Nonostante la rivelazione del contenuto dello studio abbia creato forte scalpore e innervosito numerose cancellerie del Continente esso non rappresenta nulla di nuovo per gli esperti di geopolitica o per i think tank governativi costantemente impegnati nell’analisi degli scenari internazionali.
La Bosnia Erzegovina è da sempre una terra contesa tra i popoli limitrofi che riuscì ad avere una sua breve indipendenza tra il XII ed il XIV secolo prima d’essere annessa all’impero ottomano e successivamente rivendicata dal rivale austroungarico che volle farne la colonia modello, tanto che vi impiantò il primo tram elettrico d’Europa e procedette a forti investimenti economici pur di garantirsi il sostegno di una popolazione da sempre ondivaga tra occidente ed oriente. Il sogno viennese si frantumò col colpo di pistola sparato a Sarajevo con cui l’anarchico serbo Gavrilo Princip uccise l’erede al trono d’Austria gettando le nazioni europee nel massacro della prima guerra mondiale. Ancor oggi, gli esiti di quel colpo di pistola non danno tregua. I Balcani sono ancora più frantumati di quanto lo fossero nel 1914 ma soprattutto vivono sotto la scure dei conflitti congelati legati al collasso della Jugoslavia.
La Bosnia Erzegovina è uno di questi conflitti e rappresenta una bomba ad orologeria per la stabilità regionale. Si tratta di uno Stato le cui istituzioni si basano sugli accordi di Dayton ovvero sul trattato di pace che sancì la fine della guerra tra serbi, croati e mussulmani nel 1995. L’accordo di Dayton doveva essere temporaneo. Doveva garantire il riavvio della convivenza interetnica e la ricostruzione istituzionale. A 25 anni di distanza continua a rimanere l’unico caposaldo dell’esistenza di un Paese che conta centinaia di ministri, diversi parlamenti, tre capi di Stato e un Alto rappresentante della comunità internazionale con il diritto di veto su ogni decisione. Un sistema complesso sostenuto, in mancanza di un settore economico minimamente dinamico, dagli aiuti internazionali che a loro volta fomentano la corruzione endemica. La comunità internazionale sa bene che un Paese del genere esiste solo fino a quando essa lo sostiene e sa bene che è quasi impossibile attendersi una soluzione dei problemi che arrivi dall’interno.
Per tale ragione a Bruxelles hanno iniziato a prendere seriamente in esame tutti gli scenari possibili. Anche quello di spezzettare definitivamente il Paese tra Serbia e Croazia, lasciando ai bosniacchi la libertà di scegliere il loro futuro con un referendum.
In verità, il valore aggiunto del documento riguarda il fatto che per la prima volta, fonti governative, ammettono di discutere della possibilità che Kosovo, Albania e parte della Macedonia diano vita alla mitica Grande Albania. Si tratta certamente di un’idea che a Washington troverebbe accoglienza, dato l’aperto sostegno degli Usa ai clan albanesi della regione, in chiave anti-serba, fin dagli anni Novanta del secolo scorso. Ma soprattutto appare un’idea che piacerebbe senza alcuna remora all’attuale inquilino della Casa Bianca visto che Joe Biden non ha mai lesinato fatiche pur di fornire sostegno finanziario e militare agli albanesi durante i conflitti della ex-Jugoslavia.
Lo studio presentato dalla Slovenia ha il pregio di dimostrare la necessità di definire situazioni che quasi certamente in futuro poeterebbero a nuovi conflitti armati e di fornire una cornice più ampia per la soluzione del problema kosovaro, dato che a quel punto uno scambio territoriale tra Belgrado e Pristina passerebbe in secondo piano. Tuttavia il documento rimane lacunoso nel prognosticare la sorte dei bosniacchi e soprattutto nell’analizzare la tensione che verrebbe a crearsi tra la nuova Serbia, territorialmente rinvigorita, e la Grande Albania, da sempre spauracchio di Belgrado in un contesto nel quale, seppur a distanza di quasi trent’anni, si certifica il principio dell’annessione di quanto conquistato con le armi.
In tutto ciò, l’unica nazione europea a perdere sarebbe proprio la Slovenia che si ritroverebbe con un vicino meridionale, la Croazia, territorialmente ancor più grande e psicologicamente rinvigorito dopo decenni di purgatorio politico impostole dall’Occidente per le colpe legate ai massacri delle guerre innescate con la secessione dalla federazione jugoslava.
A poche settimane dal possibile vertice con Biden anche il presidente russo Putin guarda con apprezzamento alle discussioni in atto a Bruxelles. Una ridefinizione territoriale dei Balcani sulla base delle conquiste militari sarebbe il più bel regalo che un’amministrazione americana possa fargli. La creazione di un precedente diplomatico capace di risolvere definitivamente, a favore di Mosca, la questione della Crimea e del Donbas.