Marika Bolognese, curatrice speciale dei bambini della cosiddetta famiglia del bosco, ha rilasciato al Corriere della Sera alcune dichiarazioni che fanno saltare sulla sedia. «I tre figli dei Trevallion sono bambini fantastici, rispettosi. Ma hanno delle difficoltà che non possono essere taciute», dice la signora. «Si tratta di bambini ben più maturi della loro età. Hanno maturato esperienze sul campo. Però quando la più grande di 8 anni ha difficoltà a scrivere correttamente il suo nome e cognome, non si può soprassedere».
A leggere queste parole c’è davvero da impazzire. In pratica si continua a ripetere che questi bambini sono bravi, educati, felici e amati. Ma hanno difficoltà con la lettura e si cambiano i vestiti troppo raramente. E alle nostre istituzioni, oltre che a una parte della politica, sembra normale che tanto basti per strapparli ai genitori e lasciarli in una casa famiglia a tempo indeterminato. In aggiunta, si continuano a trattare papà e mamma Trevallion come discoli da raddrizzare. Si scrive e si dice che ora si comportano bene, che hanno accettato di modificare la propria casa, di vaccinare i figli, di farli incontrare con un insegnante. Lo ripetono pure i giudici della Corte d'appello che hanno confermato venerdì la validità del provvedimento di allontanamento e hanno passato la palla al Tribunale dei minori dell'Aquila per eventuali nuove decisioni. La corte conferma «tutte le criticità rilevate nell'ordinanza del Tribunale dei minorenni» tra cui i «gravi rischi per la salute fisica e psichica dei bambini, per la loro sana crescita, per lo sviluppo armonioso della loro personalità». Ma rileva «gli apprezzabili sforzi di collaborazione» da parte dei genitori e auspica «un definitivo superamento del muro di diffidenza da loro precedentemente alzato verso gli interventi e le offerte di sostegno». Chiaro, no? Quando papà e mamma saranno più docili e addomesticati, il ricatto potrà forse concludersi.
Pare infatti che il nodo di tutta questa storia, sia soltanto questo: bisogna compiacere i magistrati. Chi non lo fa è un pericoloso pasdaran della destra, è uno che fa campagna politica per il referendum sulla giustizia. Lo dice chiaramente Elisabetta Piccolotti di Alleanza verdi e sinistra, la quale se la prende con i ministri Matteo Salvini e Eugenia Roccella «che continuano a fare gli sciacalli con l’unico scopo di preparare il terreno per il referendum sulla giustizia. Noi di Avs», spiega Piccolotti, «crediamo che il percorso di dialogo con la famiglia debba dare i giusti frutti, come sostengono anche gli avvocati: i bambini devono tornare a casa dai genitori, con la garanzia che non saranno negati loro il diritto all’istruzione e alla socialità che solo la scuola assicura davvero». Ah, ma dai: i bambini devono tornare a scuola, perché quella parentale non va. Di più: bisogna che il ministro Valditara invii «gli ispettori nella scuola paritaria che ha certificato l’assolvimento dell’obbligo scolastico per la bambina di 11 anni, nonostante pare che la bimba sappia a stento scrivere il proprio nome sotto dettatura».
Interessante cortocircuito. Con la famiglia del bosco i compagni di Avs sono inflessibili, invocano perquisizioni e correzioni. Ma con altri sono molto più teneri. Nei riguardi degli antagonisti di Askatasuna, per dire, hanno parole di miele. Marco Grimaldi, vicecapogruppo di Avs alla Camera, si è aggregato al corteo di protesta contro lo sgombero del centro sociale. «Noi non abbiamo nulla da nascondere», grida. «Siamo parte, alla luce del sole, di un’associazione a resistere, quella dell’antifascismo che i trumpiani di tutto il mondo vorrebbero dichiarare fuori legge. Ma fino a quando la nostra Costituzione sarà in piedi nessuno potrà impedirmi di manifestare il mio dissenso ed io continuerò a farlo». La sua compagna di partito Ilaria Salis ribadisce che «lo spirito di Askatasuna continuerà ad ardere». Bravi, bravissimi, dei veri rivoluzionari, dei grandi ribelli antisistema. Ma per chi sceglie davvero un modello di vita alternativo, a quanto risulta, non hanno pietà. Anzi, dicono le stesse cose dei magistrati.
