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Marco Scatarzi in foto piccola (Ansa)
Il direttore di Passaggio al bosco Marco Scatarzi rompe il silenzio: «A “Più libri, più liberi” abbiamo venduto tantissimo. I saggi definiti fascisti? Abbiamo 300 testi di vari autori e tendenze: forniamo, come fanno altri a sinistra, un punto di vista radicale ma del tutto legittimo».
Dopo giorni di polemiche, attacchi, insulti e qualche aggressione verbale (ma anche tanti libri venduti, enorme pubblicità e non poche soddisfazioni), Passaggio al bosco - che per tutta la durata della tempesta ha mantenuto un silenzio pressoché totale - si concede giusto qualche punzecchiatura e si leva un paio di sassolini delle scarpe, con eleganza. «Abbiamo assistito», dice la casa editrice in una nota, «allo psicodramma collettivo di una sinistra in fase terminale: proposte di censura in nome della libertà, diserzioni fisiche con gli stand aperti e stucchevoli proteste cadute nel vuoto. Hanno fatto tutto da soli: si sono indignati, poi organizzati e infine divisi. Il risultato è lampante: il cortocircuito di un’egemonia culturale che si è ridotta al solo business, che si definisce per antitesi, che innalza recinti morali, che elargisce scomuniche preventive e che pretende di stabilire arbitrariamente che cosa sia lecito scrivere, leggere e persino pensare».
Marco Scatarzi, dal 2017 direttore di Passaggio al bosco, è stanco ma tranquillo, di sicuro soddisfatto nonostante i momenti di tensione. Con La Verità ripercorre i passaggi che hanno portato il suo marchio ad avere uno stand alla fiera romana «Più libri più liberi». «Da anni facevamo domanda di partecipazione con la regolare modulistica e per anni siamo stati sempre avvisati che gli spazi non erano disponibili», spiega. «Anche quest’anno in realtà avevamo ricevuto l’email che appunto ci avvisava della mancanza di spazi disponibili, poi però siamo stati ripescati a settembre e ci è stato concesso uno stand».
Come mai?
«Perché lo scorso anno, in polemica con l’organizzazione, molte case editrici di sinistra avevano disdetto la prenotazione e quindi hanno liberato spazi».
Dunque esiste una polemica interna fra la direzione della fiera e le case editrici?
«Mi sembra di aver colto questa polemica che si protrae da anni, per le più svariate motivazioni che ogni anno cambiano. Quest’anno è stata Passaggio al bosco l’oggetto del contendere, ma una dialettica accesa esiste da tempo».
Che cosa vi è stato richiesto per partecipare?
«C’è un regolamento da sottoscrivere con varie clausole, che per altro molti hanno citato nei giorni scorsi. Si chiede il rispetto della Costituzione, dei diritti umani... E poi ovviamente c’è la quota di pagamento che attesta appunto l’affitto dello spazio».
Fate richiesta da anni. Nessuno vi aveva mai detto nulla?
«No, assolutamente no».
Poi è arrivato l’appello, la richiesta di cacciarvi da parte di un centinaio tra autori e case editrici. Come ne siete venuti a conoscenza?
«Lo abbiamo appreso dai social network dopo che l’onorevole Fiano, con un post, ha chiesto il nostro allontanamento dalla fiera. Quel post ha generato nei giorni seguenti l’appello di Zerocalcare e degli altri intellettuali, se così possiamo definirli, che appunto chiedevano di mandarci via».
Vi hanno accusato di essere fascisti e neonazisti. Cosa rispondete?
«Che abbiamo un catalogo vastissimo, con parecchie di collane, 300 titoli e un pluriverso di autori che spaziano geograficamente in tutto il mondo e in tutte le anime della cosiddetta “destra”. Abbiamo un orientamento identitario e cerchiamo di rappresentare le varie anime del pensiero della destra, dando corpo ad un approfondimento che abbraccia storia, filosofia, società, geopolitica, sport, viaggi e molto altro. Ovviamente, come da prassi, il tutto viene sistematicamente strumentalizzato attraverso i soliti spauracchi caricaturali: ciò che disturba, senza dubbio, è la diffusione di un pensiero non allineato, soprattutto sui temi di stretta attualità. Le voci libere dal coro unanime del progressismo, si sa, sono sempre oggetto di demonizzazione».
Vi hanno rimproverato di aver pubblicato Léon Degrelle.
