Antonio Tajani ha ragione: c’è stato un tempo in cui Silvio Berlusconi era favorevole a concedere la cittadinanza ai giovani immigrati a patto che avessero frequentato l’intero ciclo scolastico nel nostro Paese. Dunque, lo ius scholae non sarebbe una pericolosa conversione a sinistra di Forza Italia, né un tentativo di mettere i bastoni fra le ruote al governo Meloni, per trescare con il Pd di Elly Schlein e magari preparare il terreno per un esecutivo di solidarietà nazionale, come ipotizzano in molti. Lasciate perdere che in precedenza il Cavaliere avesse manifestato opinioni contrarie, dicendo durante una puntata di Che tempo che fa di non ritenere sufficiente frequentare le lezioni per avere diritto alla cittadinanza. È un fatto che nel 2022 il partito di Berlusconi propose di considerare italiani tutti quegli immigrati che avessero completato gli studi, cioè la scuola dell’obbligo, presupponendo che dopo dieci anni sui banchi, gli extracomunitari non soltanto siano integrati, ma sappiano parlare la nostra lingua e siano pronti a rispettare le nostre leggi. Credo che nessuno sia contrario a concedere la cittadinanza agli stranieri che vivono e lavorano in Italia da tempo, a patto però che si adeguino alle nostre regole, sia per quando riguarda i doveri che i diritti.
Chiarito ciò, ovvero che non considero la proposta di Tajani una pericolosa virata verso i compagni, vorrei tuttavia sottoporre al ministro degli Esteri e capo di Forza Italia una modesta considerazione, partendo sempre dall’esperienza di Silvio Berlusconi. Nel 2006, dopo cinque anni di governo, il Cavaliere perse le elezioni. A sconfiggerlo fu Romano Prodi, appoggiato da una coalizione arcobaleno che nel giro di un anno e mezzo andò in pezzi per i conflitti interni. Ma non è di certo sul governo di sinistra che voglio attirare la vostra attenzione, bensì sullo scarto che ci fu fra l’armata Brancaleone progressista messa insieme dal professor Mortadella e quella di centrodestra guidata da Berlusconi. La differenza, in termini assoluti, fu di appena 24.000 voti e poco importa che il fondatore di Forza Italia abbia a lungo sospettato che il risultato fosse stato alterato dai brogli: la sostanza è che a decretare la vittoria della sinistra fu un numero esiguo di consensi, pari a quelli del quartiere di una grande città. Ora si dà il caso che se lo ius scholae fosse legge, alle urne potrebbe recarsi più di mezzo milione di giovani, un bacino di voti che certo avrebbe ricadute importanti sulla competizione elettorale, decretando la vittoria di uno schieramento piuttosto che di un altro. I compagni sono convinti che se ai giovani stranieri fosse consentito di votare, i primi a beneficiarne sarebbero proprio loro, ed è per questo che da tempo insistono con proposte che agevolino la concessione della cittadinanza agli extracomunitari.
Nel 2021, la prima mossa di Enrico Letta, una volta rientrato dal suo esilio parigino per assumere la guida del Pd dopo l’ennesima débâcle, fu l’idea di una legge per dare il diritto di voto agli extracomunitari, abbassando contemporaneamente l’età per recarsi alle urne a 16 anni. Il senso a me - e non solo a me - parve abbastanza chiaro: siccome la sinistra non riusciva a vincere la competizione elettorale, convincendo un numero sufficiente di italiani per conquistare la maggioranza, il «nipotissimo» arrivato fresco fresco da Parigi pensò di aumentare i consensi con la «legione straniera». Più giovani e più extracomunitari, secondo l’allora segretario del Pd, avrebbero compensato la mancanza di elettori autoctoni. Può darsi che mi sbagli, ma ho la sensazione che il calcolo di Letta sia lo stesso di Elly Schlein, che infatti è pronta a sposare qualsiasi idea pur di conquistare alla causa progressista i giovani stranieri. È su questo forse che Tajani dovrebbe fare un supplemento di riflessione: dare il voto a dei ragazzi che hanno studiato in Italia aiuterebbe la causa liberale che stava a cuore a Berlusconi? O forse la scelta gioverebbe a chi di liberale non ha nulla, ma insegue i progetti per cui lo stesso Cavaliere decise di scendere in campo? Ecco, per me la questione sta tutta qui: con lo ius scholae si rischia di regalare qualche centinaio di migliaia di voti ai compagni, sì o no? In caso affermativo, meglio lasciar perdere, perché si rischia l’autogol.