
Ritratto inedito di Francesco nel saggio postumo di Emidio Novi, recentemente scomparso. Per il senatore l'allora cardinale era un peronista, affiliato alla Guardia de hierro. Caduto il regime, svoltò subito a sinistra.C'era una volta in Argentina un gesuita, Jorge Mario Bergoglio, che era schierato contro la teologia della liberazione, vicina al castrismo e negli anni Settanta aderì alla Guardia de hierro, un'organizzazione peronista, di stampo nazionalista, cattolica, ferocemente anticomunista. In quegli anni a chi gli faceva notare che l'organizzazione a cui aderiva si richiamasse alla Guardia di ferro, il movimento romeno del comandante Corneliu Zelea Codreanu, nazionalista e fascista, Bergoglio replicava: «Meglio così». Della sua vicinanza alla Guardia de hierro ne parlò dopo la sua elezione il quotidiano argentino Clarin, mentre a Buenos Aires apparivano manifesti che ricordavano Bergoglio peronista. Per la cronaca, la Guardia di ferro era un movimento di legionari, molto popolare in Romania negli anni Trenta, ritenuto antisemita e filonazista, di cui si innamorarono in molti, non solo in Romania. Uno di questi fu Indro Montanelli che pubblicò sul Corriere della Sera una serie di entusiastici reportage pieni di ammirazione per Codreanu, nell'estate del 1940, a guerra inoltrata, smentendo la sua tesi postuma che dopo il 1938 si fosse già convertito all'antifascismo. Testi ripubblicati di recente, Da inviato di guerra: lo squadrismo rumeno (edizioni Ar). Evidentemente anche nell'Argentina dei Perón il mito di Codreanu, barbaramente assassinato, e del suo integralismo cristiano, aveva proseliti. Nel 1974, dopo la morte di Juan Domingo Perón, il movimento legionario si sciolse. Era un gruppo di 3.500 militanti e 15.000 attivisti. Si opponevano ai guerriglieri di sinistra, peronisti infiltrati dai castristi, seguaci di Che Guevara; loro erano, per così dire, l'ala di estrema destra del giustizialismo. Il gruppo della Guardia de hierro era stato fondato da Alejandro Gallego Alvarez. Era un movimento che teneva molto alla formazione culturale dei suoi militanti e alla presenza tra i diseredati e gli ultimi.A Bergoglio fu poi affidata un'istituzione in difficoltà, l'università del Salvador. Bergoglio la risanò e la affidò a due ex camerati della Guardia de hierro, Francisco José Pinon e Walter Romero. In quegli anni Bergoglio era avversario dichiarato dei gesuiti di sinistra da posizioni nazionaliste e populiste. La sua avversione alla teologia della liberazione gli procurò l'accusa di omertà da parte del premio Nobel Perez Esqivel e poi di collaborazionismo con la dittatura dei generali argentini, dal 1976 a 1983. Lo storico Osvaldo Bayer dichiarò ai giornali «Per noi è un'amara sconfitta che Bergoglio sia diventato Papa» e Orlando Yorio, uno dei gesuiti filocastristi catturato e torturato dai servizi segreti del regime militare, accuserà: «Bergoglio non ci avvisò mai del pericolo che correvamo. Sono sicuro che egli stesso dette ai marinai la lista coi nostri nomi». Solo dopo la caduta della dittatura militare Bergoglio iniziò a prendere le distanze dal peronismo nazionalista.Ho tratto fedelmente questa ricostruzione dalle pagine del libro di Emidio Novi, La riscossa populista, appena uscito per le edizioni Controcorrente. Novi sostiene che la deriva progressista e mondialista di Francesco nasca da questo passato rimosso. Secondo Novi «papa Bergoglio vuol farsi perdonare il suo passato “fascista" durato fino al 1980». Per questo non perde occasione di compiacere il politically correct, il partito progressista dell'accoglienza, l'antinazionalismo radicale. Novi, giornalista di lungo corso e senatore di Forza Italia, è morto lo scorso 24 agosto investito da un camion della nettezza urbana in retromarcia mentre era al suo paese natale, Sant'Agata di Puglia. Il suo libro è uscito postumo, con una prefazione di Amedeo Laboccetta e a cura di suo figlio, Vittorio Alfredo. Novi si definiva populista già decenni prima che sorgesse in Italia l'onda populista. Era populista al cubo, perché proveniva dall'ala più «movimentista» dell'Msi ispirata dal fascismo sociale: poi perché proveniva dal Sud e da Napoli, ed era un interprete genuino dell'antico populismo meridionale, a cavallo tra la rivolta popolana e la nostalgia borbonica; e infine era populista perché considerava l'oligarchia finanziaria, la dittatura dei banchieri e degli eurocrati, il nemico principale dei popoli nel presente. Perciò amava definirsi nazionalpopulista, e sovranista ante litteram.In questo suo ultimo libro Novi si occupa in più pagine del «papulismo» di Bergoglio, della sua teologia «improvvisata e arruffona», della sua resa all'islam, della sua ossessione migrazionista fino a definire Gesù, la Madonna e San Giuseppe come una famiglia di immigrati clandestini in fuga. Lo reputa «uno strumento dell'Anticristo», funzionale sia al progressismo radical dell'accoglienza che al mondialismo laicista della finanza, mescolando il vecchio terzomondismo, l'internazionalismo socialista con il disegno global che ci vuole nomadi, senza radici, senza patria e senza frontiere.Ma del suo passato argentino, al tempo di Perón, del giustizialismo e poi della dittatura militare, Bergoglio preferisce non parlare. Anche gli estroversi a volte tacciono.
