In Parlamento il primo giorno si è presentato con i gambali da contadino. Non si capisce se per rappresentare i braccianti di cui è stato a lungo sindacalista (e che ha abbandonato non senza qualche polemica per dedicarsi alla politica) o per evitare di sporcarsi le scarpe con il fango della politica. Sta di fatto, che a rischiare di finire nel pantano ora è lui, Aboubakar Soumahoro, giovane deputato della Repubblica, fresco di nomina nelle liste di Europa Verde, le cui moglie e suocera sono finite al centro di un’inchiesta della Procura di Latina con l’accusa di aver sfruttato, spesso senza pagarli, dei migranti.
Brutta storia per uno che ha impostato tutta la sua carriera politica in difesa dei profughi e contro il caporalato: fossero vere le denunce presentate ai pm da esponenti di un sindacato vorrebbe dire che Soumahoro i caporali li aveva in famiglia e non c’era bisogno di spingersi lontano per trovarli.
Nato in Costa d’Avorio, il deputato della sinistra è da anni la bandiera dei diritti dei braccianti. Giunto in Italia giovanissimo, nel 2010 si è laureato alla Federico II di Napoli con una tesi sul mercato del lavoro in cui si prestava particolare attenzione all’impiego degli extracomunitari nei campi. Ma la tesi è stata anche il suo trampolino di lancio per ergersi a paladino dei migranti sfruttati. Infatti, dieci anni fa organizzò la marcia dei Sans papier, ovvero degli stranieri senza permesso di soggiorno, chiedendo che potessero circolare liberamente in Europa e poi, dopo l’assassinio di Soumalia Sacko, bracciante e sindacalista ucciso a fucilate in Calabria, l’istituzione di un comitato nazionale contro il caporalato. Dalla rubrica ottenuta a seguito del delitto di Sacko sulle pagine dell’Espresso, si è occupato spesso delle condizioni di lavoro degli extracomunitari in Italia, accusando di sfruttamento il sistema agroalimentare. E dunque, dopo anni di lavoro nel Comitato agricolo dei sindacati di base, nel marzo del 2021 annunciò il suo passaggio alla politica, con la Comunità invisibili in movimento. Obiettivo: promuovere «il progressismo trasformativo». Inutile dire che appena messo piede alla Camera, Soumahoro si è subito distinto per un discorso contro il nuovo governo, in cui dichiarò che l’Italia non aveva bisogno di sovranismo egoistico, isolazionista, classista e fomentatore di caccia alle streghe, ma di un sovranismo relazionale, internazionalista, ambientalista, pacifista, democratico e basato sul rispetto dei diritti umani, manco fossimo nel Sudafrica dell’apartheid o nella Cina di Xi Jinping.
Quando il presidente del Consiglio provò a rispondergli le scappò un tu, rivolgendosi a Soumahoro senza far precedere il suo cognome dal titolo di onorevole e subito la platea dei compagni insorse, quasi Giorgia Meloni lo avesse insultato. A un certo punto, per essersi contrapposto al premier, qualcuno ha perfino pensato che fosse l’uomo giusto al posto giusto per un partito morente come il Pd. «Sarebbe la nostra Giorgia Meloni», pare abbia detto Matteo Orfini, uno che non sbaglia un colpo e che è passato da portaborse di Massimo D’Alema a compagno di giochi di Matteo Renzi rimanendo sempre attaccato alla poltrona nonostante il Pd stesse sprofondando. «Difficile contrapporgli qualcuno di sinistra», sembra sia stato il commento di Andrea Orlando, altro capocorrente del partito. Uno che se ne intende come Claudio Velardi, anche lui al seguito di D’Alema prima e Rosa Russo Jervolino poi, invece è stato ancor più esplicito: «La persona più sveglia che circola dalle vostre parti è Aboubakar Soumahoro. Viene dal mondo reale, ha energie da vendere e sa comunicare. Candidate lui, altro che i vostri sepolcri imbiancati che discutono del nulla». Sarà, ma il fango che l’ex sindacalista mostrò entrando a Montecitorio con gli stivali all’altezza del polpaccio (immagine che ha mandato in deliquio il popolo della sinistra, che ormai i contadini li vede solo in fotografia) con l’indagine di Latina rischia di salire.
Già nei mesi scorsi alcuni suoi compagni gli chiesero conto dei soldi raccolti in nome dei braccianti e che avrebbero dovuto servire per aiutare le persone delle baraccopoli e invece si sarebbero volatilizzati. Soumahoro reagì dicendo che si voleva mettere in dubbio la sua integrità morale e minacciò querela. Ora l’inchiesta che ha richiamato l’attenzione sulla moglie e sulla suocera, entrambe a capo di cooperative in cui sono impiegati lavoratori extracomunitari, rischia di inzaccherare per davvero i gambali. Secondo una denuncia, alcuni ragazzi impiegati nelle cooperative sarebbero stati maltrattati e lasciati senza luce e acqua e pure senza stipendio. «Non c’è cibo né ci sono vestiti», avrebbero detto alcuni minorenni costretti a lavorare gratis. Ma poi ci sarebbero anche un giro di fatture sospette e tanti soldi erogati come contributi a fondo perduto, ma che non sarebbero mai arrivati ai migranti impiegati, tanto che all’appello mancherebbero 400.000 euro. Soumahoro si difende, anche perché il suo nome nell’inchiesta non c’è. Ma quello di sua moglie e della suocera ci sono e dunque, visto che il giorno della sua nomina dichiarò in Parlamento che i lavoratori stranieri «non dovranno più essere intrisi dal fango dell’indifferenza e dello sfruttamento», forse farebbe bene a chiarirci fino a dove il fango dello sfruttamento sia arrivato. Non sia mai che si trovi la melma anche nelle scarpe della moglie.