Le quote rosa sono da sempre un terreno di scontro tra chi le considera un provvedimento indispensabile per garantire la parità di genere e chi, al contrario, le trova un mezzo discriminatorio o comunque non efficace, in quanto raggira un problema, senza risolverlo.
L'ultima volta ne abbiamo sentito parlare nel dicembre scorso, quando un particolare emendamento alla manovra è stato approvato dalla commissione bilancio del Senato. Il provvedimento ha esteso quanto previsto dalla legge Golfo Mosca del 2011 che introduceva una quota rosa nei consigli di amministrazione delle società quotate, portando al 40% la presenza di genere femminile.
Abbiamo ascoltato il punto di vista di tre donne completamente diverse. La prima è Gini Depasquier, manager fondatrice di Donna lab, società che si occupa favorire l'equilibrio di genere. È co president della Professional women network, associazione internazionale che lavora su empowerment femminile e anche managing director di Ortigia business school, scuola di formazione manageriale di Siracusa.
La seconda è Bianca, una giovane appartenente a Potere al popolo, movimento da sempre concentrato sulle condizioni dei lavoratori e i loro diritti.
Concluderemo con una lavoratrice comune, dipendente dell'azienda di trasporti milanese, che ha preferito rimanere anonima. Ci racconterà le difficoltà di una donna di 61 anni che lavora 40 ore a settimana, che deve prendersi cura della famiglia e che, lavorando per la strada, deve stare attenta anche alla propria sicurezza.