Vincenzo Bassi, presidente della Fafce (Ansa)
Ursula von der Leyen chiude i rubinetti alla cattolica Fafce. Carlo Fidanza: «Discriminazione ideologica».
Dica l’associazione candidata se al centro della propria attività figura la promozione della disparità di genere. Se non c’è, niente finanziamenti Ue. È quanto si è vista rispondere la Federazione europea delle associazioni familiari cattoliche europee (Fafce), incredibilmente esclusa dai fondi per progetti europei perché, secondo la Commissione Ue, pone la promozione della famiglia composta da uomo e donna al centro della propria attività e dunque «fornisce informazioni limitate sulla disparità di genere», contravvenendo alle «misure europee per l’uguaglianza».
Kaja Kallas (Ansa)
I ministri della Cultura lanciano un appello per far fronte alla presunta minaccia di Vladimir Putin, invocando perfino l’uso del cinema per promuovere i valori dell’Unione. E Kaja Kallas manipola la storia: «Russia mai attaccata negli ultimi 100 anni». Scorda i nazisti...
Il circolo culturale di Bruxelles è salito in cattedra. Non trovando una strada percorribile e condivisa per mettere fine alla guerra in Ucraina, l’Unione europea ha deciso di buttarla sulla Storia, sulle infrastrutture culturali, sulla «resilienza democratica», «sui contenuti dai valori comuni». Armiamoci e studiate. Così ti viene il dubbio: stai a vedere che Fedor Dostoevskij torna ad essere praticabile nelle università italiane e il presidente Sergio Mattarella fra otto giorni va alla prima della Scala ad applaudire Dmitrij Sciostakovic. Niente di tutto questo, con la Russia non si condivide nulla. Lei rimane fuori, oltrecortina: è il nemico alle porte.
Volodymyr Zelensky e il suo braccio destro, Andriy Yermak (Ansa)
Perquisiti dall’Anticorruzione uffici e abitazione del «Cardinale verde»: parte dei fondi neri sarebbe servita a procurargli una casa di lusso. Lui e l’indagato Rustem Umerov dovevano strappare agli Usa una pace meno dura.
Alì Babà. Nelle mille ore (e mille e una notte) di registrazioni, che hanno permesso alle autorità ucraine di ascoltare i «ladroni» della Tangentopoli di Kiev, era quello il nome in codice di Andriy Yermak, braccio destro di Volodymyr Zelensky. Ieri, dopo un blitz degli agenti, è stato costretto a lasciare il suo incarico di capo dello staff del presidente. La Procura anticorruzione (Sapo) e l’Ufficio anticorruzione (Nabu) hanno condotto perquisizioni nel suo appartamento e nei suoi uffici. Non risulta indagato, ma la svolta pare imminente: la testata Dzerkalo Tyzhnia sostiene che a breve saranno trasmessi i capi d’imputazione.
Sergio Mattarella (Getty Images)
Rotondi: «Il presidente ha detto che non permetterà di cambiare le regole a ridosso del voto». Ma nel 2017 fu proprio Re Sergio a firmare il Rosatellum a 4 mesi dalle urne. Ora si rischia un Parlamento bloccato per impedire di eleggere un successore di destra.
Augusto Minzolini riferisce una voce raccolta da Gianfranco Rotondi. Durante un incontro tenuto con l’associazione che raggruppa gli ex parlamentari, Sergio Mattarella si sarebbe lasciato andare a un giudizio tranchant: «Non permetterò che si faccia una legge elettorale a ridosso del voto. Abbiamo avuto l’esperienza del Mattarellum, che fu approvato poco prima delle elezioni, e diversi partiti arrivarono alle urne impreparati. Bisogna dare il tempo alle forze politiche di organizzarsi e prepararsi alle nuove elezioni». Lasciamo perdere il tono usato dal capo dello Stato («non permetterò…» sembra una frase più adatta a un monarca che al presidente di una Repubblica parlamentare, ma forse l’inquilino del Quirinale si sente proprio un sovrano) e andiamo al sodo.






