La sindrome di Zerocalcare miete vittime a sinistra. Mentre fior di intellettuali si accapigliano sulle sorti della Stampa, ai vertici della prestigiosa rivista Limes si consuma uno psicodramma dei migliori. Alcuni collaboratori piuttosto in vista hanno deciso di mollare la testata di geopolitica diretta da Lucio Caracciolo accusandola nemmeno troppo dolcemente di putinismo. Federigo Argentieri, professore di scienze politiche e direttore del Guarini Institute for Public Affairs della John Cabot University, Franz Gustincich e Giorgio Arfaras hanno lasciato il comitato editoriale e il consiglio scientifico di Limes, seguiti a stretto giro dal generale Vincenzo Camporini.
Quest’ultimo, noto per le apparizioni televisive e per la militanza politica nell’area di Azione e +Europa, ha salutato con un post sui social: «Informo i pochi cui può interessare che sono uscito dal Consiglio Scientifico di Limes, per incompatibilità con la linea politica di mancato sostegno ai principi del Diritto Internazionale, stracciati dall’aggressione russa all’Ucraina», ha scritto.
Federico Argentieri ha invece rilasciato una corposa intervista all’AdnKronos. «Siamo in una fase cruciale, probabilmente la più difficile per l’Ucraina dall’inizio della guerra, non tanto sul piano militare quanto su quello diplomatico e internazionale. Con gli Stati Uniti che si svincolano dalla Nato, che attaccano l’Unione europea apertamente, e con un allineamento sempre più evidente tra America e Russia, questo è il momento in cui bisogna fare scelte chiare, senza ambiguità», ha detto. «In questo contesto ho ritenuto che non fosse più ammissibile che il mio nome comparisse nel tamburino di Limes. Non si tratta di opportunismo né di saltare sul carro del vincitore, anche perché l’Ucraina oggi non è certo il vincitore. È una scelta di coerenza. Io ho scritto poco per Limes, anche perché il suo approccio geopolitico - centrato quasi esclusivamente sui rapporti di forza - non mi è mai stato del tutto congeniale. Ma il punto non è questo. Il vero problema è il pregiudizio strutturale che la rivista ha nei confronti dell’Ucraina da oltre vent’anni».
Curioso: il professore non è d’accordo con la linea editoriale da vent’anni ma è rimasto lo stesso nella rivista. Come mai? «Per una combinazione di fattori. Perché si potevano trovare anche analisi condivisibili, perché nessuno ha mai messo in discussione la mia presenza. I legami personali, come spesso accade, sono duri a morire. E poi c’era sempre la speranza, forse ingenua, di un cambio di rotta. Cambio che non c’è mai stato, anzi: dal 2014 in poi le cose sono peggiorate».
Insomma, alla fine a quanto pare gli conveniva restare. Anche se Caracciolo gli ha fatto uno sgarbo personale difficile da dimenticare. «La svolta è chiarissima: 2004, la rivoluzione arancione», racconta Argentieri. «Da lì in poi Limes assume una postura costantemente diffidente, se non apertamente ostile, verso l’Ucraina. È lo stesso momento in cui esce in Italia Raccolto di dolore di Robert Conquest sulla carestia staliniana, libro che ho curato e prefato dopo averlo letteralmente fatto uscire da un cassetto dove era stato relegato per anni. E cosa fa Limes? Pubblica a puntate - poi per fortuna solo una - L’autobus di Stalin di Antonio Pennacchi: un’orrenda apologia cinica del dittatore, mascherata da allegoria grottesca. Un bravo scrittore che conosce bene le dinamiche dell’Agro pontino ma ben poco quelle sovietiche, che si inerpica in un esercizio davvero incomprensibile». Viene da dire che Pennacchi era un autore di una certa fama e di un certo rilievo, e di sicuro non era un difensore delle dittature, ma Argentieri se l’è legata al dito e vent’anni dopo ha deciso di arrivare al redde rationem. Se ne va, e lancia palate di fango, spiegando che la linea di Limes «è una nube tossica mediatica che avvelena il pubblico e finisce per influenzare anche la politica. Limes e Caracciolo hanno una responsabilità maggiore di tanti ciarlatani televisivi proprio perché il loro livello culturale è elevato. Quando una fonte autorevole contribuisce alla disinformazione, il danno è più grave. Negli altri paesi europei, Francia, Regno Unito, Germania, Spagna, non c’è la carrellata di figure improponibili che oggi trovano grande spazio in certi programmi. Neanche Fox News è così schierata, solo in Russia si vedono le trasmissioni che ci sono in Italia. I miei colleghi stranieri sono stupefatti davanti a questa, chiamiamola, unicità».
Capito? Altrove sono più bravi di noi. Sono tutti militarizzati, ripetono le cose giuste, tengono la linea corretta. Curioso che Argentieri non abbia detto mezza parola sulla marea di stupidaggini, bufale e previsioni sbagliate che altri esperti (evidentemente a lui più congegnali di quelli di Limes) hanno scodellato in tutti questi anni. I nostri finissimi analisti geopolitici non ne hanno azzeccata una, e infatti la Russia è ancora lì che combatte e la guerra non è finita.
Ovvio: tutti gli studiosi e i tecnici di cui sopra hanno il sacrosanto diritto di andarsene dalla rivista che non gradiscono più. Le loro motivazioni tuttavia fanno riflettere. Se la prendono con una delle poche voci che hanno dimostrato di avere un legame con la realtà e non hanno ceduto alla propaganda occidentale (perché esiste pure quella). Limes, in questi anni, ha pubblicato analisi dettagliate, ha ospitato punti di vista diversi e non si è limitata a ripetere a pappagallo le tesi dei commentatori catodici più in voga. Con tutta evidenza, questo atteggiamento ha infastidito Camporini, Argentieri e gli altri. È, appunto, la sindrome di Zerocalcare: accetto le opinioni di tutti bastano che siano concordi con la mia.
