{{ subpage.title }}

Sala organizza una carnevalata per chiedere più immigrazione

  • La risposta della sinistra a Matteo Salvini è una sfilata con i soliti Vip, il dj e i bambini che cantano Bella ciao. Ma di extracomunitari ce n'erano pochi, tra cinesi che non parlavano italiano e africani lì solo per la festa.
  • Tutte le anime progressiste riunite: il loro unico comune denominatore resta sempre e comunque il bene degli stranieri Il titolo dell'evento era però contraddittorio: è stato proprio il popolo a bocciare nelle urne chi vuole spalancare le frontiere.

Lo speciale contiene immagini della marcia dei migranti.


Ore 14, via Palestro angolo Corso Venezia. Se non fosse stato per i palazzi borghesi in stile neoclassico, l'atmosfera sarebbe stata più quella da Papeete Beach di Milano Marittima che non quella di una marcia antirazzista. Ieri, in cima al corteo intitolato «People-Prima le persone», non c'era il sindaco di Milano Beppe Sala, né tantomeno Pierfrancesco Majorino, assessore alle Politiche sociali, entrambi in prima linea nell'organizzazione dell'evento, ma il dj italo nigeriano Simon Samaki Osagie, noto per essere l'inventore dell'ultima moda britannica in fatto di flash mob musicali a tema politico, venuto direttamente da Londra.

Così tra un «su le mani» e un «voglio vedervi ballare», il corteo si è spostato in poco più di due ore da Palestro, passando per San Babila, continuando in corso Matteotti per concludere il tragitto in piazza Duomo. L'idea era quella di creare un evento contro qualunque forma di discriminazione ma, facendosi largo all'interno del corteo, indubbiamente gremito (anche se la soglia delle 200.000 persone presenti pareva un tantino ottimistica), saltava subito all'occhio che le persone di colore o di altre nazionalità erano percentualmente pochissime e perlopiù inconsapevoli. L'unica a farsi notare era la comunità cinese con tanto di dragone colorato e persone che non parlavano una parola di italiano.

Le associazioni presenti a quello che è stato definito un afro street party in salsa meneghina erano le più disparate e tutte slegate l'una dall'altra: c'era il comitato Insieme Senza Muri, l'associazione nazionale partigiani d'Italia, le associazioni cristiane lavoratori italiani, gli immancabili attivisti Lgbt dell'associazione I sentinelli di Milano, Action Aid, Emergency, Amnesty International, Medici senza frontiere e Mamme per la pelle.

Un bel pot-pourri che aveva un comune denominatore: i bambini. Il primo a non farsi problemi a mettere i bimbi in bella mostra è stato proprio il primo cittadino Beppe Sala. Fiero e in prima linea (preceduto sempre e comunque dal dj Simon Samaki Osagie), il sindaco meneghino è stato a lungo al corteo tenendo in mano lo striscione con scritto «People-Prima le persone». C'è stato persino il teatrino con i City Angels guidati da Mario Furlan che ostacolavano i giornalisti intenzionati a fare le foto a Sala in mezzo a un oceano di bambini scout dell'associazione laica Cngei.

«È un momento di grande cambiamento per il Paese», ha detto Sala durante il corteo, «è questa la nostra visione dell'Italia. Uno spartiacque per la società. Non lasciate la politica solo ai politici», ha detto Sala, «da Milano può ripartire un'idea diversa dell'Italia». Un'idea che, diversa o meno che sia, non pareva essere intuita troppo dalla maggioranza dei festanti presenti. Avvicinati durante la manifestazione e interpellati sul perché fossero lì, gli immigrati presenti rispondevano di essere giunti al corteo «per fare festa» (in effetti come sottofondo alla nostra conversazione andava a tutto volume Amore e Capoeira di Giusy Ferreri e Takagi&Ketra) oppure non rispondevano perché non parlavano italiano. Ciononostante i bambini erano ovunque. Molti erano intenti a cantare Bella ciao con tanto di musicisti e maestro del coro seguito dallo striscione «Nessun bambino senza scuola, casa o diritti». Viene da chiedersi quantomeno se sia giusto utilizzare tanti bimbini come testimonial per certe idee politiche. Un problema che in tanti presenti non si sono posti. C'erano le Ong: Open Arms, Mediterranea, la Sea Watch. Poi i segretari della Cgil Maurizio Landini, della Uil Carmelo Barbagallo, Laura Boldrini, i governatori della Toscana Enrico Rossi e del Lazio Nicola Zingaretti e Maurizio Martina. Entrambi, naturalmente, non hanno perso occasione di concedersi un po' di visibilità in vista delle primarie del Pd.

