
I costi per vendere attraverso il metaverso di Facebook
Come pensa Facebook, che ha recentemente cambiato nome in Meta, di monetizzare l’universo virtuale che è in fase di realizzazione nella sua app Metaverse Horizon Worlds? L’iniziativa, che consentirà ai creator di questi oggetti virtuali di venderli, è in fase di test riservato a un ristretto numero di sviluppatori. Secondo quanto riportato da Nft Twitter, Meta vorrebbe chiedere una percentuale del 47,5% su ogni transazione di oggetti Nft comperati sulla sua piattaforma.
Per ogni articolo venduto in Horizon Worlds, dunque un 30% va a Meta tramite la piattaforma Oculus (il visore che permette di vedere gli oggetti in tre dimensioni) mentre il 25% dell'importo rimanente sarebbe destinato al Meta App Store. È più della commissione del 30% dell'App Store, spesso criticata perché troppo alta, imposta da Apple e molto più di quella a cui sono abituati i trader Nft. Su questo fronte infatti il mercato OpenSea prende il 2,5% su ogni transazione mentre i creator in genere prendono tra il 2,5% e il 7,5%.
Da sottolineare che gli oggetti che Meta vuole vendere non sono token non fungibili. Sono più simili alle skin e alle animazioni che si possono attualmente acquistare in giochi come Fortnite. Il metaverso che Meta sta costruendo è in competizione comunque con altri che sono cripto-nativi perché realizzati sulla blockchain (come le valute) tipo Sandbox e Decentraland, dove gli oggetti che li popolano sono Nft proprietari.
Ma cos’è un metaverso? Secondo alcuni è qualsiasi mondo digitale frequentato da grandi gruppi di persone: come Second Life o persino giochi come World of Warcraft. La domanda è se la prossima evoluzione del fenomeno, guidata da Facebook, ossia dalla più grande società di social media del mondo, debba essere "chiusa" o "aperta". Sandbox, ad esempio, è un mondo aperto integrato nella blockchain e attualmente composto da 166.464 blocchi di terreno virtuale che possono essere acquistati e utilizzati come proprietà del mondo reale. I creatori replicano oggetti esistenti nel mondo reale, che vendono utilizzando il Sand, la criptovaluta nativa che può essere scambiata con la crypto ethereum. Che a sua volta può essere scambiata con moneta reale.
Per qualcuno comunque la commissione richiesta da Facebook è una buona notizia perché spingerà i creator di oggetti verso metaversi aperti come Sandbox e Decentraland. C’è comunque da sottolineare che su Sandbox si vendono anche beni virtuali molto cari. E quindi una commissione del 5% è molto alta quando l'oggetto venduto è un appezzamento di terreno da 4,3 milioni di dollari, rispetto al taglio del 47,5% di Meta di un costume da 10 dollari.
I sostenitori delle criptovalute affermano che l'acquisto di un oggetto nel mondo come Nft consente di possederlo veramente: puoi venderlo, scambiarlo o tenerlo come investimento, proprio come gli oggetti della vita reale. Meta mira dunque a replicare alcuni di questi vantaggi. «Sarà importante – ha affermato recentemente l’ad Mark Zuckerberg – avere la possibilità di vendere beni virtuali e portarli da un mondo all'altro». Non c’è dubbio che sul metaverso ci sono grandi aspettative. Facebook ha cambiato il suo nome in Meta per riflettere questa convinzione e l’ad della società di chip per videogames, Nvidia, ritiene che l'economia del metaverso sarà più grande di quella del mondo reale. L’incertezza però regna sovrano e c’è grande aspettativa sul metaverso di Facebook, Horizon Worlds. In passato Meta aveva detto che gli Nft sarebbero stati integrati in modo limitato nel suo metaverso ma, a quanto pare, la strategia è mutata anche perché la società sta lavorando su un nuovo progetto di valuta mondiale basata proprio su Nft.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Da 56 giorni i genitori non vedono i figli. Gli assistenti sociali però non rispondono
«Voglio sapere dove sono i bambini. Sono passati 56 giorni senza vederli. Neppure una telefonata. Non sappiamo come stanno, cosa mangiano, se dormono…». Le lacrime scivolano giù con dignità sul bel volto di mamma Nadya, mentre si siede con noi sulla panca fuori, all’ingresso di casa. Siamo nel bosco di Caprese Michelangelo, piccolo borgo in provincia di Arezzo. «Con mio marito Harald», racconta Nadya, «siamo andati più volte ai servizi sociali. Ci hanno detto che non possiamo vederli perché sono in un luogo segreto. Tutto questo è un abuso. Una violenza che viene fatta a noi e ai nostri figli».
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.














