Gli studi sulla sicurezza dei vaccini sono carenti: parola degli scienziati. Non quelli che registrano più interviste che brevetti; non quelli che, a colpi di 2.000 euro a ospitata tv, chiedono di far pagare il ricovero ai malati «no vax»; non quelli che, anziché nei laboratori, passano le giornate a insultare i «sorci» sui social. Lo dicono quattro luminari associati a importanti atenei e centri di ricerca americani: la Johns Hopkins, la Emory University, l’università della Pennsylvania, la task force sulla salute globale della Brighton collaboration. E ci mettono nome e cognome, parlandone sul prestigioso New England journal of medicine, dove un pezzo dal titolo asettico, «Finanziare la scienza della sicurezza vaccinale post autorizzazione», contiene affermazioni di enorme rilevanza. Tanto più per l’Italia, dove l’emendamento Borghi ha riaperto la discussione sulle vaccinazioni obbligatorie per i bimbi.
L’intuizione fondamentale dell’articolo è che la portata circoscritta delle indagini svolte sul campo, in seguito alle effettive somministrazioni delle dosi di immunizzanti, quando emergono effetti collaterali che durante i trial non erano stati individuati, compromette la fiducia della gente nei vaccini e riduce anche le prospettive di sviluppo di farmaci più sicuri ed efficaci. La «diffusa esitazione vaccinale osservata durante la pandemia di Covid-19», osservano quindi gli autori del brano, «suggerisce che il pubblico non è più soddisfatto del tradizionale obiettivo sulla sicurezza: semplicemente, cercare e quantificare i rischi associati dopo che un vaccino è stato autorizzato per l’impiego. Il pubblico vuole anche che le autorità sanitarie mitighino e prevengano reazioni avverse rare ma gravi». Reazioni che, in realtà, «non sembrano più rare quando i vaccini vengono dati a milioni o miliardi di persone».
Non si tratta di negare il ruolo delle vaccinazioni nella prevenzione e nel controllo di malattie pericolose, né di ingigantire i loro effetti collaterali. Basta usare il buon senso: se un evento avverso grave si verifica una volta ogni 100.000 punture, inoculare un miliardo di persone ne provocherà 10.000. Gli ordini di grandezza sono grosso modo quelli dell’era Covid. E se le politiche sanitarie finiranno per calibrarsi definitivamente su quel modello - la profilassi più che la terapia, curare i sani più che i malati - lo scenario del biennio 2021-2022 è destinato a ripetersi. È strano, allora, che le potenziali vittime delle «rare ma non tanto rare» reazioni avverse maturino qualche preoccupazione?
Gli studi post autorizzazione sono necessari, secondo gli esperti, «per caratterizzare appieno il profilo di sicurezza di un nuovo vaccino, dal momento che i trial clinici che precedono la licenza hanno dimensioni dei campioni, durata dei follow up ed eterogeneità della popolazione limitate». Alcuni dei problemi che vengono fuori nei contesti reali non possono essere individuati mentre si conducono le sperimentazioni. Perciò, è cruciale «esaminare gli eventi avversi in seguito all’immunizzazione […], per accertare se sono casualmente o solo per coincidenza correlati alla vaccinazione». E se dipendono proprio dall’iniezione, «devono essere accertati il rischio attribuibile alla vaccinazione e il meccanismo biologico» che spiega l’insorgere di quei disturbi. Un assist ai «no vax»? Il contrario: un servizio alla causa «vaccinista», che permette di «determinare controindicazioni» e schemi di risarcimento per chi venisse colpito dagli effetti collaterali.
La maniera in cui sono organizzati i regolatori, tuttavia, non favorisce questo tipo di approfondimenti. I numeri citati dai firmatari del pezzo sul Nejm colpiscono: in 179 indagini sulle 234 svolte dal 1991 al 2012, lo statunitense Institute of medicine non è stato in grado di raccogliere elementi sufficienti a confermare o escludere i nessi di causalità tra vaccini e presunte reazioni avverse. Stesso desolante risultato per il 76% delle ricerche sugli anti Covid, passate in rassegna dalle National academies of sciences, engineering, and medicine. «Il meccanismo biologico» alla base delle patologie che si manifestano dopo le punture, annotano gli autori, «rimane non chiarito per la maggior parte delle reazioni avverse da vaccino - in particolare, la sindrome di Guillain-Barré dopo la somministrazione del vaccino antinfluenzale 1976-1977 e diversi altri tipi di vaccino successivi, la miocardite dopo i vaccini Covid-19 a base di mRna e l’intussuscezione dopo il primo vaccino per il rotavirus». Eppure, capire cosa succede a livello fisiologico aiuterebbe a «sviluppare vaccini più sicuri, a prevenire le reazioni avverse espandendo le controindicazioni e a risarcire in modo equo i vaccinati per le reazioni avverse vere».
Investire sulla farmacovigilanza attiva, in pratica, è il modo migliore per contrastare i fenomeni di scetticismo o avversione alle vaccinazioni. «Negli ultimi vent’anni», lamentano gli scienziati sul Nejm, «sono stati introdotti molti nuovi vaccini per i bambini e le popolazioni vulnerabili, come le donne incinte e gli anziani». Il livello dei fondi per monitorarne la sicurezza, però, è rimasto immutato. E l’Europa non è più sensibile dell’America alla materia. Sarà per questo motivo che, da noi, a tale disinteresse per l’autentica scienza si è fatto fronte ricorrendo a propaganda e coercizione. Costano meno e presentano un indubbio vantaggio: chi osa porre delle domande può essere ridicolizzato, umiliato, messo a tacere.
«La scienza non è democratica», ci raccontano. Eh già: la usa per i propri comodi chi ha in mano il potere.