Fateci caso: Elisabetta Piccolotti ha pronunciato praticamente le stesse frasi scandite da Virginia Scalera, giudice del tribunale di Pescara e presidente della sezione Abruzzo dell’Anm. Costei è intervenuta ieri dicendo che c’è «stato un attacco scomposto e offensivo nei confronti dei giudici da parte dei ministri Salvini e Roccella, espresso peraltro in mancanza di conoscenza del provvedimento, perché le motivazioni non sono ancora uscite. E comunque è inaccettabile il tono. Abbiamo l’impressione chiara», insiste Scalera, «che sia un modo per riattivare l’attenzione dell’opinione pubblica, strumentalizzando una storia significativa in ottica referendaria. Ogni volta si additano i giudici, si parla di sequestro di bambini. Stigmatizziamo gli attacchi del governo».
Siamo sempre lì: guai a sfiorare i giudici, guai ad avanzare anche solo un minuscolo dubbio sul loro operato. Persino la sinistra radicale, quella che si batte contro i confini e contro la fantomatica «repressione», alla bisogna si rimette in riga al fianco delle toghe. E intanto tre bambini bravi e educati sono ancora tenuti lontano dai loro genitori.
A proposito di cortocircuiti sinistri, sia concessa un’ultima considerazione. Negli anni passati, con l’avvicinarsi del Natale, fior di sacerdoti e militanti progressisti hanno proposto presepi pieni zeppi di barconi e migranti. È un vero peccato che quest’anno qualcuno di questi impegnati a favore dei più deboli non abbia pensato a un bel presepe con la famiglia del bosco posizionata in mezzo ai pastori.
Viene da domandarsi da chi siano davvero danneggiati i bambini del bosco. Dalla famiglia, da papà Nathan e mamma Catherine che li facevano vivere in una antica casa di campagna con bagno esterno? Oppure dalle solerti istituzioni che da qualche tempo li stanno trattenendo in una casa famiglia per il loro «migliore interesse»? La domanda a questo punto è più che lecita. I piccoli Trevallion stanno in una struttura protetta da circa un mese. Sono stati portati via da casa il 20 novembre, con un robusto dispiegamento di forze e solo grazie all’intervento dell’allora avvocato della famiglia, Giovanni Angelucci, si ottenne che la madre potesse seguirli. Da allora vivono sotto osservazione, vedono il padre molto poco e in orari prestabiliti, incontrano la mamma in occasione dei pasti. Il tribunale dei minori dell’Aquila continua a rinviare la decisione sulla loro sorte: potranno tornare a casa per Natale?
Viene spontaneo interrogarsi su questi tempi dilatati. Se la situazione dei Trevallion era così grave da condurre all’allontanamento dei bambini, possibile che ci voglia così tanto a stabilire se debbano o no ritornare con i genitori? Il buon senso ma soprattutto la legge dicono che i minori vanno allontanati dalla famiglia solamente in caso di grave emergenza, di rischi evidenti per la salute fisica o psichica dei piccoli. Ebbene, a quanto pare i rischi non sono poi così evidenti se serve un mese per giudicare. In compenso, sappiamo per certo che l’allontanamento da casa e genitori provoca traumi.
Non è tutto. Inizialmente, ai Trevallion fu rimproverato di aver esposto i bambini sul palcoscenico mediatico a causa di una intervista concessa alle Iene. Ebbene, martedì il Garante per l’infanzia e l’adolescenza dell’Abruzzo ha diffuso dichiarazioni piuttosto dure, spiegando che è stata «violata la privacy di questi bambini. Sono state pubblicate informazioni riservate, sulla scolarizzazione, sulle vaccinazioni o sullo stile di vita che dovevano transitare in un fascicolo non sui media. La riservatezza viene prima del diritto di cronaca».
Il fatto è che qualcuno queste informazioni le ha diffuse, sappiamo che cosa hanno scritto e detto gli assistenti sociali e la tutor della famiglia.
Lo dice anche Danila Solinas, una dei due nuovi avvocati dei Trevallion, che avevano cominciato il mandato scegliendo silenzio totale e collaborazione con i giudici, ma ora forse un po’ hanno cambiato idea, visto che i risultati si fanno desiderare. «Non parlo né di delusione né di aspettative disattese per il mancato ricongiungimento immediato», dice Solinas. «Non mi aspetto che il tribunale elargisca favori, ma che applichi la legge. Semmai mi chiedo come si concili il rigoroso rispetto della riservatezza dei minori con la diffusione di elementi sensibili che li riguardano». Già, come si concilia questa esposizione con il bene superiore dei bambini?