«I ragazzini del bosco ignorano l’italiano». Anche agli immigrati toglieranno i bimbi?
I bambini del bosco non conoscono l’alfabeto. Lo ha dichiarato ai giornali Maria Luisa Palladino, la tutor che segue i tre piccoli Trevallion, una bambina di 8 anni e due maschi di 6. Le frasi dell’esperta vengono riportate con enfasi da tutti i media. «Non sanno leggere, stanno imparando l’alfabeto», dice la Palladino. «La bambina più grande, sotto dettatura, sa scrivere solo il suo nome». Tanto è bastato per far ringalluzzire tutti i sostenitori dell’azione del tribunale dell’Aquila, i seguaci della Ragione secondo cui è stato sacrosanto allontanare questi piccoli della casa «fatiscente» e dai genitori svalvolati. Mancava, a ben vedere, un colpo a effetto, e ora eccolo: abominio, i bambini non sanno leggere! E il sottotesto ovviamente è: «Visto? Ve lo avevamo detto che era giusto togliere i minori dalle grinfie di quegli hippie mattoidi».
Purtroppo, ancora una volta, si dimentica quale sia il centro della questione. Va ricordato a tutti i difensori d’ufficio del tribunale aquilano e a tutte le anime belle che vogliono portare i tre piccoli Trevallion a godere delle bellezze e comodità moderne, che qui non si sta affatto discutendo di quanto sia o meno efficace il sistema educativo dei genitori basato sul cosiddetto unschooling. Qui si tratta soltanto di stabilire se sia stato giusto allontanare i bambini dai genitori, niente altro. E più il tempo passa più viene da ripetere che no, non è stato affatto giusto.
Chi si indigna perché i tre pargoli non sanno leggere dovrebbe chiedersi: se il criterio fosse la conoscenza della lingua e della grammatica italiana, quanti minorenni andrebbero tolti alle famiglie? Posto che i Trevallion hanno 6 e 8 anni, e non 30, dunque hanno ampio margine di apprendimento, quanti altri bambini vivono in Italia nella stessa condizione? Forse bisognerebbe portarli tutti in case protette o strutture educative? Forse si dovrebbe andare casa per casa a valutare la conoscenza dell’italiano dei figli degli immigrati presenti sul nostro territorio? Sarebbe interessante vedere i risultati di una simile indagine. In ogni caso, non ci risulta che per i piccoli di origine straniera si aprano ogni volta contenziosi come quello riguardante i Trevallion (i quali, a loro volta, sono a tutti gli effetti stranieri anche se non sono arrivati su un barcone). Non ci risulta che le famiglie dei migranti vengano ricattate e rieducate come sta accadendo alla famiglia del bosco, a cui le autorità stanno imponendo cambiamenti dello stile di vita proprio facendo leva sul fatto che i bambini sono nelle mani dello Stato.
Metro dopo metro, concessione dopo concessione, i Trevallion hanno dovuto cedere. Hanno trovato una nuova casa, hanno accettato di fare lavori e modifiche alla vecchia abitazione, pare persino che abbiano acconsentito a far seguire i figli a un insegnante individuato dal Comune. Non parlano più con i giornalisti, non si mostrano più riottosi o contestatari. Accettano, obbediscono e sperano che in cambio l’Italia renda loro i bambini. Oggi torneranno davanti al giudice, e si capirà se potranno riunirsi per le feste di Natale, chinando il capo e ringraziando il tribunale per la generosità dimostrata.
Intanto, i tre piccini sono via da un mese, ancora sottoposti al regime delle visite condizionate come i carcerati. «Nella struttura colorano, fanno i puzzle, interagiscono con gli altri coetanei e stanno capendo che le attività che stanno facendo sono per il loro interesse», dice la tutor. «Tuttavia, si stanno incastrando tasselli positivi. La mia relazione sarà redatta nell’interesse dei minori».
Ma certo, l’interesse dei minori. Qualcuno ci dovrebbe spiegare se sia stato interesse dei minori anche farli portare via dalla forza pubblica, sottrarli alle braccia di due genitori che non li hanno picchiati o maltrattati e che anzi hanno dedicato a loro molto più tempo e attenzione di quanta solitamente non possano dedicarne ai figli i genitori di oggi, stressati come sono dal lavoro.
Chiaro, sarebbe bene che i minori Trevallion imparassero a leggere, a scrivere e a fare di conto. Sarebbe bello che avessero tanti amici. Ma forse potrebbero ottenere tutto questo anche restando fedeli a sé stessi. Il nodo della questione è tutto qui. Si poteva trattare con i genitori senza ricattarli? Si poteva fare in modo che mettessero un piede nella civiltà senza farli passare per pericolosi malati di mente? Forse sì. Forse non solo si poteva, ma si doveva anche.
Quei tre bambini mancano da casa da un mese, hanno subito un trauma che sarà molto difficile se non impossibile riparare. E perché mai? Perché non sanno leggere bene a 8 anni e non avevano il bagno in casa. Ricordatevelo la prossima volta che sentirete qualcuno parlare di migranti e di rispetto delle culture altre.
Delitto di Garlasco: la sfida dell'avvocato Fabrizio Gallo al generale Garofano | Segreti Ep. 18
L’avvocato Fabrizio Gallo, difensore di Massimo Lovati, sostiene che l’inchiesta di Garlasco è segnata da errori gravi e irrisolti. Tra reperti non analizzati, scelte investigative discutibili e indizi sottovalutati, Gallo parla di una “vergogna giudiziaria” e chiede che si abbia il coraggio di ammettere gli sbagli.