«Rispondo citando ciò che Roberto Saviano ha detto a Più libri più liberi, quando ha risposto alle polemiche alzate dai firmatari della petizione: tutti i libri hanno il diritto di essere letti e di esistere. Non abbiamo bisogno di badanti ideologiche… Ebbene, noi cerchiamo di offrire uno sguardo diverso, un punto di vista anche radicale, perché riteniamo che sia importante conoscere tutto. E non ci sentiamo di dover prendere lezioni di morale da chi magari nei propri cataloghi - del tutto legittimamente, perché io per primo li leggo - ha libri altrettanto radicali, benché di orientamento opposto a quello che viene rimproverato a noi».
Come è stata la permanenza alla fiera?
«Ci sono state molte contestazioni, diverse aggressioni verbali, cortei improvvisati, cori con “Bella ciao” e tentativi di boicottaggio che hanno cercato di minare la nostra partecipazione. Non ce ne lamentiamo: abbiamo risposto con la forza tranquilla del nostro sorriso, svolgendo il nostro lavoro».
E i vertici della fiera? È venuto qualcuno a parlare con voi?
«Sì, naturalmente. Hanno apprezzato il nostro profilo asciutto e professionale. Qualcuno ha scambiato la fiera per un centro sociale, ma non ci siamo mai fatti intimorire o provocare. Abbiamo evitato in ogni modo possibile di alimentare la polemica e non ci siamo prestati alla ribalta mediatica provocazioni anzi le abbiamo anche accolte col sorriso e non abbiamo neanche cercato la ribalta mediatica: il nostro - appunto - è un lavoro editoriale di approfondimento. Può non piacere, ma ha diritto di esprimersi».
Zerocalcare dice che avete organizzato un’operazione politica, che siete organici al partito di governo.
«Ovviamente non esiste alcuna operazione politica: esiste soltanto una casa editrice che partecipa ad una fiera dedicata ai libri. L’operazione politica - semmai - è quella della sinistra radicale che si organizza per montare una polemica, cercando di censurare chi la pensa diversamente. Hanno montato una polemica politica stucchevole, che molti hanno condannato anche da sinistra. Peraltro, sottolineo ancora una volta che Passaggio al bosco contiene in sé un pluriverso enorme di autori, di esperienze, di persone e di realtà: alcune sono impegnate politicamente, molte altre no. Di certo, non può essere ritenuta organica ad alcunché, se non alla propria attività di divulgazione culturale. Ma poi, con quale coraggio una sinistra radicale che fa sistema da anni, spesso con la logica della “cupola”, si permette di avanzare simili obiezioni?»
Chiederete di partecipare a Più libri più liberi anche l’anno prossimo?
«Certamente. Chiederemo di partecipare - come quest’anno - ad un festival che ospita gli editori. Saremo felici di esserci con i nostri testi, con i nostri autori e con la nostra attività. Sicuramente, anche al di là delle contestazioni, quella appena conclusa è stata un’esperienza importante, in una fiera ben organizzata e molto bella. Avremmo piacere di ripeterla».
Avete venduto bene?
«Abbiamo venduto benissimo, terminando tutti i nostri libri. Per quattro volte siamo dovuti tornare a rifornirci in Toscana e il nostro è stato certamente uno degli stand più visitati della fiera. Il boicottaggio ha sortito l’effetto contrario: ci hanno contattato già centinaia di autori, di distributori, di traduttori, di agenti pubblicitari e di addetti ai lavori. Ogni tipo di figura operante nel campo dell’editoria non solo ci ha mostrato solidarietà, ma è venuta da noi a conoscerci e a proporci nuove collaborazioni. Quindi, se prima eravamo una casa editrice emergente, adesso abbiamo accesso ad un pubblico più ampio e a canali che ci permetteranno di arrivare là dove non eravamo mai arrivati».
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Charlie Kirk. Nel riquadro, il sacerdote Salvatore Priola (Ansa)
Il sacerdote siciliano Salvatore Priola, nel saggio «La consegna», riflette sul ruolo sempre più marginale di religiosi e fedeli nella vita pubblica: «L’etichetta di cattolico è un aggravio, ma le famiglie non deleghino la formazione dei figli a chi vuole cancellare le radici culturali».
Salvatore Priola, presbitero della chiesa di Palermo dal 1996, ha insegnato antropologia filosofica e antropologia della religione alla pontificia facoltà teologica di Sicilia, e per le edizioni Pozzo di Giacobbe ha pubblicato un libro molto potente intitolato La consegna, una profonda riflessione sul ruolo dei cristiani nella vita pubblica.
Il suo saggio sembra prendere le mosse da una affermazione di Divo Barsotti che dice in sostanza: sembra che i cristiani si vergognino di rendere testimonianza della loro fede.