«Da qui», scriveva Zingaretti su Twitter, «da manifestazioni come questa, va anche ricostruita la sinistra. Questo governo non garantisce lavoro, sviluppo e benessere ma distribuisce tanto odio, rancore e divisione. L'Italia non può essere questo», cinguettava. «Il Pd unito è indispensabile per battere i seminatori d'odio in questo Paese, quelli che pensano che si costruisca il futuro dell'Italia sul rancore «, diceva Martina, «questa piazza ci chiede unità e apertura e noi non dobbiamo assolutamente deluderla». Senza contare i tanti volti dello spettacolo che non dicono mai di no a un bel bagno di folla. C'erano Malika Ayane, Lella Costa, Giobbe Covatta, Claudio Bisio, Ornella Vanoni, Roberto Vecchioni, solo per citarne alcuni. In due ore e mezza, insomma, il centro di Milano si è trasformato in un afro street party.

Gianluca Baldini

Pur di tifare invasione usano anche i bambini

Non si fanno scrupoli: sfruttano perfino i bambini. Li hanno piazzati lì, in testa al corteo, con le testoline che a malapena s'intravvedevano dietro lo striscione. Alcuni li hanno fatti cantare. Ad altri hanno messo in mano delle bandierine dell'Unione europea. I piccoli cinesi, invece, si distinguevano tra la folla per gli abiti tradizionali bianchi e rossi.

Il sindaco di Milano, Beppe Sala, sorrideva beato tra i pargoli. Dopo tutto, era esattamente quello che si aspettava: «Una grande catena umana, i bambini in prima fila e People have the power di Patty Smith come colonna sonora». Il tutto per un solo scopo: spalancare di nuovo le frontiere e far entrare più migranti. L'ennesimo evento grottesco organizzato a nei pressi del Duomo per fare propaganda all'accoglienza, dopo i cortei e i «pic nic solidali» degli anni passati.

A dare la misura della tristezza bastava il titolo della manifestazione: «People, prima le persone»«. Molto efficace. Dentro c'è tutta la sinistra italiana. L'idea era quella di rispondere allo slogan «Prima gli italiani». Beh, eccola, questa risposta: una parola inglese per indicare la gggente. La stessa parola che Pippo Civati ha utilizzato per battezzare la sua casa editrice impegnata (tra i primi titoli il libro di Liliana Segre sul razzismo). Una parola ripresa da una canzone di Patti Smith di cui ormai si è stufata pure Patti Smith. Il brano in questione, People have the power (1988), ribadiva che il potere sta appunto nelle mani del popolo.

E chi ritorna il consueto problemino dei progressisti italici. Il popolo di cui essi hanno tanto ribrezzo da un po' di tempo a questa parte manda segnali abbastanza chiari. In particolare a proposito dell'accoglienza. «Forse oggi parlare di immigrati non porta voti, ma se sono prudente che faccio politica a fare?», si chiede Beppe Sala. Forse gli sfugge che i voti non sono noccioline: se perdi voti chiedendo più stranieri significa che gli italiani non gradiscono. Il sindaco di Milano, parlando con Repubblica, ha spiega che la manifestazione di ieri era «uno spartiacque per esprimere che cosa sia la sinistra contemporanea». Senza dubbio ha avuto successo: ieri, nelle strade, c'era la quintessenza della sinistra, del Pd e di tutti gli altri pianetini dell'orbita. Infatti non mancava nessuno: c'erano il segretario della Cgil Maurizio Landini, i presidenti di Lazio e Toscana, Nicola Zingaretti ed Enrico Rossi, il segretario uscente del Pd, Maurizio Martina. E poi Laura Boldrini, Susanna Camusso e tutto il circo militante.

Ancora una volta hanno dimostrato di avere un unico collante: l'immigrazione. «People è un contributo dal basso per la ricostruzione della sinistra», dice Sala. Beh, non ricostruiscono proprio nulla, semplicemente continuano sulla stessa strada. La menano con il razzismo diffuso, con gli immigrati che vengono trattati male, con i fascisti al potere, con l'Europa che è una ricchezza, con i «diritti delle minoranze». Per le vie milanesi ha sfilato addirittura una specie di carro di carnevale a forma di nave delle Ong. Ecco: la sinistra italiana è tutta qui. Oltre non riesce ad andare. Altro che ricostruzione dal basso: sono piantati sull'agenda dettata dagli editorialisti e dai conduttori dei talk show, sono trincerati nelle stanze anguste della loro superiorità morale. Non hanno capito niente. E dire che fu proprio Beppe Sala a dichiarare - intervistato da Mario Giordano per La Verità nell'ottobre del 2018 - che sull'immigrazione «la sinistra ha sbagliato tutto. Non siamo stati per niente chiari nell'affrontare il problema». Il primo cittadino aggiunse poi: «L'immigrazione africana porta persone che hanno un livello di istruzione pari a zero e che non hanno mai lavorato. Questa è la verità». Eppure, ieri Sala era tutto felice assieme ai rappresentanti di quegli africani senza istruzione. Marciava al fianco dei capoccia di quella sinistra che sull'immigrazione ha sbagliato tutto. Questa non è più politica: è psichiatria.

A questo punto, il Pd può fare tutte le primarie che vuole, ormai sappiamo già chi vince: gli immigrati. Questo è l'unico orizzonte politico dei progressisti di casa nostra. Oddio, può anche darsi che si tratti di una scommessa sul futuro: sperano di prendere i voti dei «nuovi italiani» del futuro. Sarà per questo che continuano a coinvolgere i bambini nelle loro pagliacciate, invece di lasciarli a casa a giocare come ordinerebbe il buonsenso.

