Bruxelles calpesta il voto degli ungheresi e punisce il «regime ibrido» di Budapest. Nello stesso tempo prepara un regolamento per cui, in caso di crisi, imporrà alle aziende fornitori e clienti. Verrebbe limitato fortemente anche il diritto di sciopero. Intanto il vicepresidente della Commissione, Valdis Dombrovskis, entra a gamba tesa sulle elezioni italiane. Smentendo persino Paolo Gentiloni.
Volete vedere un bue che dà del cornuto all’asino? Andate a Bruxelles. Troverete un’Europa che, con la solita scusa delle emergenze, è intenta a sbianchettare il diritto di sciopero dei cittadini, ma nel frattempo accusa l’Ungheria di non essere una vera democrazia.
Questo è il verdetto emesso ieri dal Parlamento Ue: il Paese guidato da Viktor Orbán, secondo la maggioranza degli eurodeputati, sarebbe un «regime ibrido di autocrazia elettorale». Un «sistema costituzionale in cui si svolgono le elezioni ma manca il rispetto di norme e standard democratici». Una «minaccia sistemica» ai valori europei. I quali, evidentemente, coincidono con quelli degli ottocenteschi padroni delle ferriere. Stando alle accuse della Confederazione europea dei sindacati (Ces), infatti, un nuovo regolamento, pensato dalla Commissione per garantire le forniture di beni e servizi essenziali in periodi di crisi internazionali, comprometterebbe la libertà di incrociare le braccia.
Ecco i fatti. Con 433 voti favorevoli e 123 contrari, l’Europarlamento ha approvato una relazione che contesta ai magiari di aver violato i principi fondamentali dell’Ue. Il Paese, sostengono gli onorevoli, meriterebbe l’attivazione della cosiddetta «opzione nucleare», prevista dall’articolo 7 del Trattato sull’Unione europea: a Budapest andrebbero ritirati i diritti di adesione, tra cui quello di votare in sede di Consiglio. Qualunque tentennamento di Bruxelles equivarrebbe, a sua volta, a «una violazione del principio dello Stato di diritto». Tanto più che, per intervenire, non occorre l’unanimità degli Stati membri.
Il premier ungherese non è un asso nel rabbonire gli eurofustigatori. Su gas e sanzioni ai russi, ha agito in aperto contrasto con la politica suicida della Commissione - sì alle tasse, sì ai razionamenti, no al price cap. Orbán, al contrario, ha siglato accordi con Mosca per ulteriori forniture da Gazprom. Sarà una cifra dei regimi «ibridi»: si vede che le autocrazie nutrono istinti di sopravvivenza e le democrazie sono affette da cupio dissolvi.
Budapest ha avuto gioco facile nel replicare al voto dell’Europarlamento: «Un insulto nei confronti degli ungheresi, che hanno eletto questo governo già quattro volte», ha tuonato il ministro degli Esteri, Peter Szijjarto. Vive proteste pure da Fratelli d’Italia. Il partito «ha espresso voto negativo sulla relazione», basata «su opinioni soggettive e affermazioni politicamente distorte», cui «si aggiunge la richiesta alla Commissione di continuare a bloccare i fondi del Next generation Eu destinati all’Ungheria, in violazione dei regolamenti che prevedono tale ipotesi solo in caso di rischi di violazione dello Stato di diritto connessi all’utilizzo di quei fondi».
La frustata a Orbán, comunque, viene schioccata in un momento peculiare. Da un lato, a Bruxelles piangono per la democrazia vilipesa dall’autocrate magiaro. Dall’altro, si preparano a comprimere il diritto di sciopero.
Una lettera, indirizzata a Thierry Breton, commissario al Mercato interno, e Nicolas Schmit, commissario agli Affari sociali, dal segretario generale della Ces, l’italiano Luca Visentini, ha difatti espresso «forti preoccupazioni» che il nuovo regolamento, denominato Single market emergency instrument (Smei), condizioni l’esercizio di «diritti sindacali fondamentali, specialmente quello di intraprendere azioni collettive, inclusi il diritto o la libertà di scioperare».
La proposta legislativa, che sarà presentata dall’esecutivo comunitario lunedì, introdurrebbe misure in grado di preservare la supply chain nei settori economici strategici, in caso di guerre e pandemie. Nei tempi normali, Commissione e Stati membri dovrebbero istituire un sistema di allerta precoce, individuando settori, beni e servizi indispensabili ed esposti a potenziali interruzioni nelle forniture. Al sopravvenire di «significativi incidenti», su iniziativa unilaterale, l’esecutivo Ue potrebbe poi attivare un sistema di vigilanza, disporre la creazione di riserve strategiche, spingere i Paesi Ue a elaborare inventari dei beni essenziali e le imprese a fornire informazioni sulla loro reperibilità. Se lo scenario si aggravasse, scatterebbe il piano emergenza, con l’accordo del Consiglio. Verrebbero impediti lo stop all’export intra Ue di beni e servizi fondamentali e il blocco della libera circolazione dei lavoratori titolati a produrli e distribuirli. Inoltre, l’Ue potrebbe obbligare le aziende a privilegiare certi fornitori e certi ordini: una ditta farmaceutica, ad esempio, potrebbe essere costretta a consegnare i vaccini prima all’Europa.
E gli scioperi? Il punto, lamenta la Ces, è che verrebbe abrogato il regolamento del 1998. Esso, pur finalizzato ad «assicurare e proteggere la libera circolazione dei beni nel mercato interno europeo», precisava che non avrebbe inficiato «l’esercizio dei diritti fondamentali, incluso il diritto di sciopero». Bruxelles casserebbe, senza ripristinarla, quella tutela. Cosa impedirebbe alla Commissione, si chiedono i sindacati, di attribuire allo Smei il potere di rendere illegali, col pretesto delle crisi, le proteste dei lavoratori?
Il sospetto, insomma, è che le conquiste di civiltà restino appese al buon cuore dei boiardi Ue. Tanto bravi a vedere le autocrazie nell’occhio degli avversari, quanto incapaci di scorgere l’involuzione dispotica nel proprio. Nell’era delle emergenze permanenti, il metodo di governo è il socialismo di guerra: meno docce, meno caloriferi e meno soldi a chi si ribella alle riforme. È il tragico destino che, 232 anni fa, previde il filosofo Edmund Burke: «L’età della cavalleria è finita. Quella dei sofisti, degli economisti e dei contabili è giunta; e la gloria dell’Europa giace estinta per sempre».
Ps: sapete a cosa pensa la Cgil italiana, mentre i sindacalisti europei si battono per il diritto d’incrociare la braccia? Alla Serbia che vuole cancellare il gay pride. All’operaio tolgono lo sciopero e in cambio gli danno un altro operaio...