«Don Divo lo diceva già un po’ di anni fa, da un po’ di tempo ci metteva in guardia dal rischio di vivere un cristianesimo talmente anonimo da non essere più nemmeno percepito, nemmeno più colto in nessuna delle sue espressioni. Nelle sue forme non tanto religiose - questo in molte parti d’Italia e in giro per l’Europa ancora è possibile - quanto culturali. Quell’avvertimento dato da don Divo a me oggi pare molto attuale».
Più che un rischio è una certezza. Certe posizioni oggi appaiono insostenibili, indicibili.
«Oggi sembra quasi che nell’agorà culturale chi si presenta con l’etichetta di cristiano, cattolico in modo particolare, abbia una sorta di aggravio in partenza nel farsi accettare per ciò che esprime, per quello che sostiene, per il pensiero che vuole portare quale contributo al dialogo sul piano sociale, culturale, civile. Insomma, c’è una sorta di aggravio in partenza per potersi accreditare al pari di tutte le altre voci».
Nei mesi scorsi abbiamo parlato molto di Charlie Kirk, uno che certo non si vergognava delle sue idee. Eppure oggi se un politico italiano parlasse come lui avrebbe probabilmente molte difficoltà persino in ambito conservatore.
«Sì, penso che questo sia vero, ma la fatica la fa anche oggi la Chiesa quando si tratta di uscire un pochino più allo scoperto e dare forza a quelle figure coraggiose che giustamente richiedono legittimo spazio per poter portare il proprio contributo di idee, che poi sono idee maturate alla scuola del Vangelo, maturate nell’orizzonte di fede. Io credo che da Kirk, qualcosa da imparare l’abbiamo: nel metodo e nel merito. Quantomeno il coraggio di osare, di varcare certe soglie, di attraversare certe porte, che anche nel recente passato sono state chiuse. Voglio ricordare quello che capitò persino al grande pontefice Benedetto XVI, all’Università La Sapienza di Roma, e si trattava giusto della punta dell’iceberg. Situazioni del genere oggi se ne registrano un po’ dovunque. Ecco: osare, andare oltre il proprio giardino per provare a intavolare una discussione, un confronto nel cortile di qualcun altro credo ci aiuterebbe a crescere, a migliorare, a mettere a fuoco nuovi orizzonti».
La sensazione è che la Chiesa oggi venga accettata quando si comporta da grande associazione umanitaria. Ma appena c’è la fede di mezzo sorgono i problemi.
«Se la Chiesa si esprime dal punto di vista sociale, umanitario, è chiaro che trova un terreno più semplice, più disponibilità. Nel momento in cui la Chiesa assolve pienamente alla sua missione, che è quella di annunciare il Vangelo, di testimoniare Gesù Cristo, di offrire il bene della salvezza a ogni uomo e ogni donna che intercetta nel percorso della propria missione, lì cominciano a sorgere le difficoltà, le obiezioni, le ostilità, le inimicizie. E si ripresentano sotto nuove vesti, a volte anche molto subdole, forme di persecuzione, di rifiuto e di pregiudizi che vogliono silenziarla e metterla da parte. La Chiesa, io credo, oggi deve avere la capacità e il coraggio non solo di conservare la fede ma di fare la differenza, senza paure, senza tentennamenti, anche a costo di rischiare qualcosa».
C’è forse chi pensa che adeguarsi un po’ all’onda mediatica e culturale prevalente - in sostanza stare un po’ di più in sintonia col mondo - possa pagare.
«Beh sì, questo probabilmente ha un ritorno. Ma sono quelle forme di ritorno in linea con la logica del mondo, che oggi paga e domani non paga. Oggi c’è una linea, c’è un vento che ti gonfia le vele, domani quel vento finisce. Le vele della barca della Chiesa, per usare un’immagine molto antica e sempre attuale, le gonfia lo spirito di Dio, non le gonfiano le correnti ideologiche, di pensiero, culturali e i fattori sociali che possono in questo momento offrire un ritorno e un credito. Le vele della Chiesa le gonfia lo spirito di Dio e la Chiesa deve restare in ascolto dello spirito per restare fedele a Cristo e al Vangelo, perché è l’unica fedeltà che gli è richiesta dentro le pieghe della storia di questo mondo. Gesù ai suoi ha detto chiaramente che sarebbero stati nel mondo ma non del mondo e questa preposizione articolata ogni tanto bisogna distinguerla più chiaramente, perché a far confusione ci vuole poco»
Nel libro lei sostiene che ci vorrebbe un wokismo cristiano. Che cosa intende? Il termine wokismo non evoca belle sensazioni...
