle: non siamo riusciti ad attraversare piazza Duomo perché il selciato era totalmente occupato dai venditori abusivi. Non mi sono ribellata, ma ho telefonato al call center del Comune e sa che mi hanno risposto? “Ha fatto bene a non protestare, perché avrebbe messo a rischio la sua incolumità..."». L'accoglienza va bene, ma anche una città come Firenze, che è cosmopolita e ha tradizioni di tolleranza, non ne può più. Ha trovato il gusto di riscoprire la concittadina Oriana Fallaci, a cui negò l'intitolazione di una strada perché guerrafondaia e troppo anti mussulmana, e se la prese con un gruppo di somali che aveva occupato lo spazio fra i Battistero e il palazzo della Curia. Nardella ha rimediato, dieci anni dopo la sua morte, dedicandole una piazza e in qualche modo riconoscendo la lungimiranza nell'aver avvertito il pericolo islamico.

Ma la misura è colma, tanto da prendere come una inopportuna provocazione la mostra dell'artista cinese Ai Weiwei, che in questi giorni ha fatto incorniciare con dei canotti rossi le finestre del rinascimentale Palazzo Strozzi. Secondo Nardella è «un'installazione di forte valore che interroga il mondo sul dramma dei migranti». Molti fiorentini invece sono arrabbiati: è uno scempio, che fa il paio con la gigantesca Tartaruga di Jan Fabre, da giugno in mezzo a piazza della Signoria. Qui non c'è solo il dualismo fra arte contemporanea e classica, che a Firenze non trova mai una sintesi. È molto di più. È la stanchezza di sopportare l'arrivo di una nuova civiltà, che se non è l'Eurabia paventata dalla Fallaci, ormai poco ci manca. È la paura di chi non si sente più padrone della sua città. Come quel signore che mentre guarda i gommoni appesi a Palazzo Strozzi, scuote la testa: «Nessuno ricorda che siamo i custodi di un “heritage" e che custodire vuol dire preservare un patrimonio di cultura e civiltà. Anche se tu volessi rimbiancare la facciata del Duomo. Andate a fare arte all'Isolotto oppure a Novoli, sapientoni! Anche i talebani e l'Isis buttano giù il loro passato per far posto al loro moderno profeta...».

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