Francesco Borgonovo



Jaki all’angolo: l’imputazione coatta fa traballare lo scranno di Stellantis
John Elkann (Ansa)
La mancata archiviazione può costare a Elkann pure la guida di Exor. Dall’ordinanza del gip emerge un ritratto machiavellico: avrebbe raggirato Stato italiano, fratelli e il notaio delle dichiarazioni dei redditi della nonna.

Quanto può durare John Elkann al vertice di Stellantis e di Exor, la holding di casa Agnelli? La conseguenza dell’imputazione coatta per dichiarazione fraudolenta imposta dal gip Antonio Borretta può avere conseguenze dirompenti. Infatti i requisiti di onorabilità sono difficilmente negoziabili nei Paesi del Nord Europa in cui l’erede di casa Agnelli ha spostato il core business dei suoi affari, ma soprattutto le sedi legali. Certo, l’Olanda non è come gli Stati Uniti dove chi commette reati contro il fisco finisce in manette, ma le accuse che il giudice ha rivolto a John Elkann non suoneranno come benemerenze neanche ad Amsterdam e dintorni.

L’imprenditore è accusato di avere ordito un piano articolato per evitare il pagamento delle tasse in Italia su «ingenti cespiti patrimoniali e redditi derivanti da tali disponibilità» e, «sotto il profilo ereditario», gli viene contestata «l’omessa regolamentazione della successione di Marella sulla base dell’ordinamento italiano», obiettivo raggiunto apparecchiando una finta residenza in Svizzera per la nonna. Un’«esterovestizione» che gli avrebbe consentito di cancellare la madre Margherita dall’asse ereditario: infatti nella Confederazione elvetica il testamento della nonna, che escludeva la figlia, era perfettamente valido. In Italia no. Per il giudice, lo spostamento della residenza a Lauenen, vicino a Gstaad, ha avuto come ultima e gradita ricaduta il mancato versamento (milionario) dell’imposta di successione. Un risparmio che, a giudizio della Procura, era, invece, la principale finalità degli indagati.

Continua a leggere Riduci
«Limes» non mette l’elmetto e parte il fango
Lucio Caracciolo (Ansa)
Quattro collaboratori lasciano Lucio Caracciolo, alludendo a presunte posizioni filorusse dell’analista. Il prof Argentieri parla addirittura di «una nube tossica sull’Ucraina». Ma la rivista ha soltanto riportato la realtà, senza ripetere a pappagallo la propaganda bellicista.

La sindrome di Zerocalcare miete vittime a sinistra. Mentre fior di intellettuali si accapigliano sulle sorti della Stampa, ai vertici della prestigiosa rivista Limes si consuma uno psicodramma dei migliori. Alcuni collaboratori piuttosto in vista hanno deciso di mollare la testata di geopolitica diretta da Lucio Caracciolo accusandola nemmeno troppo dolcemente di putinismo. Federigo Argentieri, professore di scienze politiche e direttore del Guarini Institute for Public Affairs della John Cabot University, Franz Gustincich e Giorgio Arfaras hanno lasciato il comitato editoriale e il consiglio scientifico di Limes, seguiti a stretto giro dal generale Vincenzo Camporini.

Continua a leggere Riduci
Il premier De Wever snobba le garanzie di Ursula sull’uso dei beni russi. Europa in panne: «Al Consiglio di domani una decisione va presa». I deputati della destra italiana: «La Commissione faccia altre verifiche».

L’Ue è finita in stallo sul dossier degli asset di Mosca. Lunedì sera, il Belgio ha respinto la proposta della Commissione europea di un prestito da 210 miliardi di euro all’Ucraina, che dovrebbe essere finanziato attraverso i beni russi congelati. In particolare, il governo guidato da Bart De Wever non ha ritenuto sufficienti le rassicurazioni messe sul tavolo da Ursula von der Leyen.

Continua a leggere Riduci
L’Europa rischia di mandare all’aria la pace
Da sinistra: Friedrich Merz, Keir Starmer, Volodymyr Zelensky ed Emmanuel Macron (Ansa)
  • Irricevibili le proposte uscite dal vertice di Berlino per Mosca, che infatti è lapidaria: «Non accetteremo truppe estere in Ucraina. Non promette bene la partecipazione dei Paesi Ue ai negoziati». Crosetto perplesso sull’ingresso di Kiev nell’Unione e nel Patto Atlantico.
  • Nato e referendum sul Donbass: la guerra poteva finire già nel 2022. Zelensky ha capito che le sue mire hanno fallito. Ora però inizi a non ascoltare più l’Ue.

Lo speciale contiene due articoli.

Continua a leggere Riduci
Le Firme

Scopri La Verità

Registrati per leggere gratuitamente per 30 minuti i nostri contenuti.
Leggi gratis per 30 minuti
Nuove storie
Preferenze Privacy