Chissà se il ministro della Salute, Roberto Speranza, ieri ha letto l’articolo della Verità in cui chiedevamo di sburocratizzare la somministrazione dei trattamenti antivirali contro il Covid, già acquistati dal governo ma ancora poco utilizzati. Parliamo delle pillole antivirali già autorizzate anche dall’Aifa: quella prodotta da Merck, che riduce del 30% il rischio di ricovero in ospedale, e quella di Pfizer, che ha dimostrato di ridurre il tasso di ospedalizzazione di quasi il 90 per cento.
Di certo, ieri, rispondendo a un’interrogazione durante al question time alla Camera, Speranza, ha detto che il Cts dell’Aifa, martedì scorso, «ha cominciato a lavorare nella direzione di consentire, attraverso i medici di medicina generale, un accesso più diretto agli antivirali». Il ministro ha poi fornito i numeri aggiornati al 30 marzo dei consumi delle Paxlovid: «Sono stati 5.171 i trattamenti, nella settimana 17-23 marzo c’è stato un aumento del 31% rispetto a quella precedente. I livelli di consumo, in Italia, sono piuttosto simili ad altri Paesi europei. Stiamo lavorando, ora che abbiamo più dosi a disposizione, alla territorializzazione, con l’idea di consentire la prescrizione ai medici di medicina generale per un accesso capillare».
C’è da chiedersi perché avviare il cantiere solo adesso, considerando che i farmaci sono arrivati già da mesi e che il governo ha già opzionato, per il 2022, circa 600.000 cicli di trattamento di Paxlovid (spendendo circa 400 milioni) e oltre 50.000 cicli di Molnupiravir (per una spesa complessiva superiore ai 30 milioni). Come abbiamo scritto ieri, lo scarso utilizzo sembra essere dipeso da una guerra interna al ministero della Salute anche sull’utilizzo dei fondi, tra chi segue la medicina territoriale e le parti ospedaliere, e nel caso di quelli del Pnrr, tra chi vuole rafforzare la rete dei medici di base e chi invece costruire una rete capillare di mini ospedali sul territorio.
Ora, una volta fatta l’anamnesi, il medico di famiglia deve inviare i moduli per la richiesta e dopo l’autorizzazione, può ritirare il farmaco che viene custodito nelle farmacie ospedaliere. La pillola antivirale va, inoltre, presa entro i primi tre giorni, o comunque non oltre i cinque giorni dall’insorgenza dei sintomi e non è comunque indicata per tutti. Bisogna, quindi, tenere conto della tempistica del tampone per accertare la positività, poi di quella del medico di famiglia, che deve verificare il decorso dei sintomi. Con un ulteriore passaggio che passa prima dal medico specialista, per la prescrizione, e poi dalla farmacia ospedaliera, e non da quelle territoriali.
Anche l’ex direttore dell’Ema, Guido Rasi, ha sottolineato, in una recente intervista, che «abbiamo avuto i due mesi dell’approvazione del farmaco per poter organizzare il tutto. Si potevano formare i medici di famiglia, indicare loro in maniera precisa qual era la tipologia di pazienti a cui prescriverlo, quali le modalità d’uso e le controindicazioni». Speriamo lo si faccia adesso.