Per altro, quel che leggiamo delle valutazioni delle autorità non è incoraggiante. L’assistente sociale Veruska D’Angelo, per esempio, esprime valutazioni che sollevano qualche dubbio. «Si ribadisce», scrive, «che anche l’individuazione delle problematiche riguardanti la situazione abitativa, socioeconomica, igienico sanitaria, socioculturale ed educativo relazionale è stata condivisa e sottoscritta dai genitori e dall’avvocato, riconoscendo e condividendo dunque tali aspetti».
Secondo l’assistente sociale, il «disagio maggiore» dei piccoli Trevallion nel vivere con altri bambini «si può osservare quando si attivano fra loro confronti sia per le proprie esperienze personali che per le proprie competenze, in quanto si evidenziano deprivazioni di attività condivisibili con il gruppo dei pari, per esempio da un semplice gioco ad attività più specifiche come i compiti scolastici e le conoscenze generali».
Insomma, non conoscono i giochi che fanno gli altri. Davvero terribile. Leggiamo ancora: «Il loro sonno è stato turbato dalla presenza, all’interno della stanza, di oggetti di uso comune quali l’interruttore della luce e il pulsante di scarico dello sciacquone del bagno». E poi «L’igiene personale dei minori è apparsa subito scarsa e insufficiente. Gli operatori sono riusciti a fare la doccia ai bambini soltanto nella serata del secondo giorno di collocamento ma solo con acqua, non volendo usare i saponi messi a disposizione... Uno dei fratelli ha dimostrato timore nei confronti del soffione della doccia. Rispetto al cambio degli indumenti i bambini hanno spiegato che indossano gli stessi vestiti per un’intera settimana e in genere il sabato li cambiano».
Capito? Si sono cambiati i vestiti una volta la settimana e uno di loro aveva timore del soffione della doccia perché era abituato a lavarsi in altro modo. Sembra quasi uno scherzo: si devono allontanare i bambini da casa perché si cambiano solo una volta alla settimana? Meritano di essere separati da madre e padre perché non hanno la doccia ma si lavano in altra maniera? Bisognerebbe dirlo a tutti gli illustri ecologisti che negli anni passati hanno spiegato in tv e sui giornali che non si deve sprecare acqua.
In ogni caso, l’assistente sociale ci tiene a spiegare che i piccoli «reagiscono con gioia e gratitudine alle varie attenzioni che ricevono, dai vestiti puliti e profumati che annusano continuamente oltre ad annusare le persone che li circondano, alle varie attività ludiche proposte, esprimendo spesso di voler restare “al caldo”».
Si tratta degli stessi bambini che alle autorità hanno dichiarato di trovarsi benissimo a casa. Utopia Rose, la più grande, ha fornito un racconto idilliaco: «Ci piace giocare insieme, all’aperto. Costruiamo una casetta e ci occupiamo dell’orto. Amiamo lavorare la lana con i ferri, lo facciamo tutti e tre. Siamo vegani e mangiamo quasi tutte cose prodotte da noi. Io cucino a colazione i pancake per tutti. Ci piacciono molto le cose che mangiamo e ci piace prepararle insieme, come i panini con le uova delle nostre galline. I parenti che vivono in Australia li vediamo in videochiamata con il tablet».
Non risulta che, da maggio a novembre scorso, gli assistenti sociali abbiano visitato con frequenza la casa della famiglia. Non risulta nemmeno che ci siano state altre audizioni dei bambini. Sembra che tutto si basi soltanto sulla valutazione di alcuni esperti i quali appaiono molto interessati a normalizzare i Trevallion, a rimarcare quanto piacciano le comodità ai bambini, a sottolineare tutte le stranezze mostrate da questi. A che cosa è servito allontanarli? A osservarli per un mese come bestioline allo zoo e a esporli alle feroci valutazioni del pubblico? Forse è il caso di domandarselo.
Panorama condannato per aver definito “pirati” gli attivisti delle ONG, anche se sono proprio loro a rivendicare violazioni e forzature delle leggi. È un attacco alla libertà di stampa, ma le anime belle non si scandalizzano. E mentre si difende la presunta libertà di violare i confini, si infierisce su chi fa scelte davvero controcorrente come la famiglia del bosco.