«È il titolo di un paragrafo che ho voluto chiamare così provocatoriamente. Parlo di un wokismo delle famiglie cristiane in realtà. Questa è la spinta che mi piacerebbe dare alle famiglie che ancora si definiscono cristiane cattoliche: la spinta a svegliarsi, nel senso proprio del termine, e a riappropriarsi del loro ruolo pedagogico, educativo, culturale, formativo, prendendo in mano la vita della famiglia e dei figli in modo particolare, perché non finiscano nelle mani di chi li vorrebbe invece “svegliati” ma in un modo totalmente inaccettabile per noi cristiani. Usare quel termine per me è stato risignificarlo in ambito e in chiave cristiana: bisogna risvegliarsi per riappropriarsi di quelle che sono le specificità della formazione cristiana che le famiglie devono dare ai propri figli. Senza delegarle e lasciarle nelle mani di chi poi interviene a modificare persino le radici culturali delle persone».
Sa che oggi questo tema è molto dibattuto. Si parla di educazione sentimentale nelle scuole, e poi c’è stato il caso della famiglia del bosco.
«Dobbiamo stare molto attenti. Esistono casi di famiglie inadeguate - pericolosamente inadeguate - a garantire i diritti dei minori e quindi la sicurezza, la salute, l’istruzione, la formazione, la cronaca ce lo testimonia in tante circostanze. Tuttavia io sono dell’idea che nessuno abbia il diritto di prevaricare le scelte che ogni famiglia fa nel formarsi dal punto di vista sociale, civile, culturale. E su questo nessuna delega, secondo me, va data ad alcuno in maniera cieca. Per questo motivo io sottolineo l’importanza del fatto che le famiglie svolgano appieno il loro ruolo educativo. Se si delega questo ruolo ad altri, il rischio è che intervengano con pregiudiziali ideologiche e orientino le nuove generazioni in una direzione altra, a volte addirittura opposta, a quella che sta alla matrice della genesi della famiglia stessa. Per cui, o che sia cristiana, che sia musulmana, che sia atea, agnostica, quale che siano le ragioni che hanno visto nascere una famiglia, io credo che quella famiglia abbia il diritto di educare e formare i figli secondo le ragioni che l’hanno fatta venire alla luce. È chiaro che poi ci vuole una vigilanza da parte delle istituzioni laddove si riscontrino oggettivi elementi che possono compromettere l’equilibrio soprattutto dei minori».
Oggi però le influenze esterne sono tante e forti. Si comincia ad accanirsi con la famiglia nel bosco, poi magari si passa ad altri anche apparentemente meno strambi.
«A volte il passaggio è molto semplice da fare. Laddove la valutazione, il giudizio è pregiudicato da visioni ideologiche, è chiaro che tutto quello che non si confà al modo di vedere o di sentire della maggioranza rischia di diventare tra strano, anomalo, inaccettabile. Il pericolo è che l’omologazione allo stile della maggioranza finisca per mortificare le specificità, le caratteristiche che sono proprie di chi magari ha un altro progetto di vita. Differente, forse, ma non per questo di per sé negativo».
Nel suo libro lei parla spesso di combattimento. A che si riferisce?
«Tutta la prima parte è dedicata al combattimento. Come mi premuro di chiarire, il combattimento non è mai contro gli altri ma è sempre in sé stessi. Noi siamo chiamati a fare guerra al nemico peggiore che abbiamo nella nostra vita, che è il nostro ego autoreferenziale, autocentrato, superbo, arrogante, che rischia di condizionare tutto e tutti. Dobbiamo tornare a padroneggiare le nostre esistenze. Cristianamente noi diciamo che è la Signoria di Cristo, la Regalità di Cristo che deve aiutarci, sostenerci, guidarci, illuminarci nell’essere padroni di noi stesso, nel dominarci. Il combattimento spirituale mira a riappropriarsi della propria autentica libertà di figlio di Dio. Per questo bisogna battagliare contro tutto ciò che in un modo o nell’altro ti vuole incatenare a un vizio, una debolezza. Contro tutto quello che ti vuole fare arrendere, alzare bandiera bianca di fronte alle fragilità che sperimenti nel cammino della tua vita. Per dire che la vita cristiana non è una passeggiata al Luna Park per nessuno, né per il Papa, né per i Vescovi, né per un prete come me, né per un laico. Gesù lo ha detto: la vita cristiana è combattimento, chi vuol venire dietro a me, dice Cristo, rinneghi sé stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua. Questa è vita cristiana».
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